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La struttura della costrizione come decisione impossibile o irrazionale

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 74-78)

IL VOLTO DELL’INTEGRITÁ PSICHICA NELLA VOLONTÁ E NELLA COSTRIZIONE

2. La nozione di “costrizione”: vis absoluta e vis compulsiva

2.1. La struttura della costrizione come decisione impossibile o irrazionale

Andiamo ora ad analizzare la costrizione alla luce del parametro normativo, con il quale deve essere valutata.

157 Le preferenze non sono, in realtà, solo “sensazioni”, ma corrispondono al

“vissuto” della persona, la quale saprà naturalmente come graduare ciò a cui tiene di più rispetto a ciò a cui tiene di meno.

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Il reato di violenza privata, come noto, è un delitto di danno con evento naturalistico 158, il quale discende dal comportamento, di violenza o di minaccia, con cui si attua la costrizione della vittima. Si definisce anche reato ad evento duplice, in quanto dalla condotta dell’agente derivano due progressivi effetti, i.e., in primo luogo, la coazione, e, conseguentemente, il comportamento tenuto, omesso o tollerato dalla vittima 159.

Le due modalità – descritte nel paragrafo precedente – con cui si può realizzare la violenza privata, necessitano entrambe di un modello di misurazione della costrizione: anche la materiale impossibilità di agire diversamente, infatti, pur essendo rilevabile in “natura”, deve collegarsi normativamente ad una scelta ipotetica, che il reo rende impraticabile, per assumere rilievo ai fini dell’art. 610 c.p.

158 La cassazione penale, sez. V, con sent. 6 novembre 2014, n. 1215, afferma

quanto segue: l’elemento oggettivo del delitto di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia, che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, poiché in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata. Pertanto, il delitto di cui all’art. 610 c.p. non è configurabile, qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale dire il “pati”, cui la persona offesa sia costretta (in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione, con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità – in ordine al reato di violenza privata – dell’imputato che aveva fisicamente aggredito la vittima, tenendola “schiacciata” contro la portiera dell’auto; la S.C. ha affermato la necessità, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 610 c.p., di un “aliquid” diverso dal fatto concretante la violenza).

159 Qui si fa riferimento all’elemento oggettivo della violenza privata, ossia alla

condotta, che consiste, trattandosi di reato a forma vincolata: 1)nel costringere

altri a fare, tollerare od omettere qualcosa; 2)con il mezzo: a)della violenza personale fisica, propria o impropria; b)della violenza personale psichica (minaccia), attiva od omissiva; c)della violenza reale, se diretta a coartare l’altrui volontà. In ogni caso, si tratta di un reato istantaneo, che si consuma nel momento e nel luogo della condotta della vittima. Cfr. MONACO L., sub art. 610, in CRESPI A., STELLA F., ZUCCALÁ G., Commentario breve al codice penale, 2012.

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Maggiori difficoltà derivano, invece, per il soggetto che, pur versando in una condizione di costrizione, ha la possibilità di agire diversamente 160.

Qui, per parlare di costrizione, non basta far leva sulla pressione psichica subìta dalla vittima, perché non è automatica l’equazione: pressione psichica uguale costrizione 161.

Piuttosto, bisogna guardare all’ingiustizia che vive colui che è sottoposto ad una pressione psicologica.

Può esserci utile, a tal proposito, richiamare alcune letture sulla violenza privata.

Ad esempio, la teoria del reato di Jakobs 162 si basa sulla coincidenza del reato stesso con la perdita della libertà in generale, giuridicamente protetta.

Secondo lo studioso, si ha violenza quando all’individuo è sottratta la possibilità di “organizzare i propri bisogni”, volendo con questi intendere non solo i beni personali o “fisici”, ma, genericamente, tutto ciò che la vittima ha a disposizione 163. L’approccio tentato da Jakobs non viene però condiviso dalla maggior parte degli autori, poiché egli fa in modo che la costrizione divenga la lesione della libertà, genericamente, per

160 Si tratta della seconda modalità, qui richiamata, ma già individuata nel

paragrafo precedente.

