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Principali aspetti geopolitici e geostrategici nel corso della guerra fredda

L’esperienza americana della seconda Guerra Mondiale aveva sollevato seri dubbi nei vertici militari statunitensi sulla capacità del Paese di fronteggiare la domanda energetica nel caso in cui una guerra contro l’URSS si fosse protratta per tre, quattro o più anni. Questo in quanto i pochi ordigni atomici disponibili in quel momento non potevano avere un ruolo decisivo, mentre le riserve di idrocarburi disponibili potevano soddisfare il fabbisogno per uno, massimo due anni. Questa semplice equazione attribuiva grande enfasi all’esigenza del blocco occidentale di assicurarsi il libero accesso alle fonti petrolifere mediorientali, accesso che diventava vitale sin dall’inizio di un eventuale conflitto. Questo punto veniva recepito dalle pianificazioni di 132 Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 182-188

133 gli enormi flussi petroliferi che alimentano le attività produttive di India, Cina, Giappone e delle altre economie dell’Estremo Oriente attraversano l’Oceano Indiano per confluire nei pochi ed angusti stretti dell’arcipelago indonesiano

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contingenza americane sviluppate nel 1949 per le ipotesi di guerra con l’URSS, stimando anche il fabbisogno di reparti necessario per riconquistare l’area in caso fosse caduta in mani sovietiche. Il graduale ampliamento e potenziamento degli arsenali nucleari, l’introduzione di ordigni a fusione (“bombe all’idrogeno” o bombe H) molto più potenti, l’entrata in servizio di bombardieri intercontinentali a reazione e, negli anni ’60, dei missili balistici intercontinentali (ICBM) comportava – parallelamente al deterioramento delle possibilità di vincere una guerra nucleare – una drastica riduzione della prevedibile durata di un ipotetico conflitto USA-URSS. Tuttavia, la prioritaria importanza dei rifornimenti petroliferi rimaneva invariata, soprattutto a causa del boom economico che determinava un incremento esponenziale del numero dei veicoli a motore in circolazione. Incremento che, a sua volta, stimolava la domanda di idrocarburi e, conseguentemente, produceva da un lato una crescita dei prezzi, dall’altro favoriva la ricerca di altre fonti di approvvigionamento alternative.

Negli anni ’50 il Medio Oriente veniva interessato da due crisi principali, che si ripercuotevano anche sul controllo e sulla fornitura di prodotti petroliferi.

Nel 1951, il governo iraniano nazionalizzava la Anglo-Iranian Oil Company, a conclusione di una seri di attriti riconducibili al fatto che le tasse sui profitti della società incassate dal governo britannico erano superiori alle royalties percepite dal governo di Teheran. Un embargo petrolifero osservato dalle maggiori compagnie marittime occidentali aveva ripercussioni negative sull’economia iraniana, alimentando i sentimenti anti-occidentali e creando instabilità. Le preoccupazioni per una possibile ingerenza sovietica determinavano l’intervento statunitense e britannico per ristabilire la piena autorità dello Shah.

La seconda crisi era innescata dalla nazionalizzazione del Canale di Suez, attuata nel 1956 dal presidente egiziano Gamal Nasser in risposta alla cancellazione da parte statunitense, britannica e francese del prestito della Banca Mondiale per finanziare la costruzione della diga di Assuan. L’intervento delle truppe anglo-francesi nella zona del Canale si concludeva in un disastro militare, anche per il rifiuto americano di supportare i due paesi sul mercato finanziario. Israele, alleato con i governi di Londra e Parigi, riuscendo ad espellere gli egiziani dalla penisola del Sinai otteneva invece importanti risultati geostrategici, sia allontanando dai propri insediamenti urbani le basi da cui partivano ricorrenti attacchi terroristici, sia acquisendo una significativa ‘profondità strategica’, da utilizzare in caso di attacco egiziano. Cedendo alle pressioni americane, il Sinai veniva restituito all’Egitto nel 1957, mentre l’URSS sfruttava la crisi, da un lato

per reprimere senza troppo clamore internazionale la rivolta in Ungheria e dall’altro per inserirsi nella regione, offrendo il proprio contributo per il finanziamento della diga di Assuan.135

Sin dall’inizio della guerra fredda, gli Stati Uniti ed i loro alleati occidentali cercarono d sviluppare e mantenere un articolato e diffuso sistema di basi aeree e navali, focalizzate in particolare in corrispondenza del Nord Africa e del Medio Oriente, del Mar Rosso e del settore nordoccidentale dell’Oceano Indiano, con estensioni nelle aree sub-sahariane.

