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Opinioni conclusive: il principio di sussidiarietà penale e le altre tecniche di tutela adottabili per la lesione

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 168-174)

LA SOFFERENZA PSICHICA

LA TUTELA PENALE DELLA SOFFERENZA PSICHICA NEL DIRITTO ITALIANO

8. Opinioni conclusive: il principio di sussidiarietà penale e le altre tecniche di tutela adottabili per la lesione

dell’integrità psichica

Alla luce dei molteplici orientamenti dottrinali e giurisprudenziali esistenti e delle teorie e considerazioni sinora esposte sulla lesione dell’integrità psichica, si rendono necessarie delle note conclusive e la presa di una posizione.

L’individuazione (effettuata) di parametri normativi compatibili con il principio di determinatezza, non esaurisce il discorso sulla legittimazione dei modelli d’incriminazione inerenti alla sofferenza psichica.

Infatti, secondo una salda convinzione della scienza penale, il diritto penale deve costituire l’ultima risorsa, alla quale l’ordinamento può fare ricorso per tutelare un bene giuridico: è l’idea della extrema ratio, espressa anche in termini di “sussidiarietà penale”380.

378 BONA M., Stati pregressi di vulnerabilità: quid juris? In Danno e resp.,

2005; sulla “vulnerabilità” e la “resilienza” individuali, anche BANDINI T. – ROCCA G., Fondamenti di psicopatologia forense, Milano, 2010.

379 Cfr. NIVOLI G.C., ET ALT., Vittimologia, in V. VOLTERRA (a cura di),

Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, 2ᵃ edizione, Milano,

2010.

380 Cfr. CANESTRARI S.-CORNACCHIA L.-DE SIMONE G., Manuale di diritto

penale, parte generale, Bologna, 2008, che illustrano, tra l’altro, lo stretto

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Dunque, si intende fare un ragionamento di questo tipo: una volta individuati il bene e le tecniche plausibili sotto il profilo della “giustizia”, la meritevolezza di pena va valutata mediante un bilanciamento tra la congruità dei mezzi impiegati rispetto agli scopi, per i quali la tutela è disposta; tale bilanciamento è imposto dall’esistenza di strumenti di controllo sociale - non necessariamente di tipo sanzionatorio – potenzialmente idonei a soddisfare le necessità di tutela.

Il principio di sussidiarietà, tuttavia, è stato ripetutamente ignorato dal legislatore.

A fronte di una situazione del genere, si è cercato di approdare ad una “scienza della sussidiarietà”, basata sulla valutazione delle scelte legislative in materia penale, in modo tale da rispondere ad una esigenza di praticità maggiore.

Riguardo lo stalking, ad esempio, il legislatore italiano ha munito la norma di una clausola di sussidiarietà espressa, che presenta – come abbiamo già visto- dei collegamenti con le lesioni personali, ma che non è chiaro come reagisca rispetto al collegamento con le altre fattispecie 381.

381 Secondo una dottrina, sarebbe comunque escluso l’assorbimento dei delitti

di minaccia, di violenza privata e di violenza sessuale, poiché lo stalking avrebbe un disvalore autonomo costituito dalla ripetitività della condotta, pertanto sarebbe possibile il concorso di reati, là dove una vera interferenza sarebbe concepibile rispetto ai maltrattamenti. Questa soluzione, tuttavia, muove da una peculiare concezione delle clausole di sussidiarietà. Il risultato è diverso, se si considera, da un lato, che lo scopo delle clausole di sussidiarietà è di “scongiurare” il concorso di reati, e che, dall’altro lato, il criterio della sussidiarietà opera, in materia di concorso di reati, quando le norme potenzialmente applicabili tutelano lo stesso bene, fermo restando, in caso diverso, il ricorso al criterio della consunzione. Sicché, ad esempio, alla luce della collocazione di entrambi i delitti tra i reati a tutela dell’integrità psichica, l’art. 610 c.p. cederà il passo all’art. 612 bis c.p., se i plurimi atti di violenza o minaccia abbiano dato luogo ad un unico delitto di atti persecutori e quest’ultimo debba essere punito in maniera più grave rispetto ad ogni singolo episodio integrante l’art. 610. L’applicazione dell’art. 612, invece, dovrebbe essere impedita dall’art. 84 c.p. o, in ogni caso, dalla sua minore gravità.

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Tuttavia, da un altro punto di vista, l’intervento di forme civilistiche di tutela, potrebbe contribuire a decifrare, in termini obiettivi, il significato sociale di una relazione che la vittima asserisce essere degenerata in una forma illecita di persecuzione 382.

La scelta del legislatore, invece, è quella di ricorrere subito al diritto penale, confidando in una misura ad hoc, o, ancora, nella custodia cautelare.

Con ciò, non viene meno solo la sussidiarietà: infatti, se si opta per la pena, al fine di favorire l’accesso allo strumento cautelare, ad essere lesi sono proprio gli equilibri basilari del nostro sistema penale 383.

