2.2. Meccanismi della Deterrenza
2.2.2. La deterrenza nell’era nucleare
La Nuova Enciclopedia Britannica fornisce una esaustiva ed articolata definizione del termine ‘deterrenza’: “…strategia militare sotto la quale una grande potenza usa la minaccia di istantanea, schiacciante rappresaglia per escludere in modo efficace un attacco nucleare fra le alternative disponibili da parte di una potenza avversaria…”. La definizione prosegue sottolineando come, con l'avvento degli armamenti nucleari, la deterrenza sia divenuta la strategia fondamentale utilizzata dalle potenze nucleari e dai sistemi di alleanze.
La deterrenza nucleare si basa sul possesso di elevate capacità di distruzione nei confronti di ogni tipo di aggressione, nonché sulla capacità – chiaramente visibile e credibile agli occhi del potenziale aggressore – di infliggere danni inaccettabili utilizzando le armi nucleari sopravvissute ad un eventuale attacco di sorpresa. Un elemento essenziale di una efficace deterrenza è un certo grado di incertezza da parte del potenziale aggressore riguardo alla possibile reazione della parte attaccata, la quale
potrebbe rispondere anche se seriamente provata, accettando il rischio di soffrire ulteriori danni in un secondo attacco.
In breve, le due condizioni basilari che una efficace deterrenza deve soddisfare sono la capacità di rappresaglia, in risposta ad un attacco di sorpresa, e la volontà di rappresaglia, che deve essere percepita come possibilità, e non necessariamente come certezza.158
Collegata al concetto di deterrenza, la ‘stabilità strategica’ (strategic stability) è stata definita in vari modi nel corso della guerra fredda, anche se il significato più accreditato era quello della preservazione dell'equilibrio nucleare fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Lo scopo principale dei vari trattati per il controllo e la riduzione bilanciata degli armamenti nucleari era, appunto, quello di preservare gli equilibri di potenza dei deterrenti nucleari delle due superpotenze, anche se questo non comportava necessariamente una assoluta parità nucleare a tutti i livelli.159
Agli inizi dell’era nucleare, assicurare la stabilità strategica significava stabilire sicuri sistemi di consultazione, in grado di scongiurare errate percezioni strategiche che potevano portare ad errori dagli effetti indesiderati.
Dopo la resa del Giappone e la conclusione della seconda Guerra Mondiale, accelerata dalle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, dal 1945 si profilava un sistema formato da due blocchi, ciascuno impegnato ad ampliare la propria sfera di influenza, sia in Europa sia nel resto del mondo. Il rapporto competitivo, iniziato già durante la fase finale del conflitto, era di natura prevalentemente ideologica, riconducibile a due diverse concezioni politiche ed economiche del nuovo ordine mondiale da realizzare nel periodo postbellico.
Dopo una fase di iniziale monopolio nucleare statunitense, il primo test sovietico del 1949 sanciva l’inizio di un duopolio, nel cui ambito si sviluppava una gara fra le due
158
“…Deterrence: military strategy under which one mayor power uses the threat of instant, overwhelming
reprisal effectively to exclude nuclear attack from adversary power’s available alternatives. Since the advent of nuclear weapons, deterrence has become the basic strategy of the nuclear powers and of the mayor alliance systems, because of the maintenance by each power of high level of assured destruction capability against any aggression, the ability, visible and credible to would-be attacker, to inflict unacceptable damage upon an attacker with surviving forces following a surprise attack. As essential element in successful deterrence is a degree of uncertainty on the part of would-be aggressor whether his victim, although attacked and badly damaged, will nonetheless retaliate – even at the risk of suffering further, crippling damage in a second attack. In short, two basic conditions must be met: the ability to retaliate after a surprise attack, and the will to retaliate must be perceived as a possibility, though not necessarily as a certainty…”
Da: AA.VV., The New Encyclopedia Britannica – Ready Reference, vol. 4, Encyclopedia Britannica Inc., Chicago, 1993, p. 40
159
Da: Freedman L., The evolution of Nuclear Strategy, Palgrave Macmillan, London, 2003 (1st Edition: 1981), pp.185-188
potenze militari, impegnate ad accrescere i loro arsenali atomici, in una dimensione strategica in cui la componente militare assumeva in breve tempo connotazioni completamente nuove.
