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3.3.1. Contesto geopolitico e geostrategico israeliano

Proclamato il 14 marzo 1948, già dal giorno successivo lo Stato di Israele si trovava in guerra con gli Stati arabi confinanti, i cui eserciti tentavano di occupare il preesistente mandato britannico della Palestina, scontrandosi con i reparti armati israeliani.

A questa guerra ne seguivano altre, sino ad oggi vinte da Israele, nel 1956, 1967, 1973 e 1982.

Conflitti che marcavano i riferimenti storici di una conflittualità permanente, assicurata dai movimenti palestinesi, attivi sia sul territorio sotto la giurisdizione israeliana, sia nei paesi contermini, spesso alimentata da altri attori internazionali, che la sfruttano per perseguire i propri obiettivi politico-strategici.

La strategia di sicurezza nazionale adottata dallo Stato di Israele è sostanzialmente semplice e si basa sulla premessa che le proprie forze armate (Israel Defense Force, IDF) non possono permettersi di perdere nemmeno una guerra. Per questo motivo, 383 Da: Tarzi A., September 2004, op.cit.;

384 per supporto pakistano al terrorismo islamico, si veda: Tarzi A., Proliferation Assessments: Iran's Strategic

Environment After 9/11, in: Michael Barletta (ed.), "After 9/11: Preventing Mass-Destruction Terrorism and

Weapons Proliferation", Center for Nonproliferation Studies, Occasional Paper No. 8, May 2002, pp. 31-37; Coll S., 2008, op.cit.;

anche l’andamento poco favorevole di una battaglia suscita apprensione ed allarme nelle autorità di governo e nell’opinione pubblica israeliana.

Il problema geostrategico centrale dello Stato di Israele è, infatti, sostanzialmente semplice e direttamente riconducibile a ragioni di natura geografica, legate alla sua ridotta dimensione demografica e, soprattutto, territoriale.

Anche viaggiando a velocità inferiore a quella del suono, un aviogetto impiega meno di 4 minuti per percorrere i circa 70 km che separano il Fiume Giordano dal Mare Mediterraneo. D’altra parte, la ridotta consistenza demografica impedisce di mantenere stabilmente una consistente forza militare, che sottrarrebbe manodopera indispensabile allo sviluppo delle normali attività economiche e produttive del Paese.

Pertanto, in dissonanza con le tendenze prevalenti in Europa dopo il secondo conflitto mondiale, lo strumento militare israeliano veniva modellato secondo strutture organizzative diverse, basate su un nucleo ridotto di personale in servizio permanente, affiancato da numerosi riservisti che, in caso di necessità, vanno ad occupare ogni tipo di posizione e di incarico, anche in funzioni di comando gerarchicamente elevate. Il personale idoneo viene periodicamente richiamato per addestramenti di breve durata, e solo in caso di guerra imminente viene mobilitato per il tempo strettamente necessario. Tale tipo di modello, talora indicate come ‘esercito di milizia’, trova un riferimento di consolidata tradizione nella organizzazione militare adottata dalla Confederazione Elvetica.385

Sul piano geostrategico, la dimensione costituisce, di norma, un problema particolarmente serio, essendo l’elemento centrale in base al quale uomini di stato e militari valutano la situazione politica e strategica e, conseguentemente, definiscono i lineamenti fondamentali della politica di sicurezza nazionale. Attingendo alle vicende militari della storia, si rileva che l’ampia estensione geografica consentiva alla Russia di avere ragione delle invasioni condotte da Napoleone e da Hitler, applicando una strategia basata su una difesa organizzata in profondità, tendente a logorare le forze avversarie e a guadagnare tempo a spese dello spazio.