Per contro, l’assetto al quale l’ordinamento è pervenuto in materia di mobbing – come abbiamo visto – pare, invece, rispettare il principio di sussidiarietà, facendo affidamento all’illecito civile per recepire i fenomeni classificati con la dicitura “mobbing” e lasciando intervenire il diritto penale solo nei casi di più grave sopraffazione 384.

382 In tale fase, il giudice potrebbe consentire l’applicazione di misure, quali il

divieto di avvicinamento o l’allontanamento, sul modello di quanto previsto dal 342 bis c.c. (ora applicabile solo agli abusi familiari); la violazione degli ordini emessi ai sensi del codice civile, è ora sanzionata dall’art. 6 l. n. 154/2001 con un richiamo all’art. 388 c.p.

383 Si allude a quegli equilibri tra funzione della pena e della custodia

cautelare, dettati dalla presunzione di innocenza, che la sentenza della Corte cost. n. 265/2010 ha cercato di ripristinare, con riguardo alla presunzione di adeguatezza della misura cautelare rispetto ai delitti sessuali (tra i quali, comunque, non era compreso lo stalking). Sulle distorsioni della custodia cautelare per finalità preventive, v. ORLANDI R., Processo penale e

neutralizzazione della pericolosità, relazione tenuta al convegno: “Il modello

integrato di scienza penale di fronte alle nuove questioni sociali”, a cura dell’Associazione di Studi Penali e Criminologici di S. Sandano, Roma, 19.11.2010.

384 In merito a ciò, si lascia intervenire il diritto penale soprattutto mediante le

norme sui maltrattamenti e sulle lesioni. Si aderisce alle conclusioni di BONINI S., “Dalla fase zero alla fase sei”. Aspetti penalistici del mobbing, in S. SCARPONI (a cura di), Il mobbing: analisi giuridica interdisciplinare, Milano, 2009.

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Da questo punto di vista, abbiamo dimostrato come questa ricerca si discosti da quanto in genere si osserva sull’intervento penale a tutela della sfera psichica.

Solitamente, infatti, si riconosce la necessità di una tutela, seppur difficoltosa, comunque legata all’afferrabilità del bene giuridico “integrità psichica” ed alla determinatezza del precetto.

Nel corso di questo lavoro, all’opposto, si è cercato di dimostrare come - appoggiandoci su teorie filosofiche, psicologiche, ma anche sulla dottrina e la giurisprudenza che molto hanno dibattuto sull’argomento – in realtà sussistano possibili luoghi di incontro tra fenomeni psichici e determinatezza in senso penalistico, mentre non è affatto scontata la necessità di pena, né, tanto meno, è provato il vantaggio o il beneficio della sanzione penale rispetto ad altre forme di intervento.

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Ringraziamenti

Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno accompagnata in quello che per me è stato un vero e proprio “viaggio” alla scoperta di me stessa.

Un ringraziamento speciale va innanzitutto al Professor Giovannangelo De Francesco per la disponibilità e la pazienza, che mi ha dimostrato, seguendomi in questo lavoro.

Ho avuto la fortuna di confrontarmi con uno dei più grandi professori di diritto penale, un pozzo di sapienza, ma anche di umanità.

Ho coronato il mio sogno e superato le mie aspettative, laureandomi con lui.

Il grazie più grande va al mio babbo e alla mia mamma, che nei giorni precedenti ad ogni esame se ne stavano zitti zitti in casa per non disturbarmi, che hanno aspettato con ansia la mia telefonata, che mi hanno sopportata e supportata ed hanno gioito con me.

Sono stati loro che hanno creduto in me anche quando io non lo facevo ed a loro io devo tutto.

Questa laurea è anche un po’ vostra e io ve ne sono grata. Non posso dimenticare mio fratello Alessandro, Sara e la piccola Greta.

Nei mesi vissuti insieme, che sono stati i più difficili per me, mi avete dato tanto, anche se non lo sapete.

Mi avete fatto compagnia e non dimenticherò mai i “buono studio” sussurrati sulla soglia della porta.

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Grazie a Matteo, che ha un cuore grande e vede del bello nella mia pazzia.

Grazie agli amici di sempre ed a quelli conosciuti lungo il mio cammino.

Ognuno di voi ha contribuito a formare una parte del mio essere e da ognuno di voi ho imparato qualcosa.

Un grazie “mirato” va a Claudia, Chiara e Isabella.

Tre amiche con storie diverse, più o meno recenti, che sono state per me di ispirazione e di esempio con i loro caratteri forti e determinati.

Grazie a Ilaria e Elena, che sono sempre super cariche e con loro è impossibile essere tristi.

Grazie a chi mi ha dato coraggio, a chi ha fatto il tifo per me, ma anche a chi mi ha ostacolata e non ha creduto in me, perché proprio grazie a loro sono tornata nel “centro di me stessa” ed ho combattuto più forte.

Grazie anche a tutti i parenti e a chi parteciperà con gioia sincera a questo giorno così importante per me.

Infine un ultimo grazie, ma non meno importante, va a nonna Maria.

Sei sempre stata accanto a me e mi hai “scaldata” e protetta. Non ti dimenticherò mai. Spero che tu sia fiera di me.

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BIBLIOGRAFIA

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 168-174)

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