La giurisdizione ben può essere definita come la misura della potestas iudicandi attribuita al giudice dall’ordinamento giuridico con riferimento alla cognizione di una controversia.
La questione di giurisdizione è strettamente connessa alla domanda di tutela di una situazione giuridica soggettiva attraverso un giudizio, sicché il momento determinante della giurisdizione coincide con quello della proposizione della domanda (art. 5 c.p.c.).
Si può affermare, pertanto, sul piano teorico, che, data una regiudicanda, ciascun giudice dell’ordinamento è, in astratto, munito del potere di deciderla, tant’è vero che se la decisione emessa nonostante il difetto di giurisdizione passasse in giudicato, essa farebbe “stato” ai sensi dell’art. 2909 c.c.
Tuttavia, il giudice adìto rispetto ad una controversia deve interrogarsi se essa possa essere decisa nel merito o se il potere di deciderla sia stato attribuito, in concreto, dall’ordinamento, al giudice di un diverso plesso giurisdizionale.
La disposizione che attribuisce al giudice ordinario il potere di definire in rito il giudizio nel caso in cui egli ritenga di non essere munito del potere di pronunciare una decisione di merito è l’art. 37 c.p.c.
La questione della sussistenza o meno in capo al giudice di un determinato plesso giurisdizionale del potere di definire nel merito la controversia portata alla sua cognizione può essere preventivamente sollevata dinanzi alle Sezioni Unite della S.C. da una delle parti in contesa, compreso colui che abbia scelto di instaurare la causa dinanzi a quel giudice.
Sul punto, infatti, Sez. U., n. 32727/2018, Lombardo, Rv. 652096-01, hanno affermato che il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto anche dall’attore, sussistendo, in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adìto, un interesse concreto ed immediato alla risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
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in via definitiva, per evitare che la sua risoluzione possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, ritardando la definizione della causa, anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole.
Tuttavia, nel caso in cui l’attore abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito, egli non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto, in quanto non soccombente su tale autonomo capo della decisione (Sez. U., n. 22439/2018, Giusti, Rv. 650463-01).
Tale orientamento è stato ribadito anche in seguito.
Si è deciso, infatti, che, in tema di ricorso straordinario al Capo dello Stato, la parte ricorrente che abbia allegato, come indefettibile presupposto della domanda, la giurisdizione del giudice amministrativo, senza che l’intimato abbia esercitato l’opposizione ex art. 48 c.p.a., né abbia contestato la sussistenza di tale presupposto, eventualmente proponendo regolamento preventivo di giurisdizione, non può proporre ricorso per cassazione ex art. 111, comma 8, Cost. e art. 362 c.p.c. avverso il decreto del Presidente della Repubblica che abbia deciso il ricorso su conforme parere del Consiglio di Stato reso sull’implicito, o esplicito, presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo allegato dalla parte stessa, sul punto non soccombente (Sez. U., n. 29081/2019, Perrino, Rv. 656057-01).
Tuttavia, il regolamento preventivo di giurisdizione è esperibile anche nell’ambito del procedimento attivato dal ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Infatti, ove l’amministrazione intimata abbia proposto opposizione al ricorso ex art. 48 c.p.a., senza contestare la giurisdizione amministrativa, e il TAR l’abbia dichiarata inammissibile per tardività, rimettendo gli atti all’amministrazione per la prosecuzione del procedimento in sede straordinaria, il regolamento preventivo di giurisdizione, con il quale l’amministrazione deduca in tale sede l’insussistenza della giurisdizione amministrativa, presupposto indefettibile del ricorso straordinario al Capo dello Stato ex art. 7, comma 8, c.p.a., ben può essere proposto fino al momento della pronuncia del parere del Consiglio di Stato che, formando il contenuto sostanziale della conforme decisione giustiziale del Presidente della Repubblica, ne costituisce l’antecedente necessario e segna il momento preclusivo per far valere il difetto del presupposto della decisione (Sez.
U., n. 1413/2019, Genovese, Rv. 652244-01).
Il rilievo della questione di giurisdizione potrebbe entrare in conflitto con il principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., considerata l’apparente assenza di preclusioni nel testo dell’art. 37 c.p.c.
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Con riferimento ai tempi processuali entro i quali è possibile rilevare il difetto di giurisdizione del giudice adìto, l’art. 37 c.p.c. dispone che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo.
