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Nell’annualità in rassegna le decisioni in materia di astensione e ricusazione hanno confermato la tendenza, ormai consolidata, a intravedere nelle fattispecie di astensione obbligatoria del giudice indicate nell’art. 51 c.p.c. una deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge e, quindi, come istituti di stretta interpretazione.

In linea con tale impostazione Sez. 2, n. 25487/2021, Giannaccari, Rv.

662255-01, ha affermato che il giudice che abbia partecipato soltanto all’attività istruttoria nel corso del giudizio di primo grado, senza poi prendere parte alla decisione della causa, non ha alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado e non è, pertanto, gravato dal dovere di astensione ex art. 51, n. 4, c.p.c., dovendosi la conoscenza della causa come magistrato in altro grado di giudizio riferire alla partecipazione alla decisione di merito e non ad atti istruttori nel giudizio di prime cure.

Secondo Sez. U, 22302/2021, Vincenti, Rv. 662229-04-05, nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, al fine di integrare il motivo di ricusazione ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere il giudice “dato consiglio...

nella causa”, occorre che il “consiglio” sia rivolto alla parte ed alimentato da una concreta base informativa e si esprima sugli esiti della specifica controversia, sia pure senza assumere i caratteri di un responso dalla particolare valenza tecnica.

In applicazione del principio la Suprema Corte ha escluso che un componente della Sezione disciplinare del CSM - nell’ambito di un colloquio con un magistrato che non aveva rivestito la qualità di parte nel procedimento disciplinare né all'epoca dei fatti, né successivamente - avesse prestato consiglio sulla vicenda, sia perché le dichiarazioni rese erano generiche e si collocavano su un piano di mera acquisita conoscenza di una porzione soltanto dei fatti, sia perché le esternazioni

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non prefiguravano possibili esiti o sviluppi del procedimento a carico dell'incolpato.

L’anzidetta pronuncia ha anche precisato che nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, al fine di integrare il motivo di ricusazione ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere il giudice deposto nella causa come testimone, occorre che la testimonianza sia già precedentemente resa nella stessa controversia da giudicare.

Di particolare interesse è, inoltre, Sez. U, n. 08563/2021, Falaschi, Rv.

660878-01, secondo cui il magistrato del P.M. ha l’obbligo disciplinare di astenersi ogni qual volta la sua attività possa risultare infirmata da un interesse personale o familiare giacché l’art. 52 c.p.p., che ne prevede la facoltà di astensione per gravi ragioni di convenienza, va interpretato alla luce dell’art. 323 c.p., ove la ricorrenza di “un interesse proprio o di un prossimo congiunto” è posta a base del dovere generale di astensione, in coerenza con il principio d’imparzialità dei pubblici ufficiali ex art. 97 Cost., occorrendo, altresì, equiparare il trattamento del magistrato del P.M. - il cui statuto costituzionale partecipa dell’indipendenza del giudice - al trattamento del giudice penale, obbligato ad astenersi per gravi ragioni di convenienza ai sensi dell'art. 36 c.p.p.

Merita di essere segnalata anche Sez. 3, n. 01542/2021, Scrima, Rv. 660462-01, secondo la quale il collegio che giudichi del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta.

Secondo Sez. 5, n. 02248/2021, Lo Sardo, Rv. 660487-01, la norma dell’art.

51 n. 4 c.p.c., relativa all'obbligo di astensione del giudice che della causa “ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo”, non è applicabile nell’ipotesi di cassazione per error in procedendo con rinvio cd. restitutorio (o improprio) al medesimo giudice che ha emesso la decisione cassata, atteso che tale giudizio di rinvio, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di rinvio cd.

proprio a seguito di annullamento per i motivi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.

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non si configura come un grado diverso ed autonomo da quello concluso dalla sentenza cassata.

