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Motivazioni geostrategiche della proliferazione missilistica mediorientale

In termini generali, nella regione mediorientale le acquisizioni di armamenti hanno la tendenza ad innescare un “effetto domino” e una vivace corsa agli armamenti. La proliferazione negli Stati del Golfo Persico e, in generale, negli scenari del Grande Medio Oriente è prevalentemente motivata dalla percezione di gap negli equilibri di

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Da: Lewis N.G., 18 April 1994, op.cit.; Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op. cit., p. 207; 74

potenza, considerati prevalentemente in prospettiva militare, esistenti fra le proprie forze e quelle dei competitori o dei potenziali nemici regionali.75

In particolare, i missili balistici sembrano esercitano una forte attrazione sulle piccole e medie potenze regionali del Grande Medio Oriente.

Più che il possesso di WMD – che espone lo Stato proliferante a reazioni indesiderate da parte della comunità internazionale – il possesso di vettori balistici si è, infatti, dimostrato di particolare utilità sia nei conflitti che nelle rivalità regionali. Inoltre, il possesso di confermate capacità missilistiche consente a potenze minori di incrementare il proprio prestigio e la propria collocazione internazionale.76

È questo, ad esempio, il caso del test del missile nordcoreano Taepo-dong, un vettore a tre stadi con capacità di immettere in orbita satelliti, che destava sorpresa negli analisti occidentali. Il lancio veniva effettuato nell'agosto 1998, poco dopo la pubblicazione (nel luglio '98) del Rapporto Rumsfeld, nel quale la minaccia missilistica agli USA veniva collocata nel medio o lungo termine.77

Come osservava l’articolista Aaron Karp nel 1991, “…mentre le armi nucleari e chimiche rimangono nascoste sotto i veli del segreto di Stato, i missili a lungo raggio sono il tema centrale delle parate…”78.

Infine, sotto il profilo politico e militare, gli armamenti missilistici risultano non solo meno onerosi, ma anche maggiormente affidabili, in quanto non soggetti alle implicazioni politiche e diplomatiche connesse, nel caso di vettori aerei pilotati, con l’eventuale defezione dei piloti, fenomeno non raro negli scenari mediorientali.79

Nel contesto mediorientale pare difficile attribuire un ruolo univoco agli arsenali missilistici arabo-israeliani presenti nella regione, mentre in altre parti del mondo

75 Da: Sami G. Hajjar, Security Implications of the Proliferation of Weapons of Mass Destruction in the Middle

East, Strategic Studies Institute.(SSI)-Army War College, Carlisle, PA, 17 December 1998, p. 7; accessibile

alla pagina Web: http://carlisle-www.army.mil/usassi/welcome.htm (02.10.2006)

76 Da: Beard M. Timothy e Eland Ivan, Ballistic Missile Proliferation, in: CATO Institute-Foreign Policy Briefing No. 51, Washington DC, February 11, 1999, pp. 1-26, accessibile alla pagina Web: http://www.cato.org. (24.07.2009);

77 Da: Bermudez J. S. Jr., A History of Ballistic Missile Development in the DPRK, Occasional Paper No. 2, MIIS-Center for Nonproliferation Studies, Monterey, 1999, p. 31, accessibile alla pagina Web: http://cns.miis.edu/ (02.10.2008)

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Da: Karp A., Controlling Ballistic Missile Proliferation, in: “Survival”, n. 33, November/December 1991, p. 527

79 le defezioni sono per lo più riconducibili alle manifestazioni di opposizione interna ai vari paesi dell’area (con la sola eccezione di Israele), i quali risultano ugualmente afflitti dal fenomeno.

Da: Safran Nadav, Saudi Arabia: The Ceaseless Quest for Security, Cornell University Press, Ithaca, 1985, p. 428-450;

questo ruolo appare meglio definito, così come è relativamente definito il ruolo di deterrenza attribuito agli arsenali missilistici di India e Pakistan.

Israele assegna al proprio arsenale missilistico, implicitamente, il ruolo di deterrente, mentre gli avversari lo giudicano uno strumento per mantenere uno status quo percepito come ingiusto.

Durante la guerra del 1991, l’Iraq aveva utilizzato i propri missili contro i paesi dell’area per ottenere tre obiettivi strategici.

Contro l’Arabia Saudita per costringerla ad espellere le forze della coalizione ivi dislocate, contro Israele per provocare una reazione ed innalzare il livello del conflitto. Infine, i missili venivano usati – in modo passivo e a fini di deterrenza – contro l’Iran, già provato dalla “guerra delle città”, al fine di scoraggiarne l’intervento a fianco della coalizione a guida statunitense.

Un altro importante aspetto, sottolineato da autori come Tim McCarthy e Aaron Karp, consiste nel fatto che i vettori balistici non sono espressioni matematiche, ma semplici parametri generali, e pertanto non è appropriato dedurre le intenzioni di un avversario dalle sue capacità missilistiche. Infatti, le filosofie di impiego sono influenzate solo marginalmente dagli aspetti tecnologici, mentre decisiva è invece la strategia che domina le capacità tecniche.80

Nel contesto mediorientale sembra mancare l’esplicitazione di una chiara strategia sul ruolo attribuito alle componenti missilistiche, tanto che anche Israele, Paese che schiera la forza balistica più matura, non ha ancora ufficialmente enunciato una propria strategia d’impiego.

