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Come ripetutamente sottolineato, la mancata ammissione dello status nucleare esclude la possibilità di individuare una enunciazione ufficiale della postura strategica israeliana, che deve pertanto essere dedotta sulla base degli elementi disponibili.

411

Da: Wade M., RSA, (2008), accessibile alla pagina Web: http://www.astronautix.com/ (16.11.2009); Sublette C., Report on the 1979 Vela Incident, (1 September 2001),op.cit.; NuclearWeaponArchive.org, South’s

Africa Nuclear Weapons Program-Building Bombs, (7 September 2001), op.cit.;

NuclearWeaponArchive.org, South’s Africa Nuclear Weapons Program-Putting Down the Sword, (7 September 2001) op.cit.;

412 Da: Creveld M. van, Nuclear Proliferation and the Future Of Conflict, The Free Press, New York, 1993, p. 105; Wade M., RSA, (2008), op.cit.;

413 il Popeye-II è versione aggiornata del missile israeliano adottato anche USAF nel 1998-99 ed impiegato per armare i bombardieri a lungo raggio B-52H. Le armi venivano utilizzate in missioni di attacco di precisione

stand-off durante la campagna in Afghanistan del 2001.

Da: Globalsecurity.com, AGM-142 Raptor, Popeye I Have Nap, Popeye II Have Lite; accessibile alla pagina Web: http://www.globalsecurity.org/wmd/world/israel/ (03-10.2007);

414

Da: Wisconsin Project on Nuclear Arms Control, 2006, op.cit.; 415

La scelta di mantenere una ‘nuclear-opacity’/‘nuclear-ambiguity’ risponde alla volontà di conferire alle opzioni geostrategiche israeliane ampi margini di incertezza, ritenuti funzionali per il perseguimento degli obiettivi del governo israeliano.

Peraltro, in prospettiva storica, la postura strategica israeliana non lascia spazio a dubbi interpretativi in merito alla determinazione dell’esecutivo nel ricorrere ad ogni strumento disponibile per tutelare la sicurezza nazionale, ogni qualvolta venga percepita una grave ed imminente minaccia – convenzionale o non convenzionale – alla sopravvivenza dello Stato di Israele. A tale scopo, Israele ha approntato e mantiene uno dei più completi ed efficaci strumenti militari offensivi e difensivi della regione, incentrato su una robusta capacità convenzionale, usata in varie occasioni applicando i principi della ‘preemptive-strategy’.

Le avanzate potenzialità missilistiche e spaziali del Paese dilatano tale capacità oltre i normali limiti delle capacità convenzionali, così come tradizionalmente intese.416

La possibile disponibilità di missili cruise a lunga portata – eventualmente armati con testate nucleari – imbarcati su sommergibili ad elevate prestazioni, ampia autonomia e difficilmente rilevabili, aggiunge una nuova dimensione alla impostazione geostrategica israeliana.

Secondo il parere espresso da numerose fonti, nell’ambito della deterrenza realizzata dalla ‘nuclear-opacity’, Israele può attuare forme di ‘punitive-deterrence’, utilizzando strumenti che sono in grado di conferire una credibile ‘second-strike-capability’.

In passato, è emersa anche la capacità di utilizzare tali strumenti per segnalare in modo particolarmente efficace ed inequivocabile – attraverso misure sicuramente rilevabili dai destinatari – il raggiungimento della soglia di tolleranza nella percezione della minaccia.417

Fra i vari casi in cui da parte israeliana si potrebbe superare la soglia della risposta nucleare, le ipotesi più plausibili riguardano possibili penetrazioni di forze nemiche nelle aree più densamente abitate, bombardamenti massicci – aerei o missilistici – contro centri urbani, l’eventuale uso di armi chimiche o biologiche o attacchi nucleari

416

Da: Cordesman H. A., June 2002, op.cit.;