L’art. 37 c.p.c. indica tre diversi rapporti nei quali può venire in rilievo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario: A) Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione; B) Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dei giudici speciali; C) Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice straniero (secondo l’art. 11 della legge n. 218 del 1995).
Il difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione ha, ormai, una scarsissima incidenza statistica.
Esso identifica l’improponibilità assoluta della domanda, in quanto si riferisce alla deduzione in giudizio di una questione sfornita del tutto di tutela giurisdizionale, in quanto il soggetto che agisce fa valere in giudizio un mero interesse di fatto, che non assume la sostanza né di diritto soggettivo, né di interesse legittimo.
A proposito del difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione, si è detto che esso solo formalmente appartiene al novero delle pronunce meramente processuali, ma sostanzialmente rappresenta un’ipotesi di rigetto nel merito della domanda per insussistenza della situazione giuridica di cui si è chiesta la tutela.
Il difetto assoluto di giurisdizione è stato ravvisato nel caso della proposizione, in sede civile, di una azione risarcitoria diretta contro un magistrato per fatti commessi nell’esercizio della funzione giudiziaria, in quanto essa, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, e salva la previsione dell’art. 13 della detta legge, è improponibile, in quanto concernente un diritto non configurato in astratto a livello normativo dall’ordinamento. Pertanto, la questione integra la deduzione di difetto assoluto di giurisdizione, sindacabile in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (o come motivo di ricorso ex art. 360, comma 1, n. 1 c.p.c.), poiché attiene al perimetro, in astratto delimitato dall’ordinamento, della cognizione giurisdizionale (Sez. U, n. 6690/2020, Vincenti, Rv. 657416-01).
Di converso, si è recentemente ritenuto che la domanda proposta per il risarcimento dei danni che si assumono derivati dall’illegittimo esercizio, in quanto discriminatorio, della potestà legislativa derivante dalla predisposizione, presentazione o mancata modifica di un atto legislativo, non configura un difetto
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assoluto di giurisdizione perché non riguarda controversie direttamente involgenti attribuzioni di altri poteri dello Stato o di altri ordinamenti autonomi, come tali neppure suscettibili di dar luogo ad un intervento del giudice, ma l’esercizio di un diritto soggettivo mediante una comune azione risarcitoria ex art.
2043 c.c., dovendosene escludere, inoltre, anche l’astratta improponibilità per ragioni di materia o di regolamentazione normativa, e neppure rileva la natura politica dell’atto legislativo, deducendosi la sola lesività della disciplina che ne è derivata. Su tali basi, pertanto, è stato escluso il difetto assoluto di giurisdizione con riferimento ad una domanda risarcitoria promossa nei confronti delle autorità che avevano presentato, approvato e non modificato il trattamento fiscale di cui all’art. 1, comma 692, lett. d) della l. n. 160 del 2019, ritenuto costituzionalmente illegittimo perché discriminatorio ed in contrasto col diritto unionale (Sez. U, n. 36373/2021, Terrusi, Rv. 662926-01).
Un’altra ipotesi in cui è stato ravvisato un peculiare difetto di giurisdizione è quello relativo ad una domanda relativa all’attribuzione e alla misura degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari.
La S.C. ha ritenuto che una tale controversia, avendo ad oggetto un istituto che, in quanto proiezione economica dell’indennità parlamentare per la vita successiva all’espletamento del mandato, rientra nella normativa di diritto singolare prevista per il Parlamento e per i suoi membri a presidio della peculiare posizione di autonomia riconosciuta dagli artt. 64, comma 1, 66 e 68 Cost., è devoluta alla cognizione degli organi di autodichia, ed in relazione ad essa è, tuttavia, ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, quale strumento di carattere non impugnatorio diretto a verificare il fondamento costituzionale per l’esercizio del potere decisorio da parte dei predetti organi e, quindi ad accertare se esiste un giudice del rapporto controverso o se quel rapporto debba ricevere una definitiva regolamentazione domestica. Tale rimedio può essere utilizzato dalla stessa parte che ha scelto il giudice, allorché, alla stregua della natura della controversia e delle deduzioni del convenuto, abbia un interesse giuridicamente rilevante ad una preventiva soluzione della questione da parte delle Sezioni Unite, in ragione dell’eventualità che il giudice adìto possa declinare la giurisdizione, rendendo inutile l’attività processuale già svolta e frustrando l’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Sez. U, n. 01720/2020, Tria, Rv. 656702-01).