Il successivo ingresso nell’esclusivo club delle potenze nucleari di Gran Bretagna, Francia e Cina (indicato anche come Nuclear Five, N5) non modificava il carattere sostanzialmente bipolare assunto dai rapporti di potenza all’interno della comunità internazionale.
Nel dopoguerra, il primo contrasto USA-URSS si verificava a causa del mancato ritiro delle truppe di Stalin dall’Iran, occupato nel 1942 in virtù di un accordo anglo-sovietico, ritiro effettuato solo nel 1946 sotto le energiche pressioni, anche di natura militare, esercitate dal presidente Truman. Nello stesso periodo, George F. Kennan, giovane funzionario in servizio all’ambasciata americana a Mosca, inviava al Dipartimento di Stato un lungo telegramma, con il quale forniva la propria valutazione sugli obiettivi politici di Mosca e suggeriva “…un lungo, paziente, ma deciso e vigile contenimento delle tendenze espansionistiche sovietiche”.
Benché riservato, il documento aveva larga diffusione e costituiva uno dei principali elementi di quella che fu definita come ‘dottrina Truman’, la quale prevedeva il ‘containment’ del blocco orientale.160
Nel secondo dopoguerra, il rapporto fra la teoria e la prassi strategica veniva influenzato dalla elevata dinamicità delle contingenze politico-diplomatiche, come anche dall’evoluzione delle teorie politiche, economiche e sociali, stimolando la ricerca di strumenti concettuali idonei a fronteggiare le situazioni e a dominare una realtà di crescente complessità. La componente convenzionale degli strumenti militari veniva
160 il 22 febbraio 1946, un funzionario dell’ambasciata statunitense a Mosca, George Kennan, inviava a Washington il telegramma #511. Nel lungo telegramma, completato da un articolo che Kennan pubblicava l’anno seguente nel periodico “Foreign Affairs”, con lo pseudonimo di “X”, venivano poste le basi per una nuova grande strategia degli USA focalizzata su un obiettivo primario: il ‘containment’ dell’Unione Sovietica. Poco dopo, Kennan lasciava Mosca per diventare il primo direttore del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato americano, incarico nel quale nel corso del 1947 si dedicava a dettagliare gradualmente la nuova impostazione strategica per fronteggiare l’espansionismo sovietico. I principi della nuova strategia partivano dal presupposto che la minaccia posta dall’URSS aveva natura prevalentemente politica, per cui il più efficace contenimento del comunismo sovietico poteva essere attuato sviluppando il benessere economico e la sicurezza politica – in particolare il Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone. La mappa del mondo concepita da Kennan era variegata. La principale ‘fault-line’ era collocata fra il blocco sovietico e le democrazie industrializzate, in Europa e il Giappone in Oriente, basata sullo sviluppo economico, la stabilità politica ed il possesso di punti forti di importanza strategica. Nel frattempo, veniva tracciata una ulteriore e più discreta fault-line, sulla quale sconfiggere il comunismo, basata sulla amplificazione delle contraddizioni interne del sistema sovietico e sulle forze centrifughe naturali derivanti dai nazionalismi.
A partire dal 1949, la carta concettuale del mondo di Paul Nitze – successore di Kennan al vertice del Policy
Planning Staff – prendeva la forma del “planning paper” NSC-68, e comprendeva solo una fault line, che
divideva il mondo in un blocco comunista e un blocco occidentale. Da: Kupchan A. C., The End of American
rapidamente relegata a ruoli complementari. Contestualmente, la crescente disponibilità e varietà di armamenti nucleari esercitava un effetto totalizzante nel modulare le impostazioni e le varie enunciazioni tecnico-dottrinali, rendendo nello stesso tempo difficile segnare un netto confine fra teoria, dottrina e prassi strategica.161
Nell’URSS l’elaborazione della strategia nucleare rimaneva prevalentemente confinata in ambiti militari, mentre negli USA si sviluppavano, a partire dagli anni ’50, una serie di centri, sia privati sia collegati a strutture universitarie.