Al contrario, la compattezza e la mancanza di profondità territoriale di Israele rendevano inevitabile l’adozione di una ‘preemptive strategy’, soprattutto nel confronto dei paesi confinanti, che non mancano occasione per proclamare la loro intenzione di distruggere lo Stato ebraico. Nella guerra dello Yom Kippur del 1973, unico episodio (dopo il 1948) in cui le IDF, si sono trovate inizialmente a combattere sulla difensiva, la

385

vittoria militare veniva conseguita con un prezzo di vite umane più elevato che non negli altri conflitti.386

In questo contesto, la decisione di approntare un deterrente nucleare, comprendente anche missili balistici, rappresentava una scelta razionale, anche considerando l’insolita formula della ‘capacità-non-negata’ scelta per la sua implementazione. È infatti noto che Israele non possiede una dottrina nucleare, anche solo parzialmente esplicitata, come nel caso delle altre potenze atomiche. Veniva invece scelta una formula politica che lo storico Avner Cohen definisce col termine di ‘nuclear-opacity’ (o anche ‘nuclear-ambiguity’), consistente nel possesso di ordigni nucleari dei quali viene negata l’esistenza. Questa politica di ‘ambiguità nucleare’ permetteva al governo israeliano di fruire dei vantaggi connessi con lo status di potenza nucleare, senza però subire le ripercussioni internazionali del riconoscimento ufficiale del proprio arsenale.387

Contemporaneamente, permane un forte impegno e determinazione nel prevenire lo sviluppo di capacità nucleari da parte dei potenziali avversari regionali388, come dimostrato, fra l’altro, dal raid aereo che nel 1981 distruggeva il reattore irakeno in costruzione a Osirak.389

La prima notizia ufficiale del presumibile possesso di armi nucleari era contenuta in una valutazione della CIA del 1968, seguita da altri rapporti, con stime spesso molto differenti in merito al numero e potenza degli ordigni disponibili.390 Pur in assenza di

386 Da: Murray W., Some Thoughts on War and Geography, in: Gray S.C., Sloan G. (eds.), Geopolitics

Geography and Strategy, Frank Cass Publishers, London-Portland, 1999 (reprinted 2003), p. 215;

387

per approfondimenti, si veda: Cohen A., Israel and the Bomb, Columbia University Press, New York, 1998, pp. 277-289, 323-337;

388 Da: Blank J. S. (Editor), Prospects for U.S.Russian Security Cooperation, Strategic Studies Institute (SSI) -Army War College, Carlisle, PA, March 2009, pp. 187-188; accessibile alla pagina Web: http://www.StategicStudiesInstitute.army.mil/ (02.10.2009);

389 l’impianto nucleare iracheno di Tammuz I era chiamato Osirak dai francesi. Il nome derivava dal progetto, che identifica quel tipo di centrale (Osiris) e dal luogo dove essa viene installata (Iraq). Il 7 giugno 1981, cacciabombardieri israeliani F-16, scortati da F-15, attaccavano e distruggevano l’impianto in costruzione, senza subire perdite nonostante la consistente difesa contraerea schierata dagli iracheni. Da: Ali Javid, Spring 2001, op.cit., p. 46; Hersh M.S., The Samson Option. Israel's Nuclear Arsenal and American Foreign

Policy, Random House, New York, 1991, pp. 13, 225, 227-230;

390 Da: Director of Central Intelligence, Special Intelligence Estimate (Prospects for Further Proliferation of

Nuclear Weapons), Director of Central Intelligence, Washington DC, 23 August 1974, (Declassified), pp. 20,

22, 24;

Recenti approfondimenti, sviluppati partendo dalla stima delle capacità di produzione di Plutonio nell’impianto nucleare di Dimona, indicano che, in linea teorica, la disponibilità israeliana di ordigni nucleari potrebbe essere compresa fra i 70-80 e gli oltre 300. Secondo le varie ipotesi avanzate dagli analisti, sarebbero presenti bombe per aereo e testate per missili, oltre a proiettili di artiglieria pesante (questi ultimi, destinati ad impieghi tattici). Accanto ad ordigni ad implosione, realizzati con tecnologie sofisticate, sarebbero presenti anche ordigni ERW (Enhanced-radiation-weapon, meglio conosciuti come ‘bombe al neutrone’) o a radiazione controllata. Nel maggio 1989, il direttore pro-tempore della CIA affermava che Israele era impegnato nella realizzazione di ordigni termonucleari, da inserire nel proprio arsenale nucleare.

indicazioni ufficiali relative ai programmi nucleari, gli analisti ritengono che nell’arsenale israeliano sia presente una ampia gamma di ordigni di varia potenza, incluse bombe a fissione rinforzata (boosted-fission-bomb) e bombe ‘ai neutroni’ (ERW, enhanced-radiation-bomb). Ordigni progettati per l’impiego come bombe d’aereo, testate di missili, granate di artiglieria.391

Il numero complessivo degli ordigni nucleari disponibili è oggetto di valutazioni controverse.