417 ad integrazione degli esempi segnalati, l’8 ottobre 1973, immediatamente dopo l’attacco egiziano, il primo ministro israeliano Golda Mayer ordinava lo stato di allerta permanente (h 24) di otto cacciabombardieri F-4 armati con ordigni nucleari, cui si aggiungevano vari lanciatori missilistici schierati sulla base di Sedot Mikha. Nella stessa prospettiva geostrategica può essere interpretato il raid aereo – particolarmente impegnativo sotto il profilo tecnico-operativo – che il 7 giugno 1981 distruggeva il reattore irakeno in costruzione ad Osirak. Anche se non del tutto chiarito, l’attacco israeliano (Operazione Orchad) del 6 settembre 2007 nella regione di Deir ez-Zor, in Siria, avrebbero avuto lo scopo di distruggere una installazione nucleare siriana. Da: Hersh M.S., 1991, op.cit. pp. 225-230; New York Times, North Korea

condotti contro il territorio israeliano. Oltre, naturalmente, ad attacchi diretti contro le componenti del deterrente nucleare, come ad esempio la distruzione dell’aeronautica israeliana, considerata un assetto strategico della deterrenza. 418

Dopo la conclusione della seconda Guerra del Golfo e la definitiva sconfitta dell’Iraq di Saddam Hussein, dal punto di vista israeliano lo scenario geostrategico si sviluppa su tre livelli, che dal punto di vista geografico si presentano concentrici: il conflitto israelo-palestinese, il confronto con la Siria e la minaccia rappresentata dall’Iran.

Considerato il tema del presente studio, solo le ultimi due tematiche presentano aspetti pertinenti, dal momento che i semplici razzi di costruzione artigianale, tipo ‘Qassam’, utilizzati da Hamas e dalle formazioni palestinesi della striscia di Gaza, hanno effetti prevalentemente psicologici, con limitata rilevanza sul piano tattico ed operativo, ma non su quello politico.419

Le preoccupazioni israeliane paiono invece focalizzate sulle incognite rappresentate soprattutto dai programmi missilistici e nucleari di Damasco e di Teheran (esaminati in altra parte), da cui provengono le minacce percepite come maggiormente pericolose. Peraltro, queste due fonti di rischio geostrategico non sono separate, ma le loro forti interconnessioni risultano amplificate dalle intricate vicende del Libano. Da quest’area, infatti, proviene una terza emergente minaccia missilistica, di natura asimmetrica, rappresentata dai numerosi razzi e missili in dotazione alle milizie di Hezbollah.420 Alle crescenti capacità militari si accompagnava un significativo livello di pragmatismo,flessibilità, sofisticata consapevolezza del contesto ed ampia visione geostrategica. Qualità ripetutamente dimostrate sia sul piano politico che su quello tecnico-militare.421

418 Da: Cohen A., 1998, op.cit., pp. 237-238 419

Da: Siboni Gabriel, The Operational Aspects to Fighting the Quassam , Tel Aviv University-Jaffee Center for Strategic Studies, Tel Aviv, 2006, accessibile alla pagina Web: http://www.tau.ac.il/jcss/sa/volume9_3.html (03.10.2007)

420 sfruttando favorevoli contingenze, nel corso degli anni ’90 Hezbollah riusciva a trasformarsi da milizia dissestata in una forza sociale e militare particolarmente legittimata e con significativa influenza sulle vicende politiche libanesi, di cui diventava parte integrante. Tale risultato, definito anche ‘Lebanonization

Process’, veniva ottenuto combinando abilmente le tecniche della guerriglia e del terrorismo, con efficaci

iniziative sociali a livello locale, in un contesto di diffuso caos politico e sociale che caratterizzava la scena libanese. Gli scontri con le forze israeliane dell’aprile 1997 (Operation Grapes), con le vittime e le distruzioni che normalmente accompagnano le vicende belliche, non logoravano il movimento, che anzi ne usciva compattato e rafforzato, assumendo il ruolo di principale difensore della sovranità libanese contro l’occupazione israeliana. Nelle attività militari di Hezbollah, una aliquota di crescente rilievo era costituita da frequenti attacchi stand-off, attuati utilizzando razzi di vario tipo e potenza. Nel solo mese di aprile 1996 sono stati registrati 489 attacchi con razzi contro obiettivi israeliani.