Qui i ricercatori – considerata la nuova valenza assunta dai bombardieri armati con bombe nucleari – riprendevano le teorie del potere aereo (Airpower) per sviluppare le nuove linee strategiche.162
161
Da: Freedman L., 2003, op.cit., pp. 45-46; Liddell Hart H. B., Strategie, Rheinische Verlags-Anstalt, Wiesbaden, s.d. (titolo originale: Strategy , Penguin Books, New York, 1954), pp. 428-429; Linder Julian,
On the nature of war (Swedish studies in international relations, 8), Saxon Hause-Teakfield Limited,
Farnborough, 1977, pp. 230-265, 337-338; 162
una serie di circostanze aveva favorito l’affermarsi delle teorie dell’Airpower, nella quale confluivano concetti ed idee che, a partire dall’apparizione del mezzo aereo, sono state elaborate per affermare l’esigenza degli Stati di dotarsi di potenti formazioni di bombardieri. Fra le personalità più note, il generale statunitense Billy Mitchell (1879-1936) e l’italiano Guido Douhet (1869-1930). Quest’ultimo, nel suo libro “Il dominio
dell’aria. Saggio sull’arte della guerra aerea” (Roma,1921), esponeva la convinzione che l’esito favorevole
dei futuri conflitti veniva autonomamente deciso dal bombardamento strategico a largo raggio, che colpiva in via prioritaria i grandi centri urbani ed industriali nemici. Il monopolio nucleare americano del 1945-49 forniva ulteriori argomenti ad Alexander Procofieff de Seversky, vivace ed ascoltato sostenitore della centralità del potere aereo, scrittore di successo di libri in cui sosteneva l’efficacia decisiva del potere aereo:
Victory through Air Power (1942), venduto in oltre cinque milioni di copie, e Air Power: Key to Survival
(1950). Per illustrare la propria visione, de Seversky riprendeva e sviluppava la tesi del Renner (1900-1955), il quale sosteneva che l’avvento del potere aereo comportava l’individuazione di due Heartland, incentrati rispettivamente su USA ed URSS. Entrambi risultavano vulnerabili attraverso l’Oceano Artico, che assumeva il ruolo di pivot degli equilibri strategici mondiali, trasformandosi in una sorta di Mediterraneo artico. Per la costruzione del proprio modello geostrategico, de Seversky ricorreva a carte azimutali, centrate sul Polo Nord, e divideva il mondo in due grandi cerchi, i cui centri erano rappresentati dai cuori industriali delle due superpotenze ed il raggio rappresentava il raggio d’azione dei bombardieri strategici dell’epoca.
Gli USA dominavano l’emisfero occidentale, l’URSS quello euroasiatico, mentre risultava analogo il livello di potenza esercitato nelle regioni settentrionali dell’America e dell’Eurasia. Questo fatto sconsigliava la costruzione di basi aeree USA all’estero, in quanto la loro difesa comportava un dispendio di risorse. La potenza aerea occidentale doveva quindi essere schierata negli USA ed in Gran Bretagna, unico avamposto difendibile dell’Occidente.