Per Sez. U, n. 25211/2020, Tria, Rv. 659453-01, il presupposto per l’esperibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, nell’ambito della controversia sulla spettanza e sulla misura degli assegni vitalizi degli ex
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parlamentari, è lo svolgimento, da parte degli organi di autodichia della Camera, di una funzione obiettivamente giurisdizionale.
Ancora in relazione ai rapporti tra l’autorità giudiziaria ordinaria e plessi non giurisdizionali, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per regolamento di giurisdizione sulla domanda risarcitoria proposta da una banca in amministrazione straordinaria nei confronti dei suoi commissari, sul presupposto del diniego di autorizzazione della Banca d’Italia alla proposizione dell’azione, ai sensi dell’art. 72, comma 9, del d.lgs. n. 385 del 1993, atteso, per un verso, che il regolamento preventivo di cui agli artt. 37 e 41 c.p.c. è dato soltanto per le questioni sulla giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della P.A. o dei giudici speciali o di quello straniero, e considerato, per l’altro verso, che, ove in una controversia tra privati, attinente a diritti soggettivi, il giudice ordinario debba vagliare situazioni che presentano aspetti di pubblico interesse o si trovi a scrutinare la legittimità di provvedimenti amministrativi, le questioni che insorgono circa i confini dei suoi poteri attengono al merito e non alla giurisdizione, investendo l’individuazione dei limiti interni posti dall’ordinamento alle attribuzioni del giudice ordinario. Pertanto, la valutazione degli effetti del diniego di autorizzazione della P.A. alla proposizione di una domanda risarcitoria nell’ambito di un giudizio al quale essa è estranea non coinvolge la giurisdizione, ma riguarda esclusivamente la proponibilità della domanda, non modificandone l’oggetto, né incidendo sui fatti costitutivi della pretesa (Sez. U, n. 30010/2019, De Stefano, Rv. 656070-01).
Le altre due ipotesi di difetto di giurisdizione, quello nei confronti dei giudici che non appartengono all’ordine giudiziario e quello nei confronti dei giudici stranieri, invece, sono quelle davvero rilevanti dal punto di vista della prassi giudiziaria.
Con riferimento ai rapporti tra diverse giurisdizioni all’interno dell’ordinamento nazionale, ed in particolare con riguardo al deferimento a collegio arbitrale, mediante convenzione stipulata nella vigenza dell’art. 6, comma 2, della l. n. 205 del 2000, di controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la Suprema Corte ha chiarito che si pone una questione di rapporto tra le differenti giurisdizioni, ordinaria e speciale, e non una questione di merito circa la validità della compromissione in arbitrato della controversia. Pertanto, deve essere applicato, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., il sopravvenuto art. 12 del d.lgs. n. 104 del 2010, che generalizza la possibilità di risolvere mediante arbitrato rituale le predette
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controversie, con conseguente ravvisabilità della giurisdizione degli arbitri (Sez.
U, n. 27847/2019, Bruschetta, Rv. 655590-01).
D’altra parte, difetta dei presupposti per la proposizione del regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 43 c.p.c., l’impugnazione della decisione che non abbia avuto ad oggetto la ripartizione interna della competenza tra i giudici ordinari, bensì una questione di ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice speciale. E’ altresì inammissibile il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione contro una sentenza di primo grado, quale istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, essendo maturata la preclusione di cui all’art. 41 c.p.c., né può essere preso in esame come ricorso ordinario avverso una sentenza appellabile, poiché il ricorso per saltum è ammesso solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello, e giammai per motivi di giurisdizione (Cass., sez. 6-5, n. 08303/2020, Russo, Rv. 658467-01).
È anche inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione proposto avverso l’ordinanza conclusiva del giudizio sommario di cognizione emessa dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c., anche se tale ordinanza si limita a declinare la giurisdizione, e non può essere convertito in ricorso ordinario per cassazione, atteso che la relativa decisione è appellabile ex art. 702 quater c.p.c. (Sez. U, n. 30111/2021, Giusti, Rv. 662697-01).
Seguendo le stesse coordinate interpretative, si è affermato che il regolamento di giurisdizione è inammissibile se è proposto dopo che il giudice di merito abbia adottato una decisione, anche limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale, poiché in tal caso la statuizione spetta al giudice del grado superiore.