Da: Ranstorp M., The Strategy and Tactics of Hizballah’s Current ‘Lebanonization Process’, in: “Mediterranean Politics”, Vol. 3, No. 1, Summer 1998, p. 103-105;

421

come ad esempio nella neutralizzazione della South Lebanese Army (SLA), la milizia filo-israeliana forte di circa 3.000 elementi che controllava il Libano meridionale. L’azione di Hezbollah veniva organizzata

Nonostante la limitata consistenza numerica, in occasione degli scontri dell’estate 2006 Hezbollah confermava le propria capacità militari, anche nell’effettuazione di sofisticati attacchi stand-off contro obiettivi urbani in territorio israeliano (col lancio complessivo di oltre 10.000 ordigni di vario tipo), attuati sfruttando tattiche, tecniche e procedure di guerra asimmetrica, in parte mutuate da quelle applicate durante guerra del Vietnam.422 Oltre che suscitare serie polemiche politiche in Israele 423, questi attacchi dimostravano concretamente il sostanziale salto di qualità intervenuto nelle relazioni fra Hezbollah, la Siria e l’Iran. Quest’ultimo Paese, oltre ai consistenti aiuti finanziari indispensabili per alimentare le iniziative in campo sociale, forniva anche armamenti pesanti, sofisticati equipaggiamenti militari e consulenza tecnico-militare.424

combinando attività di natura mediatica (sullo stile della information-warfare) con attacchi diretti, attività di intelligence, infiltrazione di propri elementi e misure di informazione/disinformazione. Ne risultava una serie di defezioni che minavano il morale della SLA, determinandone la disarticolazione e lo sfaldamento.

Da: Ranstorp M., Summer 1998, op.cit., pp. 112-113; 422

per approfondimenti sulle modalità degli attacchi stand-off contro le installazioni statunitensi in Vietnam, si vedano le sintesi delle ‘lezioni apprese’ contenute nella pubblicazione: US Army Military Assistance Advisory Group Vietnam (MAAG), March 1969, op.cit.;

423 secondo gli approfondimenti effettuati da Rubin Uzi, esperto militare israeliano, le IDF non erano preparate ed equipaggiate in modo idoneo per contrastare efficacemente gli attacchi missilistici. I modesti risultati conseguiti erano sostanzialmente attribuiti a carenze sul piano addestrativo, riconducibili sia ai molti anni trascorsi svolgendo compiti in contesti di conflittualità a bassa intensità, sia ai tagli del bilancio delle IDF. Da: Opall-Rome B., Israeli Experts Debunk Lebanon War Claims, in: “Defense News”, June 18, 2007; Ophir Noam, Back to Ground Rules: Some Limitations of Airpower in the Lebanon War, Tel Aviv University-Jaffee Center for Strategic Studies, Tel Aviv, August 2006, accessibile alla pagina Web: http://www.tau.ac.il/jcss/sa/volume9_2.html (03.10.2007); Ophir Noam, Look Not to the Skies: The IAF vs.

Surface-to-Surface Rocket Launchers, Tel Aviv University - Jaffee Center for Strategic Studies, Tel Aviv,

November 2006, accessibile alla pagina Web: http://www.tau.ac.il/jcss/sa/v9n3p5Ophir.html, (03/10/2007); 424 oltre ad armamenti leggeri ed equipaggiamenti militari di vario tipo, incluse apparecchiature per

l’intercettazione telefonica, l’Iran forniva vari tipo di razzi e missili, anche di elevate prestazioni, in aggiunta all materiale messo a disposizione dalla Siria. Le forniture siriane comprendevano, fra l’altro, razzi da 122mm ‘Grad’ (gittata 50 km), da 220 mm ‘Raad’ (70 km) e da 302 mm ‘Khaibar-1’ (90-100 km).