Queste iniziative riflettevano la strategia del containment, sviluppata contro il blocco sino-sovietico ed il suo Heartland eurasiatico e realizzata in corrispondenza del Rimland, come ipotizzato dal modello di Nicholas Spykman. La rete di basi si poggiava su un sistema di alleanze a natura politico-militare, quali la NATO in Europa (inclusa la Tuchia) ed il CENTO che accomunava i paesi compresi fra Turchia e Pakistan (estremi inclusi).

Come accennato, alla fine degli anni ’50 l’URSS riusciva a penetrare nella regione, acquisendo la disponibilità di basi aereonavali in paesi accomunati dalla condivisione ideologica. La concessione delle basi in Algeria, Libia, Egitto, Siria, Sud e Nord Yemen, Iraq ed India veniva in parte compensata da consistenti forniture militari sovietiche.

Sul finire degli anni ‘50 gli USA gestivano, fra le altre, importanti basi aeree in Marocco – all’epoca ancora possedimento francese – indispensabili per lo schieramento avanzato della forza ‘Reflex’ di bombardieri strategici tipo B-47, i quali, al contrario dei precedenti B-36, non possedevano l’autonomia necessaria per il volo di andata e ritorno verso gli obiettivi ubicati in territorio sovietico.

Una seri di sviluppi tecnologici modificavano progressivamente le capacità occidentali, riflettendosi sui rapporti geografici e sulle esigenze strategiche, modificando il fabbisogno di basi e di punti di appoggio. L’introduzione generalizzata del rifornimento in volo, infatti, adottata dagli USA alla metà degli anni ’50, estendeva l’autonomia dei velivoli da trasporto e da combattimento (con l’accennata eccezione del B-47) e riduceva la richiesta di punti di appoggio aeroportuali. Ad esempio, per consegnare ad Israele i mezzi necessari per proseguire i combattimenti nella guerra del 1973, il ponte aereo statunitense utilizzava solo il punto di appoggio nelle Azzorre portoghesi, mentre i rifornimenti in volo venivano effettuati usando aerocisterne stanziate in Spagna.

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Analogamente, la diffusione della propulsione nucleare ed il miglioramento delle tecniche di rifornimento in mare aperto ridimensionavano la necessità di disporre di punti di appoggio e di basi navali. 136

Negli anni ’50 e ’60 si registravano una serie di nuove esigenze di punti di appoggio lungo i confini meridionali dell’URSS, esigenze prevalentemente collegate ai progressi realizzati dai sovietici nel campo delle attività missilistiche e spaziali.

Le modifiche dello schieramento delle basi e dei punti di appoggio aeronavali comportava un adeguamento delle stazioni di comunicazione e di intelligence elettronica, presenti in numero rilevante nell’intero Medio Oriente.

In seguito, la stesura dei cavi di comunicazione sottomarini, successivamente sostituiti dai più performanti cavi a fibre ottiche, ed il crescente sviluppo delle comunicazioni satellitari modificava ulteriormente la mappa dei punti di appoggio, continuando peraltro a sottolineare l’importanza della regione.

Anche gli sviluppi della strategia navale influenzavano lo schieramento dei punti di appoggio e delle basi. In particolare, nei primi anni ’70 la competizione aeronavale fra i due blocchi portava allo schieramento, da parte occidentale, di una serie di misure volte a contrastare la presenza navale sovietica137, che poteva disporre di importanti punti di appoggio nel Mediterraneo centro-orientale, nel Sud Yemen, in Iraq ed in India.

In ogni caso, sino agli anni ’80 la funzione singola più importante svolta dal medio Oriente riguardava l’attività di intelligence. Nei vari paesi erano presenti numerose infrastrutture dell’intelligence impegnate nella sorveglianza le attività militari all’interno dell’URSS.138

In particolare, dalla base pakistana di Peshawar decollavano i ricognitori strategici d’alta quota tipo U-2, che effettuavano missioni fotografiche sulle installazioni strategiche.