Tuttavia, il ricorso erroneamente proposto come regolamento preventivo può essere convertito in ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, ove ne ricorrano i presupposti (Sez. U, n. 10243/2021, Lamorgese, Rv. 661086-01).
Di converso, la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dall’emanazione di un provvedimento cautelare in corso di causa, poiché questo non costituisce sentenza, neppure qualora risolva contestualmente la questione di giurisdizione, tranne che la questione medesima sia stata riferita al solo procedimento cautelare e il regolamento sia stato proposto per ragioni che attengono ad esso in via esclusiva (Sez. U, n. 8774/2021, Doronzo, Rv. 660857-02).
Il regolamento preventivo di giurisdizione è ammissibile anche avverso le decisioni del giudice amministrativo rese nel giudizio di ottemperanza, trattandosi di procedimento a natura non esclusivamente esecutiva, giacché il giudice
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amministrativo gode, in sede di ottemperanza, di poteri cognitivi che implicano la potestà di interpretare, integrare e precisare, pur se entro determinati limiti, il dictum del giudice della cognizione, senza che assuma rilievo il consolidamento della giurisdizione nell’ambito del giudizio presupposto, che ha avuto un oggetto diverso (Sez. U, n. 4880/2019, Acierno, Rv. 652853-01).
La proposizione del regolamento di giurisdizione non è impedita dalla pronuncia di un’ordinanza cautelare da parte del giudice amministrativo, atteso che il provvedimento cautelare, destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza di merito, non assume carattere decisorio e non statuisce sulle posizioni soggettive con la forza dell’atto giurisdizionale idonea ad assumere autorità di giudicato, neppure in punto di giurisdizione (Sez. U, n. 12864/2020, Perrino, Rv.
658057-01).
A seguito dello scioglimento della riserva assunta all’esito della prima udienza, il giudice amministrativo può sollevare conflitto di giurisdizione (nonostante che nel riservarsi non abbia manifestato alle parti l’intenzione di pronunciarsi al riguardo, esternando dubbi in proposito, né abbia indicato la questione di giurisdizione, dandone atto a verbale, ex art. 73, comma 3, c.p.a.), interpretato alla luce dei princìpi del giusto processo, ex artt. 2 c.p.a. e 111 Cost., essendo comunque garantita la finalità, da un lato, di evitare alle parti del giudizio riproposto ogni inutile dispendio di attività processuale e, dall’altro, di onerare il giudice amministrativo ad quem di evidenziare immediatamente le ragioni del proprio eventuale dissenso, provocando l’intervento risolutore delle sezioni unite della Suprema Corte (Sez. U, n. 23904/2020, Scarpa, Rv. 659165-01).
Tuttavia, in una fattispecie in cui il conflitto negativo di giurisdizione era stato formalmente sollevato dal giudice amministrativo all’esito della seconda udienza dopo la riassunzione in seguito a declinatoria del giudice ordinario, si è affermato che l'art. 11, comma 3, c.p.a., che consente al giudice amministrativo, davanti al quale la causa sia stata riassunta, di sollevare anche d'ufficio il conflitto negativo di giurisdizione "alla prima udienza", deve essere inteso nel senso che il limite temporale entro il quale il conflitto può essere sollevato è dato dall'udienza di discussione, fissata ai sensi dell'art. 71 c.p.a., ove ha luogo la reale trattazione e decisione della causa, intendendo il legislatore evitare, con la previsione di tale barriera, che la questione di giurisdizione si trascini oltre la soglia di ingresso del giudizio (Sez. U, n. 23749/2020, Scarpa, Rv. 659455-01).
Nel giudizio tempestivamente riproposto dinanzi al giudice amministrativo a seguito di declinatoria di giurisdizione del giudice ordinario, il Consiglio di Stato, in sede di appello, può sollevare d’ufficio il conflitto negativo dinanzi alle Sezioni
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Unite della Corte di cassazione, purché sia osservato, a pena di inammissibilità, il limite temporale costituito dalla prima udienza fissata per la trattazione del merito, ai sensi dell’art. 59, comma 3, della l. n. 69 del 2009 e dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 104 del 2010, disposizioni applicabili anche qualora il giudizio di primo grado si sia svolto prima della loro entrata in vigore, in ossequio al principio tempus regit actum (Sez. U, n. 1611/2020, Perrino, Rv. 656701-01).