Da parte sua, l’Iran inviava razzi da 240 mm ‘Fajr 3’ (portata 43 km, testata da 45 kg), da 320 mm ‘Fajr-5’ (75 km, testata 175 kg), e da 600 mm ‘Zelzal-2’ (250 km, testata 600 kg). In particolare, il Zelzal-2, derivato dal sistema sovietico FROG-7, viene lanciato da un TEL ruotato ed è accreditato di una portata stimata fra i 115 ed i 220 km. Le attività di bombardamenti stand-off erano supportate ed integrate da ricognizioni aeree, condotte utilizzando velivoli non pilotati (UAV), fra i quali 24-30 sistemi tipo Mirach-1 (denominazione locale dei Mohajer iraniani), dotati di guida GPS e capaci di trasportare 40-50 kg di carico utile sino a 450 km. Ancor più rappresentativo del grado di sofisticazione operativa raggiunto dalla milizia di Hezbollah era l’impiego del missile antinave di costruzione cinese tipo C-802 (o YJ-2, portata 120 km con testata di 165 kg). Un C-802, venduto all’Iran e trasferito ad Hezbollah, veniva lanciato dalla costa libanese e colpiva una unità navale israeliana classe Saar-5, infliggendo gravi danni. Un secondo missile danneggiava un mercantile in navigazione lungo le coste libanesi. Secondo le dichiarazioni del leader di Hezbollah, Nasrallah, la milizia sciita aveva ricevuto complessivamente 20.000 ordigni autopropulsi, di cui circa 10.000 venivano lanciati contro il territorio israeliano durante i combattimenti del giugno 2006, indicati anche come ‘Israel-Hezbollah

war’, a sottolineare ulteriormente l’asimmetria degli attori dello scontro.

Da: Cordesman H. A., Popescu C. I., August 15, 2007, op.cit., pp. 72-75; Cordesman H. A., September 11, 2006, op.cit, pp. 21-22, 37-39; Cordesman H. A., Al-Rodhan R. K., June 28, 2006, op.cit.; Hughes R., Tier

Non mancano riflessioni, da parte siriana, circa l’opportunità di implementare nelle unità regolari le tattiche di Hezbollah, dimostratesi efficaci contro le forze israeliane, al fine applicarle nel prossimo scontro con le IDF.425

Come accennato, per attenuare l’intrinseca vulnerabilità del proprio deterrente nucleare, concentrato in poche basi localizzate in un territorio di limitata estensione, Israele sembrerebbe intenzionato a costituire un terzo pilastro della ‘triade’, quello navale. In particolare, i tre sottomarini Dolphin in servizio (più due ordinati nel 2006), dotati di ampia autonomia ed elevata silenziosità, possono costituire valide piattaforme per missili da crociera a lunga portata (1.500 km). L’eventuale implementazione della formula potrebbe rappresentare una credibile ‘second-strike-capability’ per uno Stato che, per ragioni geografiche e demografiche, non è in grado di assorbire un attacco, anche attuato con un numero limitato di WMD (one-bomb-country).

Per questo, è probabile che l’eventuale risposta arriverebbe immediatamente, non essendo individuabili – da parte israeliana – valide ragioni per dilazionare la rappresaglia. Questa impostazione strategica servirebbe, inoltre, per dissuadere eventuali tentazioni di sfruttare la debolezza israeliana dopo un primo, limitato attacco.426 Esistono indicazioni che, nel caso di crisi maggiori, Israele sia in grado di disperdere le forze aeree e, soprattutto, le vulnerabili unità missilistiche. A questo, si aggiungerebbero alcune procedure per acquisire capacità di launch-on-warning e/o launch-under-attack, che verrebbero integrate dalla second-strike-capability conferita dall’imbarco su sottomarini di parte del deterrente nucleare.427

La politica di sicurezza israeliana è basata sulla consolidata percezione della volontà degli Stati arabi di distruggere lo Stato di Israele, sulla mancanza di alleati sicuramente affidabili e sulla conseguente necessità di fare esclusivo affidamento sulle proprie forze. Inoltre esiste la consapevolezza di un rapporto profondamente asimmetrico con i paesi arabo-islamici della regione, sia in termini di condizioni geografiche, demografiche ed economiche, sia di diversa strutturazione degli strumenti militari.