Pur considerando i vantaggi che questa ambiguità consente ai vari attori regionali, il prezzo implicito è rappresentato dalla impossibilità di prevedere opzioni e di avanzare proposte per la soluzione dei problemi fondamentali. 81

In questo quadro, appare illuminante la scoperta, al termine della guerra del 1991 contro l’Iraq, che nel contesto mediorientale risultano invalidate le regole convenzionalmente utilizzate per il calcolo degli arsenali missilistici, che tradizionalmente assegnavano ad ogni lanciatore un totale di tre missili: uno sulla rampa, uno per la ricarica ed uno di riserva. Dalla lista degli equipaggiamenti del Kuwait catturati dall’Iraq, emergeva infatti che ai 12 TEL per missili FROG non erano associati 36 missili, bensì 112, lasciando

80 Da: McCarthy T., Proliferation Pathways: Iraq.s Post-War Missile Acquisition Strategies, prepared for the Commission to Assess the Ballistic Missile Threat to the United States (Rumsfeld Commission), April 15, 1998; Karp A., 1991, op.cit., pp. 528

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supporre che erano stati acquisiti 10 missili per ogni lanciatore e che quelli mancanti fossero stati usati in addestramento.

Il problema, evidentemente, si complica in presenza di capacità di fabbricazione in loco, come nel caso dell’Iran e dell’Egitto per quanto si riferisce al sistema SCUD.

Con esclusione di Israele, che dopo la guerra del 1967 proseguiva autonomamente i propri programmi missilistici, gli altri Stati della regione si appoggiano in larga misura su tecnologie e sul supporto fornito da partner stranieri, sviluppando una forma di dipendenza tecnologica (e politica) ancora oggi rilevabile e probabilmente destinata a prolungarsi nel tempo. Dipendenza difficilmente valutabile sotto il profilo qualitativo, complicando le stime sui tempi necessari per il conseguimento dei vari obiettivi ai quali puntano i vari programma sotto esame.

In passato, si reputava che le capacità di un nuovo sistema missilistico venissero riconosciute con 5-10 anni di anticipo sul relativo dispiegamento operativo. Recenti esperienze hanno dimostrato la capacità di alcuni paesi di mantenere per svariati anni il massimo riserbo sui propri programmi di sviluppo, nonostante gli sforzi delle contrapposte intelligence.

In relazione alla capacità della comunità internazionale di influire sulla proliferazione missilistica attraverso regimi di controllo, quali il Missile Technology Control Regime (MTCR, cui si accenna nel prosieguo), numerosi studi hanno evidenziato come le scelte dei decisori politici mediorientali siano influenzate solo parzialmente da fattori di politica internazionale, mentre risultano rilevanti esigenze di politica interna.82

In relazione agli scenari che si aprirebbero nell’ipotesi di capacità iraniane in campo nucleare e dei missili a lungo raggio, alcuni analisti non escludono l’ipotesi di un loro utilizzo per assicurare migliori livelli di autodifesa, considerata la sostanziale debolezza degli assetti convenzionali del Paese.83

In questa ipotesi, i maggiori interrogativi vengono collegati ad eventuali iniziative militari degli Stati Uniti, che potrebbero intervenire al fine di salvaguardare la loro attuale posizione internazionale ed il loro ruolo globale.84

Relativamente concorde l’atteggiamento verso i progetti americani di difesa antimissile, la cui presenza non è considerata una panacea per le molte problematiche sollevate dalla

82 Da: Karp A., Regional Perspectives: the Middle East, in: Potter C. W., Simpson J. (editors), International

Perspectives on Missile Proliferation and Defenses, (Occasional Paper No. 5), MIIS-Center for

Nonproliferation Studies, Monterey, March 2001, pp. 55-57; accessibile alla pagina Web: http://cns.miis.edu/ (03.10.2002)

83 al riguardo, si rinvia a quanto tratteggiato nel successivo para. 3.2. 84

una sintetica analisi degli scenari di un intervento militare statunitense contro installazioni missilistiche e nucleari iraniane è delineata nel successivo para. 4.

proliferazione missilistica, anche se le diverse prospettive sono accomunate da una marcata incertezza circa il reale impatto sugli equilibri strategici nella regione mediorientale.85

Nel subcontinente indiano, Pakistan ed India considerano i missili balistici come vettori destinati al trasporto di testate atomiche, tanto che la massa dei rispettivi arsenali nucleari – in passato, prevalentemente affidata ai vettori aerei – sta gradualmente migrando verso vettori missilistici, al pari di quanto già attuato dalla confinante Cina. Comprensibilmente, l’attenzione sulle dinamiche della proliferazione nell’area si è riaccesa alla ripresa dei test nucleari e missilistici del 1998, considerata la marcata ostilità che caratterizza le relazioni fra i due paesi, la breve distanza dei rispettivi obiettivi dalla linea confine (con annullamento dei tempi di preavviso) e la possibile incidenza delle nuove capacità indiane e pakistane sugli equilibri geostrategici del Grande Medio Oriente. Preoccupazioni successivamente rientrate, almeno in parte, anche per la misure adottate dalle due potenze regionali, che hanno mantenuto i loro arsenali nucleari in condizioni di minimo allertamento.86