Ancora con riferimento ai rapporti tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, in seguito a diniego di giurisdizione da parte del giudice ordinario adìto per primo, se la riassunzione è tempestiva e se al giudice amministrativo viene proposta la medesima domanda, si determina una unitarietà della causa che preclude alle parti di metterla in discussione sotto il profilo della giurisdizione con la proposizione di un regolamento preventivo, avendo esse già esaurito il relativo potere; ne consegue che il giudice amministrativo “ad quem”, se si ritenga, a sua volta, privo di giurisdizione, può tempestivamente sollevare il relativo conflitto negativo, ai sensi dell’art. 11, comma 3, c.p.a., con la decisione presa all’esito della prima udienza di trattazione, di cui essa costituisce ontologicamente la prosecuzione e la conclusione, sebbene il conflitto sia sollevato senza previa esternazione di dubbi sulla questione e senza una espressa riserva pertinente, giacché tale omissione non lede il diritto di difesa delle parti (Sez. U, n. 17329/2021, Graziosi, Rv. 661540-01).
E’ ammissibile il ricorso per conflitto negativo di giurisdizione nell’ipotesi in cui il giudice ordinario ed il giudice amministrativo abbiano entrambi negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare essi stessi d’ufficio il conflitto, essendosi in presenza non di un conflitto virtuale di giurisdizione, risolvibile con istanza di regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c., ma di un conflitto reale negativo di giurisdizione, denunciabile alle sezioni unite della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 362, comma 2, n. 1 c.p.c., in ogni tempo e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che una delle due pronunce in contrasto sia passata in giudicato (Sez. U, n. 01919/2021, Acierno, Rv. 660230-01).
Ancora con riferimento ai giudici speciali, la S.C. ha recentemente affermato che nel giudizio per resa del conto dinanzi alla Corte dei Conti, la notifica all’agente contabile dell’intimazione a rendere il conto e del decreto di fissazione della pubblica udienza, in caso di mancata presentazione del conto nel termine, nonché la notifica delle “decisioni interlocutorie della Corte contenenti osservazioni sul conto”, non precludono il regolamento preventivo di giurisdizione, trattandosi di provvedimenti aventi portata esclusivamente istruttoria non suscettibili di passaggio in giudicato, finalizzati a provocare il
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contraddittorio, abilitando l’agente ad esercitare il diritto di difesa e a contestare la veste di agente contabile, senza implicare una decisione sulla giurisdizione né sul merito (Sez. U, n. 07640/2020, Scrima, Rv. 657523-01).
Con riferimento ai rapporti con il giudice straniero, il quadro normativo, rispetto all’originario testo dell’art. 37 c.p.c., è radicalmente mutato in seguito alla l. n. 218 del 1995, ed in particolare in seguito al regolamento comunitario n. 44 del 2001.
Quanto al rapporto tra la l. n. 218 del 1995 e le fonti unionali incidenti sulla giurisdizione, è da segnalare Sez. U n. 12585/2019, Virgilio, Rv. 653932-01 che hanno affermato che la clausola di deroga della giurisdizione, stipulata ai sensi dell’art. 25 del Regolamento UE n. 1215 del 2012, è valida anche nel caso in cui riguardi una controversia relativa a diritti indisponibili, non potendo prevalere sulla disciplina di fonte unionale l’art. 4, comma 2, della l. n. 218 del 1995, il quale, nel prevedere un’ipotesi di inderogabilità convenzionale non contemplata dalla prima, ne pregiudica “in parte qua” l’applicazione, in contrasto con i caratteri di
Quanto al rapporto tra la l. n. 218 del 1995 e le fonti unionali incidenti sulla giurisdizione, è da segnalare Sez. U n. 12585/2019, Virgilio, Rv. 653932-01 che hanno affermato che la clausola di deroga della giurisdizione, stipulata ai sensi dell’art. 25 del Regolamento UE n. 1215 del 2012, è valida anche nel caso in cui riguardi una controversia relativa a diritti indisponibili, non potendo prevalere sulla disciplina di fonte unionale l’art. 4, comma 2, della l. n. 218 del 1995, il quale, nel prevedere un’ipotesi di inderogabilità convenzionale non contemplata dalla prima, ne pregiudica “in parte qua” l’applicazione, in contrasto con i caratteri di