In seguito, considerata la limitata velocità che li rendeva particolarmente vulnerabili ai missili contraerei SA-2, gli U-2 furono gradualmente affiancati e poi sostituiti dai ricognitori supersonici SR-71, in grado di volare a tre volte la velocità del suono.

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Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 48-52

137 oltre alle unità di superficie, le misure occidentali per il contrasto antisommergibile (ASW) includevano, fra l’altro, dispositivi per l’ascolto subacqueo, collocati in corrispondenza dei punti di passaggio obbligato (come il noto GIUK, Greenland-Island-United Kingdom), e basi per lo schieramento avanzato degli aerei da pattugliamento marittimo, destinati alla scoperta, identificazione ed eventuale neutralizzazione dei battelli subacquei avversari

138 nuovi tipi di facilities comprendevano stazioni di sorveglianza spaziale, di telemetria (per monitorare i test missilistici), di rilevamento delle esplosioni nucleari nell’atmosfera e sotterranee (mediante monitoraggio tellurometrico), di controllo satellitari, di allarme radar precoce (early-warning), posti relè e centri per le comunicazioni satellitari, etc. Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 241-244

In Pakistan, Iran e Turchia erano dislocate anche importanti stazioni radar e centri di intelligence elettronica (SIGINT), la cui attività era favorita dalla prossimità ai confini meridionali dell’URSS.

Venuta meno nel 1979 la possibilità di accesso alle installazioni intelligence in territorio iraniano, gli USA ricercavano la disponibilità della Cina, che consentiva lo schieramento nella provincia di Xingiang, contigua all’Asia centrale sovietica, di alcune installazioni statunitensi dedicate all’intelligence tecnica. Nello stesso anno 1979, l’invasione sovietica dell’Afghanistan privava gli USA di altri importanti accessi e punti di appoggio, portando alla enunciazione della ‘dottrina Carter’, alla creazione della Rapid Deployment Joint Task Force (RDJTF) ed al potenziamento della rete di basi all’estero.139

Anche l’Isola di Diego Garcia, affittata dalla Gran Bretagna agli USA ed inizialmente utilizzata come centro di comunicazioni, veniva trasformata nella più importante base di pre-posizionamento avanzato dei materiali pesanti necessari alla RDF ed in un punto di appoggio per i bombardieri strategici B-52.140

Negli anni ’70 il Medio Oriente era anche teatro di poderosi ponti aerei, organizzati da entrambe le superpotenze per supportare i rispettivi alleati locali. Oltre alla citata operazione USA del 1973, a cui corrispondeva una analoga iniziativa sovietica a favore dell’Egitto, nel 1975 e nel 1977 l’URSS effettuava importanti rifornimenti di armi ai governi amici di Angola ed Etiopia, utilizzando la disponibilità dei punti di appoggio aeroportuali e dei corridoi aerei messi a disposizione dai paesi simpatizzanti presenti nell’area. La dottrina del containment ne risultava pesantemente logorata e Mosca disponeva di rotte logistiche aeree Nord-Sud, in direzione dell’Africa sub-sahariana. La guerra arabo israeliana del 1973, iniziata con l’attacco congiunto delle forze egiziane e siriane contro Israele, era destinata a cambiare le regole delle relazioni internazionali

139 Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., p. 53

140 le lunghe distanze impongono tempi considerevoli per trasportare nell’area del Golfo Persico i pesanti mezzi da combattimento, munizioni, carbolubrificanti e materiali di supporto necessari alla proiezione in zona di operazioni della Rapid Deployment Joint Task Force (RDJTF). Considerando che il personale poteva affluire – per via aerea ed in tempi molto contenuti – nelle immediate vicinanze della zona d’impiego, il concetto di pre-posizionamento prevede di stivare quanto necessario alle unità di combattimento a bordo di navi da trasporto, in genere di tipo ro-ro e dotate di mezzi per la movimentazione autonoma dei carichi. Le navi, gestite da un ridotto equipaggio, in larga parte formato da civili, rimanevano ancorate all’interno dell’atollo di Diego Garsia, in attesa di salpare per le loro destinazioni, in caso di bisogno. Il concetto dimostrava la propria validità anche in occasione della Guerra del Golfo del 2003. Parallelamente, il Dipartimento della Difesa provvedeva al continuo miglioramento del livello di precisione delle munizioni destinate agli aerei, all’artiglieria ed ai mezzi corazzati. La precisione, infatti, è un efficace ’force multiplier’, in grado di ridurre significativamente il numero di colpi necessari per distruggere il singolo obiettivo (aumentando così le probabilità di sopravvivenza delle proprie forze) e, conseguentemente, di alleggerire l’onere logistico derivante dal trasporto delle munizioni necessarie per completare un’operazione.