161 Infatti, non ogni volta in cui un individuo si trova sotto pressione, innanzi ad

una grave decisione, possiamo dire che egli è costretto. Nella violenza privata, infatti, il condizionamento del soggetto passivo si manifesta con l’attuazione da parte dello stesso di un contegno (commissivo od omissivo) che egli non avrebbe tollerato. Per effetto, quindi, della condotta criminosa di intimidazione, si produce una coercizione comportamentale della vittima, che determina la consumazione del reato: se l’azione è idonea, ma l’evento non si verifica, il delitto rimane allo stadio del tentativo (Cassazione penale, sez. I, 29 settembre 2014, n. 50127).

162 JAKOBS G., Nötigung durch Gewalt, in Geds für H. Kaufmann, Berlin –

New York, 1986, p. 797.

163 In questo modo Jakobs fa diventare la vittima stessa una sorta di

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l’appunto, da qualunque costrizione; si tratta, cioè, di una teoria radicalmente normativa della violenza privata.

Per contro, dobbiamo individuare una lettura “moderatamente” normativa della fattispecie, secondo la quale deve essere rispettato il principio – da noi già più volte affermato – per il quale la costrizione si basa già su un concetto “normativo” di volontà. Dunque, per verificare la presenza di una costrizione, non dobbiamo fare riferimento alla reale capacità di autodeterminazione del soggetto passivo – i.e., alla sua volontà – quanto piuttosto rifarci al parametro di scelta del soggetto agente 164.

Quest’ultimo, infatti, pur conservando la capacità di comprendere le caratteristiche dell’azione che andrà a compiere, si trova, in ogni caso, di fronte ad una decisione divenuta “irrazionale” a causa delle conseguenze negative che gli si prospettano se agirà in un certo modo.

In conclusione, per parlare di costrizione, dobbiamo fare riferimento alla decisione e non alla volontà del soggetto: si ha costrizione, quando una decisione è di fatto resa materialmente impossibile, oppure quando diviene “irrazionale”, a causa delle conseguenze insite in un certo tipo di comportamento.

Tornando solo momentaneamente a quanto dicevamo nel paragrafo precedente, qui non si tratta della “desiderabilità”, né

164 Il problema, che ci troviamo a focalizzare, riguarda proprio il processo di

assunzione di una decisione: questo può avvenire automaticamente, ossia senza che venga esplicitamente evidenziato che esiste l’opportunità di prendere una decisione. Ciò ci conduce ad un primo elemento di una definizione del processo decisionale: perché si possa prendere una decisione ci devono essere almeno due alternative disponibili. Se è possibile intraprendere una sola azione non può esserci decisione, in quanto non c’è niente da decidere. Non avremmo alternative, se non procedere con la singola possibile azione. A quanto detto si potrebbe obiettare che è piuttosto raro che non ci siano alternative ad una data azione; infatti, è più probabile che, semplicemente, le possibili alternative non vengano individuate. Sono queste le considerazioni di partenza per arrivare alla conclusione di quanto diremo nel presente paragrafo.

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tanto meno della “preferenza” nei confronti di un certo processo decisionale; quello che conta, invece, è lo “scopo” di una certa azione. Cerchiamo di capirlo, ancora una volta, con un esempio. Chi, con una pistola alla tempia, è intimato a mangiare un determinato cibo, che pure avrebbe desiderato mangiare, subisce la stessa costrizione di colui che non lo avrebbe mangiato di sua spontanea volontà.

In altre parole, lo “scopo” di una certa azione – ossia, nel caso di cui sopra, il “mangiare” – è alterato e sottoposto ad un’alternativa (mangiare o morire), che una persona non può vagliare con razionalità, a causa della situazione in cui si trova. Per riprendere l’esempio: chi, in ogni caso, sceglie di mangiare, di certo non lo fa in modo autentico, ossia perseguendo un proprio scopo, ma perché le prospettive che gli si pongono innanzi non gli permettono, lucidamente, di fare altrimenti.

2.2. La condotta incriminata dall’art. 610 c.p.: violenza

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 74-78)

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