Le stime più attendibili indicano la presenza fra i 100 ed i 300 ordigni, basandosi sulle capacità di produzione di materiale fissile degli impianti nucleari di Dimona392 e Beersheba, costruiti nel deserto del Negev, finanziati sin dalla fine degli anni ’40 e costruiti nella seconda metà degli anni ’50, col supporto tecnico francese.

Non risultano test nucleari con esplosione di ordigni, anche se i programmi nucleari israeliani sono talvolta messi in relazione con la sospetta detonazione nucleare, che potrebbe essere stata rilevata il 22 settembre 1970, nell’Oceano Indiano meridionale. L’episodio, noto anche come ‘incidente Vega’ (dal nome del satellite statunitense implicato nel controverso rilevamento), viene normalmente associata ad un possibile esperimento nucleare sudafricano, con la sospetta implicazione di tecnici israeliani.393

Accanto agli ordigni nucleari di potenza di 10 o 20 KT, sarebbero disponibili anche ordigni di oltre 100 KT, mentre alcune fonti avanzano ipotesi sulla possibile presenza di testate missilistiche da 1 MT.

Da: Toukan A., Cordesman H. A., Study on a Possible Israeli Strike on Iran’s Nuclear Deployment

Facilities, Center for Strategic and International Studies (CSIS), Washington DC, March 14, 2009, p. 8-15,

16;accessibile alla pagina Web: http://www.csis.org/burke/reports (03.09.2009); Cordesman H. A., Popescu C. I., August 15, 2007, op.cit., pp. 129-130;

Globalsecurity.com, Israel: Nuclear Weapons-Nuclear Weapons Stockpile-Nuclear Weapons Testing; accessibile alla pagina Web: http://www.globalsecurity.org/wmd/world//israel/ (03.10.2007)

391

secondo alcune fonti ritengono, nel corso della guerra del 1973, le IDF avrebbero schierato tre batterie di semoventi M-107, armati con cannoni a lunga gittata da 175/60, nelle cui dotazioni di munizioni potevano essere presenti anche granate nucleari. Inoltre, negli anni ’80 sulle alture del Golan sarebbero state posizionate alcune mine nucleari (ADM, Atomic Demolition Mine).

Da: Globalsecurity.com, Israel: Strategic doctrine, op.cit.;

392 esistono valutazioni contrastanti per quanto concerne la capacità della centrale nucleare di Dimona di produrre plutonio idoneo alla costruzione di armi nucleari. A livello teorico, si ritengono necessari 4-5 kg di plutonio per ogni ordigno nucleare, mentre viene stimata realistica una produzione giornaliera di 0,9-1 grammi di plutonio per ogni Megawatt – MW – di potenza del reattore nucleare, nel quale venga impiegato uranio arricchito al 20% o inferiore. Le discordanze scaturiscono dalla diversa potenza attribuita all’impianto. La potenza di progetto, infatti, era pari a 26 MW, ma in fase di costruzione veniva aumentata a 70 MW. Ulteriori valutazioni, basate su stime rapportate ad un probabile sovradimensionamento dell’impianto di raffreddamento, indicano in 150 MW l’attuale potenza di esercizio della centrale, anche se alcune fonti – peraltro prive di riscontri documentali – arrivano ad ipotizzare potenze pari o superiori ai 200 MW. Da: Toukan A., Cordesman H. A., March 14, 2009, op.cit., pp. 9-10;

393 alle ore 0100 GMT del 22 settembre 1979, il satellite statunitense Vela-6911 rilevava due flash luminosi nell’Oceano Indiano meridionale, nei pressi dell’isola sudafricana di Prince Edward. Sul satellite erano montati due sensori ottici (bhangmeter) ed un sensore di impulsi elettromagnetici. Vela-6911 apparteneva alla famiglia di satelliti lanciati, a coppie, fra il 1963 ed il 1970, al fine di rilevare eventuali test nucleari in violazione del Limited Test Ban Treaty (LTBT) del 1963. Gli impulsi luminosi rilevati il 22 settembre ’79, venivano inizialmente associati all’ipotesi di una esplosione nucleare, a bassa quota e di limitata potenza (circa 3 KT), anche se mancavano dati di conferma a causa dell’avaria di una parte dei sensori del satellitare,