Sul versante processuale, significativi spunti ricostruttivi si traggono Sez. U, n. 00461/2021, Nazzicone, Rv. 660215-01, a mente della quale nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati la proposizione dell'istanza di ricusazione se, per un verso, non sospende automaticamente il giudizio (atteso che l’esigenza di impedire un uso distorto dell'istituto impone di riconoscere al collegio investito della controversia il potere di delibarne in limine l’ammissibilità e di disporre la prosecuzione del procedimento ove ritenga, in forza di una valutazione sommaria, che della ricusazione manchino ictu oculi i requisiti formali), per altro verso obbliga lo stesso organo giudicante a trasmettere il fascicolo al collegio competente a decidere sul fondo della ricusazione, del quale non può far parte il soggetto avverso cui l’istanza è stata proposta, in ragione del principio generale della terzietà del giudice che, essendo stato elevato a garanzia costituzionale dall’art. 111, comma 2, Cost., opera in ogni ambito giurisdizionale.

Facendo applicazione del principio enunciato, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza del Consiglio Nazionale Forense, pronunciata da un collegio composto, tra gli altri, da cinque avvocati ricompresi tra quelli ricusati, la quale aveva dichiarato l’inammissibilità dell'istanza di ricusazione non solo per la ragione formale - peraltro, risultata insussistente - che la stessa fosse stata rivolta nei confronti dell'intero collegio, ma anche per mancata integrazione della denunciata fattispecie della “grave inimicizia” tra giudicanti e giudicati, dedotta dai ricusanti, con ciò indebitamente statuendo sul fondo dell’istanza di ricusazione.

Deve, infine, darsi conto di Sez. 1, n. 40483/2021, Vella, Rv. 663532-01, la quale ha puntualizzato che nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il commissario giudiziale, pur dovendo partecipare necessariamente al procedimento affinché sia accertata l'esistenza dei presupposti per l’omologazione del concordato nei confronti del debitore e siano di conseguenza confermati i suoi poteri, conserva la posizione giuridica di ausiliare del giudice e non diviene parte in senso sostanziale, non essendo portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale della massa dei creditori; di conseguenza, egli non è abilitato all’esercizio di azioni ed è privo anche della legittimazione a proporre ricorso per cassazione.

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2. Ausiliari.

Per quel che concerne la disciplina degli ausiliari del giudice, la produzione giurisprudenziale dell’anno in rassegna ha offerto importanti spunti ricostruttivi sia in merito alla delimitazione del novero delle figure riconducibili entro tale categoria concettuale, sia con riferimento ad alcuni aspetti problematici della liquidazione giudiziale del compenso e del procedimento di opposizione avverso il correlato provvedimento.

In merito al primo dei richiamati profili, interessanti precisazioni si rinvengono in Sez. 1, n. 40483/2021, Vella, Rv. 663532-01, la quale, dando seguito a quanto già statuito da Sez. 1, n. 10632/2007, Panzani, Rv. 597515-01, ha affermato che, nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il commissario giudiziale, pur dovendo partecipare necessariamente al procedimento affinché sia accertata l’esistenza dei presupposti per l’omologazione del concordato nei confronti del debitore e siano di conseguenza confermati i suoi poteri, conserva la posizione giuridica di ausiliare del giudice e non diviene parte in senso sostanziale, non essendo portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale della massa dei creditori; di conseguenza, egli non è abilitato all’esercizio di azioni ed è privo anche della legittimazione a proporre ricorso per cassazione.

Non riveste, invece, la qualità di ausiliario del giudice l’amministratore di condominio nominato dal tribunale ex art. 1129 c.c., in sostituzione dell’assemblea che non vi provvede. Nondimeno, detta figura professionale non può essere equiparata a quella dell’amministratore nominato dall’assemblea, in quanto la sua nomina non trova fondamento in un atto fiduciario dei condomini ma nell’esigenza di ovviare all’inerzia del condominio ed è finalizzata al mero compimento degli atti o dell’attività non compiuta; pertanto, il termine di un anno previsto dall’art.1129 c.c. non costituisce il limite minimo di durata del suo incarico ma piuttosto il limite massimo di durata dell’ufficio, il quale può cessare anche prima se vengono meno le ragioni presiedenti la nomina (nella specie, per l’avvenuta nomina dell’amministratore fiduciario), restando applicabile, ai fini della determinazione del compenso, l’art.1709 c.c. (Sez. 3, n. 11717/2021, Scarano, Rv. 661321-01).

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