del secondo dopoguerra. Il supporto americano ad Israele determinava un embargo petrolifero deciso dalla Organization of Petroleum Exporting Countries (OPEC), che nel 1973 controllava circa il 65% del petrolio estratto nel mondo non comunista.

I combattimenti cessavano il 26 ottobre 1973, ma l’embargo non rientrava, innescando un costante incremento del prezzo del greggio sui mercati internazionale, che a sua volta alimentava l’ansietà nei consumatori, gli incrementi delle scorte delle compagnie petrolifere ed un aumento generale della domanda.141

I combattimenti del 1973 procuravano anche la chiusura del Canale di Suez, ma le conseguenze sul traffico mercantile erano contenute, soprattutto perché le nuove superpetroliere non erano più in grado di utilizzare questa via d’acqua e circumnavigavano l’Africa, utilizzando la rotta del Capo.

Contemporaneamente, veniva elaborata una strategia statunitense che puntava a difendere le rotte del petrolio nell’ipotesi di una apertura di ostilità con l’URSS. Considerata la sensibilità e vulnerabilità a possibili azioni militari dello Stretto di Hormuz, il pilastro di questa strategia era rappresentato dal ruolo dell’Iran, all’epoca governato dallo Shah Mohammad Reza Palevi, che conduceva una politica filo-occidentale. La strategia americana includeva non solo importanti forniture di armamenti, ma anche pianificazioni di contingenza per l’ipotesi di dover concorrere alla difesa del Paese nell’ipotesi di una invasione sovietica.142

Nel quadro di questa strategia, un fattore importante era rappresentato da una robusta difesa aerea nella regione del Golfo, che gli americani intendevano realizzare anche fornendo ai loro maggiori alleati regionali (Turchia, Iran ed Arabia Saudita) sistemi d’arma particolarmente sofisticati. In taluni aspetti, la strategia statunitense degli anni ’70 rifletteva il piano sviluppato dagli inglesi nel 1942 per proteggere l’area nell’ipotesi che una offensiva tedesca nel Caucaso fosse seguita da un attacco verso l’Iraq e l’Iran.143

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la lievitazione dei prezzi degli idrocarburi innescava anche una fase di recessione dell’economia delle maggiori potenze industriali, con una diminuzione del prodotto interno lordo che negli USA diminuiva del 6% fra il 1973 ed il 1979, con la conseguenza del raddoppio del numero dei disoccupati, che si attestava al 9% della forza lavoro complessiva. Ancora più gravi le conseguenze sui paesi poveri, che non disponevano della valuta forte necessaria per fronteggiare i maggiori oneri connessi con gli approvvigionamenti energetici. Nel tentativo di alleggerire la dipendenza strategica occidentale dalle risorse petrolifere mediorientali venivano effettuati importanti investimenti per lo sfruttamento di fonti alternative, in particolare in Alaska, Messico e nel Mare del Nord. Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 55-59

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nel caso di proiezione di forza militare, gli americani contavano di riuscire ad arrestare gli attaccanti in corrispondenza della catena dei monti Zagros, nell’Iran centrale, utilizzando le basi ed i punti di appoggio disponibili in Turchia e in Arabia Saudita non solo per l’invio delle truppe in zona di operazioni, ma anche per missioni aeree di interdizione delle linee di rifornimento sovietiche, al fine di rallentarne l’avanzata. Da: Da: Kemp G., Harkavy R. E., Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 22-23

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Per questi motivi, la rivoluzione iraniana guidata dall’ayatollah Khomeini (rientrato dall’esilio in Francia), che nel febbraio 1979 portava alla caduta dello Shah, costituiva un duro colpo alle prospettive geopolitiche e geostrategiche statunitensi in questa importante regione.