Subordinando inequivocabilmente Esercito e Marina all’Aeronautica, i suoi postulati non solo proponevano una asse Nord-Sud piuttosto che Est-Ovest della confrontazione durante la guerra fredda, ma identificavano una ‘Area of Decision’ attorno al Polo Nord, dove l’influenza per il predominio statunitense e sovietico presentavano un’area di sovrapposizione. Le idee di de Seversky in parte si concretizzavano nel 1946, con la creazione dello Strategic Air Command e con lo sviluppo di una serie di bombardieri strategici. Per ulteriori dettagli sulla nascita delle teorie del potere aereo, si vedano, fra gli altri:
Corum S. J, 2004, op.cit., p. 270-279;
de Seversky A. P., Victory through Air Power, Simon and Schuster, New York, 1942;
de Seversky A. P., “Potenza aerea chiave della sopravvivenza”, Garzanti Editore, Milano, 1953 (titolo originale: Air Power: Key to Survival, 1950);
de Seversky, A. P., A Lecture on Air Power, in “Air University Quarterly Review“, Winter 1947, pp. 23-24; Divine D., The Broken Wing: A Study in the British Exercise of Air Power, Hutchinson, Londra, 1966; Douhet G., Il dominio dell’aria. Saggio sull’arte della guerra aerea, Stabilimento tipografico per l’amministrazione della guerra, Roma, 1921;
Groehler O., Geschichte des Luftkrieges 1910 bis 1980, Militärverlag der Deutschen Democratischen Republik, Berlino, 1981;
I lineamenti della politica di sicurezza e della strategia nucleare (e convenzionale) statunitense venivano elaborati e definiti dalla combinazione delle teorie dell’Airpower con elementi tratti dalle teorie navaliste del Seapower.163
In questi ‘think-tank’ multidisciplinari, contigui al mondo accademico, nascevano le ‘teorie della deterrenza’, le tesi sulla ‘guerra limitata’ e sui regimi di controllo degli armamenti.
Dottrine peraltro non immuni da pressioni di natura lobbistica, esercitate dalle varie organizzazioni per valorizzare il rispettivo ruolo, a cui si sovrapponevano interferenze più o meno intense provenienti dai complessi economico-industriali, interessati ai consistenti contenuti finanziari delle commesse nucleari della Difesa. Questa articolata rete di reciproche interdipendenze contribuiva, almeno in parte, a spiegare le incoerenze talora rilevabili fra le formulazioni teoriche e le possibilità di implementazione realmente esistenti a livello realizzativo. Nel vivace dibattito emerso dai centri di ricerca e dagli ambiti accademici erano individuabili due principali correnti di pensiero. La prima, consapevole dell’impossibilità di attuare una credibile difesa strategica, individuava la soluzione in una credibile minaccia di ritorsione, orientata principalmente in funzione ‘contro-risorse’ (counter-value), nella quale gli obiettivi prioritari erano rappresentati dai maggiori centri urbani e dai complessi industriali dell’avversario dichiarato. In questa prospettiva nasceva la dottrina della ‘Mutua Distruzione Assicurata’ (MAD, Mutual Assured Destruction)164, che gli ambiti politici
Mac Isac D., Voci dal profondo blu: teorici del potere aereo, in Paret Teter (a cura di), “Guerra e strategia nell’era contemporanea”, Casa Ed. Marietti, Genova, 1992;
Meilinger S. P., 2003, op.cit., pp. 76-79; Trenchard (Air Marshal) H. M., 1946, op.cit.; 163 Da: Freedman L., 2003, op.cit., pp. 21-22 164
negli anni '60, la ‘mutua distruzione assicurata’ (MAD, Mutual Assured Destruction) costituiva la base delle strategie nucleari che garantivano l'equilibrio bipolare. A ciò contribuiva la consapevolezza dell'esistenza di sovrabbondante capacità distruttiva (overkill-capabilities) ed una accettazione della mutua vulnerabilità, considerando i livelli di prontezza e l'elevato stato di allerta in cui erano costantemente mantenute le forze nucleari di entrambi i contendenti, le procedure di lancio su allarme (launch-on-warning) ed il mantenimento di credibili capacità di rappresaglia (second-strike-capability). Sotto molti aspetti, la MAD era il curioso prodotto della corsa agli armamenti nucleari degli anni ’60. In quel periodo, infatti, scienziati ed esperti militari si impegnarono in una seri di complessi calcoli per delineare lo ‘scenario’ di una guerra futura, determinando la consistenza quantitativa e qualitativa dell’arsenale nucleare necessario per assorbire un
first-strike di sorpresa, facendo sopravvivere una aliquota di forze sufficiente per un second-first-strike, in grado di
infliggere alle risorse umane ed industriali nemiche danni insostenibili. In questa prospettiva, le conseguenze di una guerra nucleare erano tali da renderla un’operazione impraticabile, a meno di non accettare l’annichilimento reciproco.