Anche i test missilistici iraniani del giugno 1998 (Shahab-3) e del giugno 2000 (Shahab, con gittata di 1.450 km), come anche i test indiani dell’aprile 2000 e del gennaio 2001 (Agni-II) sono stati gestiti dai paesi interessati in modo da evitare reazioni o suscitare percezioni indesiderate.

I programmi missilistici di Pakistan ed India vengono alimentati dall’impulso originato da una molteplicità di fattori endogeni di natura politica e militare, di prestigio nazionale e di aspettative interne. Una prima considerazione deriva dall’impiego (minacciato) di missili superficie-superficie nel corso della guerra arabo-israeliana del 197387 e (reale) della guerra Iran-Iraq del 1980-88, i quali, nonostante la loro dubbia efficienza sotto il profilo militare, anche armati con testate convenzionali si sono dimostrati decisivi per il conseguimento di rilevanti obiettivi geopolitici e geostrategici.

85 Da: Karp A., March 2001, op. cit., pp. 58-60 86

per un approfondimento delle impostazioni strategiche nucleari, incentrate sul concetto di ‘force-in-being’, in corso di sviluppo nel subcontinente indiano, si veda:

Tellis J. A., India’s Emerging Nuclear Posture: Between Recessed Deterrence and Ready Arsenal, RAND (Project Air Force), Santa Monica, CA, 2001, pp. 447-580 e pp. 631-721

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secondo fonti intelligence, nel 1973, immediatamente dopo l’attacco egiziano che segnava l’inizio della ‘guerra dello Yom Kippur’, temendo una possibile sconfitta, il primo ministro israeliano ordinava di assemblare degli ordigni nucleari, con i quali venivano armati alcuni missili Jericho ed alcuni cacciabombardieri F-4. Da: Globalsecurity.com, Israel: Strategic doctrine – Nuclear Weapons – Nuclear

Weapons Stockpile; accessibile alla pagina Web: http://www.globalsecurity.org/wmd/world/israel/

A livello operativo, durante la guerra civile in Afghanistan negli anni ‘90, il massiccio intervento di missili SCUD permetteva alle forze governative di rompere l’assedio di Jalalabad. Analoga attenzione suscitava il positivo impiego di 32 missili ATACM (Army Tactical Missile), lanciati nel 1991 dall’esercito statunitense contro postazioni di missili contraerei, centri logistici, schieramenti di artiglieria e lanciarazzi, e contro ponti iracheni. Gli analisti strategici indiani hanno analizzato anche il massiccio uso di missili da crociera Tomahawk, armati con testate convenzionali, lanciati nel 1998 contro sospetti centri di addestramento per terroristi in Afghanistan e, nell’estate 1999, contro la Serbia.

Obiettivi simili sono stati identificati negli scenari dell’Asia meridionale, mentre a livello locale si regista la tendenza ad assimilare il missile indiano Prithvi al sistema statunitense ATACM ed al russo TOCHKA, considerati simili anche per quanto attiene il grado di precisione alla massima distanza.

Secondo fonti indiane, i primi missili venivano introdotti nel subcontinente indiano come componenti dei sistemi d’arma di prevalente provenienza americana acquistati dal Pakistan e l’India iniziava ad interessarsi di vettori superficie-superficie solo durante la guerra Iran-Iraq, sollecitata anche da informazioni sul possibile interesse pakistano nei confronti di missili dotati di testate chimiche. Altri autori fanno osservare che se servono 5-8 anni per sviluppare sistemi di questo tipo, la comparsa ravvicinata dei due vettori, alla fine degli anni ’80, autorizza a supporre che entrambi i programmi siano stati avviati, pressoché contemporaneamente, nei primi anni ‘80. Affermazioni attribuite al primo ministro Benazir Bhutto all’epoca del primo lancio del Hatf-I (80 km di gittata), collocavano l’inizio del programma missilistico pakistano intorno al 1974. Indubbiamente, un significativo impulso agli sforzi missilistici indiani veniva registrato in seguito dell’acquisizione da parte del Pakistan di missili cinesi tipo M-11, atto percepito dall’India come particolarmente destabilizzante per la sicurezza nazionale.88

88 i vettori MTBM cinesi tipo M-11,acquisiti dal Pakistan nel 1992, hanno portata di 280-320 km e sono stati progettati per trasportare, in alternativa, una carica convenzionale di 500-800 kg o una testata nucleare. Da: Missile Threat.com, accessibile alla pagina Web: http://missilethreat.com/ (23.11.2009); Globalsecurity.org, accessibile alla pag Web: http://www.globalsecurity.org/wmd/world/pakistan/missile.htm (23.11.2009)