Le preoccupazioni di Washington erano aggravate dal deciso orientamento anti-americano immediatamente manifestato dal nuovo governo teocratico iraniano e dalla incapacità di risolvere la crisi dei diplomatici statunitensi tenuti prigionieri a Teheran. In compenso, grazie all’azione dell’Arabia Saudita ed alle misure adottate dai produttori occidentali dopo lo shock petrolifero del 1973, l’incremento dei prezzi del greggio rimanevano contenuti, nonostante l’iniziale ondata di panico che colpiva alcune compagnie petrolifere occidentali ed il pessimismo di molti esperti. A complicare ulteriormente lo scenario mediorientale, il 24 dicembre 1979 le truppe sovietiche entravano in Afghanistan, dove una lotta di potere interna al locale partito comunista al governo aveva determinato una situazione di grave instabilità.

La reazione statunitense al nuovo quadro di situazione si concretizzava, come accennato, in una seri di misure politiche, diplomatiche e militari, che nell’ambito della nuova ‘dottrina Carter’ portavano alla creazione della RDJTF ed al potenziamento delle altre basi presenti nella regione. La successiva amministrazione Reagan nel 1981 intraprendeva una politica più aggressiva, incrementando significativamente il supporto, mediato dal Pakistan, ad alcuni movimenti della resistenza afghana che si opponevano ai sovietici.144

Quasi contemporaneamente emergeva una terza grave crisi regionale quando, nel settembre 1980, le truppe di Saddam Hussein invadevano l’Iran. Fra le molteplici motivazioni dell’offensiva irakena, le più rilevanti potevano essere individuate nella volontà di approfittare della debolezza politico-militare e dell’isolamento diplomatico del nuovo governo iraniano per risolvere l’annoso contenzioso dello Shatt al-Arab, la cui dubbia disponibilità consentiva a Baghdad solo un limitato accesso al Golfo e che ne condizionava le aspirazioni navali145. Sotto il profilo politico, un obiettivo ancora più rilevante era rappresentato dalla volontà di prevenire ogni forma di contagio della

144 in questo quadro, i servizi di intelligence pakistani (ISI) avevano facoltà di selezionare in piena autonomia i gruppi della guerriglia antisovietica a cui assegnare le armi statunitensi ed i generosi contributi finanziari americani e sauditi. Su di loro, inoltre, riversavano le nozioni addestrative sulle operazioni di guerriglia ricevute dai consiglieri militari statunitensi. Per il ruolo svolto dall’intelligence pakistana durante la guerriglia antisovietica in Afghanistan (e nella nascita di Al-Qaeda), si veda: Coll S., La guerra segreta della

CIA, BUR Storia, Milano, marzo 2008 (titolo originale Ghost Wars, 2004)

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lo scoppio della guerra comportava il blocco della consegna di forniture militari anche da parte dell’Italia, incluse varie unità navali maggiori (comprese varie fregate, una nave rifornimento ed altre unità)

rivoluzione khomeinista all’interno della maggioritaria componente sciita della popolazione irakena, che avrebbe potuto rafforzare i propri sforzi di rovesciare il regime del partito Ba’ath al potere, portatore degli interessi della minoranza sunnita. I combattimenti si protraevano sino al 1988, col ricorso da parte dell’Iraq ad armi chimiche e missilistiche, culminato nella “guerra delle città”, la cui possibile combinazione spingeva la dirigenza iraniana ad accettare il cessate il fuoco, come accennato in precedenza. Lo scontro armato fra due dei maggiori produttori del Golfo Persico coinvolgeva anche le infrastrutture petrolifere locali, con la distruzione di impianti di estrazione di entrambi i contendenti e con l’attacco alle petroliere, attuato nella fase finale dei combattimenti con l’impiego di motoscafi armati, aerei, missili antinave e mine navali.146

I ripetuti episodi conflittuali indo-pakistani hanno attirato minore interesse da parte occidentale. Gli scontri fra India e Pakistan del 1965 e del 1971 interessavano un fronte che rappresentava una frazione relativamente contenuta del confine fra i due paesi, con scontri limitati nelle aree del deserto di Thar, del ‘Great Indian Desert‘ e delle aree montuose fra Jammu e Kashmir. In parte, ciò derivava dal fatto che i due contendenti concentravano la masse delle loro forze in prossimità, rispettivamente, delle città di Lahore e Amristar.