La costante rivalità politico-ideologica e la presenza di conflitti regionali consigliava la predisposizione di strumenti per la gestione delle crisi, destinati a diventare parte integrante delle relazioni fra le due superpotenze, soprattutto dopo la crisi dei missili a Cuba, nell'ottobre 1962. Da: Claval P., 1996, op.cit., pp. 73-85; Freedman L., 2003, op.cit., pp. 234-236, 244-247, 385-387; Gray S. C., War, Peace and International
statunitensi – almeno a livello declaratorio – accoglievano con favore dal 1965 sino agli anni ’80 (periodo talvolta definito come “equilibrio del terrore”).
La seconda scuola di pensiero focalizzava la propria attenzione sulle ipotesi di fallimento della deterrenza, sottolineando l’esigenza di prevedere misure di difesa passiva ed attiva del territorio. Ciò al fine di contenere i danni di un attacco e, soprattutto, di assicurare la sopravvivenza di forze nucleari in numero sufficiente per condurre un attacco di rappresaglia. Introducendo l’idea che uno scontro nucleare fosse un’ipotesi accettabile, veniva posto l’accento sulle capacità ‘contro-forze’ (counter-force), cioè destinate a colpire le risorse che determinano le capacità militari del nemico. Questa posizione introduceva, fra l’altro, l’ipotesi di una opzione di ‘primo colpo’ (first-strike), intesa come misura aggiuntiva per scoraggiare possibili attacchi convenzionali in Europa occidentale (extended-deterrence), il cui territorio veniva considerato alla stregua di quello del territorio continentale degli USA (Continental United States, CONUS). A livello politico, le due impostazioni teoriche conoscevano una certa alternanza di popolarità, con un prevalere delle teorie ‘contro-forze’ a partire dal 1979 (favorite dalla crescente precisione dei vettori balistici), quando – durante il periodo della distensione – assumevano la prevalenza su quelle legate alla MAD.
Considerando in una prospettiva storica l’evoluzione geostrategica, a partire dall’8 agosto 1945 la c.d. “Era Nucleare” (Nuclear Age) soppiantava rapidamente la ‘Era Industriale’, chiamando l’arena internazionale a confrontarsi con un nuovo e determinante fattore geostrategico, che non rientrava in nessuno schema razionale sino allora conosciuto.
Dopo un breve periodo di monopolio atomico americano, la prima fase della “Nuclear Age” veniva caratterizzata dalla superiorità nucleare statunitense, accompagnata da una limitata consapevolezza degli effetti dei nuovi armamenti sul piano politico e militare. Nella conferenza di Lisbona del 1954, la NATO (nata nel 1949 con il Trattato del Nord Atlantico) rinunciava alla parità convenzionale con l’URSS, affidando la propria sicurezza al c.d. ‘ombrello nucleare’ USA.
Con l’introduzione della ‘strategia Eisenhower/Dulles’ (esposta nell’ottobre 1953) e del connesso principio della ‘rappresaglia massiccia’ (Massive Retaliation, esplicato nel gennaio 1954) veniva enfatizzata la capacità di condurre rappresaglie nucleari sul territorio dell’Unione Sovietica, provocando distruzioni di entità tale da vanificare ogni vantaggio sovietico conseguibile con un eventuale attacco di sorpresa.