La peculiare capacità degli ordigni nucleari di favorire il conseguimento di obiettivi geostrategici, senza la necessità di detonare veniva utilizzata nelle prime fasi della guerra del 1973, quando Israele decretava lo stato di allerta nucleare, nella consapevolezza che questo avrebbe rappresentato un segnale inequivocabilmente rilevabile ed interpretabile sia dagli USA sia dall’URSS.394

In ogni caso, anche nell’intento di rassicurare Washington, la politica di sicurezza israeliana continuava a considerare quale pilastro fondamentale la superiorità convenzionale data dalle capacità delle IDF rispetto ai competitori regionali. Superiorità convenzionale intesa come prodotto delle capacità sinergicamente espresse dalle tre forze armate, dalla qualità dell’azione di pianificazione, di comando e controllo, dalla tempestività e precisione dell’intelligence, dall’impiego ottimale dei sistemi d’arma moderni, nonché dall’elevato grado di mobilità ed autonomia decisionale attribuito sino ai minimi livelli ordinativi.

In tale quadro, la capacità conferita dall’arsenale nucleare assumeva valore esclusivamente politico e veniva considerata come ultima risorsa, da utilizzare in casi di reale emergenza.

il quale aveva già superato di oltre sette anni la prevista vita operativa. Il Sudafrica negava ogni coinvolgimento, mentre mancavano evidenze che potessero ricondurre il fenomeno a test sovietici o cinesi. Ulteriori accertamenti portavano ugualmente a risultati non univoci, anche se alcune evidenze potevano confermare l’ipotesi di una esplosione a bassa potenza, sulla superficie o immediatamente sotto la superficie marina. Un precedente esperimento nucleare israeliano, senza esplosione (implosion proof of principle or –

zero yield), era stato ipotizzato come verificatosi nel deserto del Negev, il 2 novembre 1966, senza peraltro il

conforto di successive conferme. Da: Globalsecurity.com, Israel: Nuclear Weapons Testing; op.cit.; Toukan A., Cordesman H. A., March 14, 2009, op.cit., p. 8; Sublette C., Report on the 1979 Vela Incident, (1 September 2001); accessibile alla pagina Web: http://nuclearweaponarchive.org/index.html (18.11.2009) 394 Secondo varie fonti, Mosca avrebbe provveduto ad informare la leadership egiziana del fatto che Israele

aveva armato tre ordigni nucleari, mentre Washington, alla luce di questo evento, avrebbe modificato il proprio atteggiamento dinanzi alle richieste israeliane di forniture urgenti di armamenti convenzionali, che venivano inoltrate utilizzando un imponente ponte aereo. A spiegare l’atteggiamento sovietico anche la consapevolezza che Israele possedeva la capacità non solo di colpire i vicini paesi arabi con aerei e missili, ma era in grado di utilizzare alcuni dei 50 cacciabombardieri F-4, ricevuti nel 1968, per trasportare ordigni nucleari sino a Mosca. Inoltre, i sovietici erano al corrente degli sforzi profusi negli anni precedenti dall’intelligence israeliana per raccogliere informazioni (dati militari, topografici ed immagini satellitari) utilizzabili per il targeting strategico. Il primo allertamento nucleare israeliani viene fatto risalire al 1967, quando durante la ‘guerra dei sei giorni’ il primo ministro Eshkol avrebbe ordinato di armare i due ordigni nucleari all’epoca disponibili. Successivamente, durante le prime incerte fasi della ‘guerra dello Yom Kippur’ del 1973, dinanzi alla prospettiva di una possibile sconfitta, il primo ministro Golda Maier ordinava alle IDF di assemblare alcuni ordigni nucleari (secondo alcune fonti, 13 bombe da 20 KT di potenza) con i quali venivano armati dei missili Jericho della base di Hirbat Zachariah e dei cacciabombardieri F-4 della base aerea di Tel Nof. Da: Globalsecurity.com, Israel: Strategic doctrine-Nuclear Weapons-Nuclear