Partendo da questi presupposti, la dottrina strategica si fonda sul concetto di deterrenza, volta a scoraggiare ogni progettualità offensiva dei nemici regionali. In caso di fallimento della deterrenza, gli sforzi israeliani punterebbero a conseguire la vittoria nel minor tempo possibile, avendo coscienza che, viste le particolari condizioni

425 Da: Cordesman H. A., Popescu C. I., August 15, 2007, op.cit., pp. 141-142;

426 Da: Harold H., Could Israel’s Nuclear Assets Survive a First Strike?, in: “Jane’s Intelligence Review”, September, 1997, pp. 407-410; Cordesman H. A., Popescu C. I., August 15, 2007, op.cit., pp.127-128, 137; 427

demografiche del Paese, lunghi tempi di mobilitazione generale causano gravi conseguenze sul piano economico e produttivo.

Questo fattore, unito all’assenza di profondità geografica, impongono una strategia di tipo offensivo, che punta sulla rapidità di movimento e sulla capacità di manovra per spostare quanto prima le operazioni sul territorio nemico e giungere nel più breve tempo possibile al collasso operativo della controparte. Questa impostazione risulta integrata da una dottrina nucleare, nella quale il deterrente israeliano è considerato una indispensabile garanzia per la sopravvivenza dello Stato di Israele. Allo stesso tempo, l’acquisizione di capacità nucleari da parte di Stati arabi e non-arabi della regione è percepito come una grave minaccia esistenziale, da prevenire con ogni mezzo disponibile.

La scelta di mantenere le specifiche capacità in un contesto di ‘nuclear-opacity’ (o ‘nuclear-ambiguity’) è apparentemente motivato dalla duplice esigenza di non fornire spunti per la proliferazione regionale (secondo quanto auspicato da Washington) e di introdurre una effettiva ‘deterrence-through-uncertainty’.

Nonostante lo status di ‘potenza nucleare non dichiarata’, i competitori regionali e le maggiori potenze si relazionano con Israele tenendo implicitamente conto del suo arsenale nucleare differenziato e sofisticato.428

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Nell’instabile e complesso panorama geopolitico e geostrategico del Grande Medio Oriente, esistono innumerevoli ipotesi di confronto in cui potrebbero essere utilizzati armamenti missilistici, in forma diretta, ma soprattutto come strumenti di deterrenza. In questa sezione del presente studio verranno esaminate solo alcune delle possibili combinazioni, apportando le opportune semplificazioni per ragioni di sintesi. Per la stessa ragione, non si esamineranno le cause scatenanti di un possibile confronto militare, variamente rappresentate e profondamente radicate nel recente passato della regione.

Non sfugge, inoltre, che, nell’ipotesi di scontri ad elevata intensità, esistono concrete possibilità di ampliamento dell’area interessata, con il coinvolgimento, diretto o indiretto, di soggetti statuali e substatuali, legati da una serie di alleanze. Alleanze che si

428

sono sviluppate ed intensificate anche in seguito alle recenti ingerenze esterne, che hanno interessato sia l’area del Golfo Persico che quella afghana e pakistana.

Appare tuttavia evidente che, almeno nel breve e medio termine, la profonda crisi interna in cui è entrato l’Iraq dopo la campagna statunitense del 2003, ha accentuato la centralità della posizione iraniana, che una ampia gamma di attori regionali ed extraregionali individua come la principale fonte delle potenziali minacce alla stabilità dell’area.

La percezione della minaccia iraniana è infatti condivisa, per ragioni e con sfumature diverse, da Israele e dal gruppo di paesi alleati degli USA, come anche dall’Arabia Saudita e dagli altri paesi del Golfo. Percezioni a cui non sono estranee le incertezze legate alla normalizzazione dell’Iraq ed al futuro assetto dell’Afghanistan, la cui stabilizzazione costituisce un obiettivo che sembra allontanarsi nel tempo e che interessa direttamente gli equilibri regionali, anche alla luce del pervasivo coinvolgimento saudita e pakistano, prevalentemente in chiave anti.-iraniana.