I meccanismi di base che regolano il concetto di deterrenza nucleare sono stati efficacemente sintetizzati dalla famosa frase di Raymond Aron:
“…La guerra (nucleare) che si prepara per non dichiararla, benché sia stata definita impossibile, è possibile. Se essa fosse, fisicamente e moralmente, impossibile,
la dissuasione cesserebbe di valere…”.165
A cavallo fra gli anni ’50 e ’60, il dibattito strategico nucleare negli USA si intrecciava con i progressi in campo missilistico e nucleare (in termini di gittata e precisione dei vettori balistici e di miniaturizzazione delle testate), ponendo particolare enfasi sugli aspetti tecnico-militari connessi con l’implementazione della Massive Retaliation. La triade strategica, così come la intendiamo oggi – formata da missili ICBM basati a terra, missili SLBM imbarcati su sottomarini e bombardieri pilotati – appariva nella prima decade degli anni ’60 e, più precisamente, quando alla fine degli anni ’50, la Nuclear Age si univa, con effetti sinergici, alla Missile Age. In termini strettamente tecnico-militari, la stabilità strategica (Strategic Stability) veniva considerata realizzata in presenza di un contesto strategico, nel quale nessuna parte poteva essere sicura di ottenere il maggior vantaggio attaccando per prima (concetto del first-use associato ad un massiccio first-strike).
Dal punto di vista difensivo, un contesto stabile era quello in cui i benefici del first-strike erano trascurabili o limitati in rapporto agli effetti della prevedibile rappresaglia. Tale contesto di equilibrio era definito come situazione di ‘crisi stabile’ (Crisis Stable). Anche se necessita di precisazioni, la tesi più accreditata era quella che la stabilità strategica della guerra fredda era assicurata dalla mutua capacità di infliggere reciprocamente danni inaccettabili in ogni possibile circostanza o scenario. Anche se la MAD costituiva la realtà che dominava i rapporti fra le due superpotenze dopo la seconda metà degli anni ’60, nessuna delle due parti la aveva mai selezionata come dottrina strategica, in quanto ciò avrebbe sottinteso l’implicita rinuncia all’impiego del potenziale nucleare e, quindi, si sarebbe avrebbe svuotata di credibilità e significato.166 Nel giugno 1962, il Segretario della Difesa McNamara, nel corso di un discorso pubblico annunciava l’adozione dei principi della “deterrenza graduale” (graduated-deterrence), proposta da vari think-tank statunitensi ed incentrati su una maggiore enfasi assegnata alle capacità contro-forze, pur mantenendo adeguate capacità di second-strike
in funzione contro-risorse. Nel novembre 1960, lo schieramento dei primi missili balistici tipo Polaris, imbarcati su sottomarini nucleari e lanciabili dai battelli in immersione, conferiva alla second-strike-capability statunitense una sostanziale invulnerabilità nei confronti di un attacco di sorpresa sovietico, anche se la limitata precisione di questi vettori balistici li rendeva credibili solo nell’impiego contro grandi centri urbani.
Nel corso della crisi dei missili sovietici a Cuba dell’ottobre 1962, l’enfasi attribuita al ruolo contro-risorse contribuiva ad erodere il credito residuo della dottrina nucleare corrente della Risposta massiccia, rendendo un dato acquisito le implicazioni della MAD.
Veniva così aperta la strada ad un approccio più graduale ed articolato, destinato a sfociare nella dottrina della ‘Risposta flessibile’ (Flexible Response), anche se permanevano ampi spazi di indeterminatezza sull’applicazione pratica, soprattutto in termini di una ragionevole previsione delle reazioni della controparte. In questa prospettiva era spiegabile la prudenza degli USA nella guerra del Vietnam e le significative autolimitazioni statunitensi nell’uso della forza.
In campo NATO, i nuovi indirizzi geostrategici americani suscitavano serie preoccupazioni.
Non sfuggiva, infatti, che le ipotesi di deterrenza nucleare erano condizionate da valutazioni soggettive americane, nelle quali assumeva crescente consistenza le ipotesi di scambio nucleare limitato al solo territorio europeo, utilizzando ‘armi di Teatro’ (talora definite come ‘armi nucleari tattiche’) ed evitando il ricorso ad ‘armi strategiche’. Dubbi destinati a permanere anche dopo l’adozione – nel 1967 – da parte