LA SOFFERENZA PSICHICA
LE FATTISPECIE CRIMINOSE ATTINENTI ALLA SOFFERENZA PSICHICA
3. Il mobbing e altre forme di sofferenza nei luoghi di lavoro
Si può parlare di “persecuzione” anche in relazione ad un altro fenomeno, che va a denotare un tipo di violenza più specifica, in quanto ristretta ad un determinato ambiente sociale, ossia quello lavorativo: il mobbing.
La psicologia del lavoro ha mutuato il termine dall’etologia, dove l’espressione inglese “to mob” stava ad indicare l’assalto 318 di un branco di animali più piccoli contro uno più grande.
Il mobbing è una forma di terrorismo psicologico 319, che è stato spiegato da vari autori, tra i quali spicca Heinz Leymann, il quale lo definisce come quel fenomeno che, all’interno della vita lavorativa, “implica una comunicazione ostile e non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o pochi individui principalmente in direzione di un individuo che, a causa del mobbing, è spinto in posizione priva di aiuto e di difesa” 320.
318 “To mob” significa infatti proprio “assalire”, “attaccare”.
319 Per un inquadramento del fenomeno nella realtà italiana, MARCHESI P.-
SCHIAVO R.-PARRINELLO V., Mobbing: forma di terrorismo psicologico, in C. SERRA (a cura di), Nuove proposte di criminologia applicata 2005, Milano, 2005. Terrore psicologico è l’espressione più chiara per descrivere concisamente il fenomeno del mobbing; infatti, come sostiene Leymann (che vedremo tra poco), le azioni vessatorie messe in atto dal mobber che colpiscono il mobbizzato, hanno un’origine puramente psichica, estendendosi successivamente a livello psicosomatico e sociale.
320 LEYMANN H., The Content and Development of Mobbing at Work, in
European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996. Leymann,
definisce il mobbing in questo modo: “Il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro consiste in messaggi ostili e moralmente scorretti diretti sistematicamente da uno o più individui verso (in genere) un solo individuo, il quale, a causa del perpetuarsi di tali azioni, viene posto e mantenuto in una condizione di impotenza e incapacità di difendersi. Le azioni di mobbing si verificano molto frequentemente (secondo la definizione statistica almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (secondo la definizione statistica per almeno sei mesi). A causa della frequenza elevata e della lunga durata del comportamento ostile, questo maltrattamento produce uno stato di
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Tuttavia, precisa Leymann, le due caratteristiche che annoverano il mobbing tra le fattispecie, che causano una “considerevole sofferenza psicologica”, sono: la base “molto frequente”, con cui avvengono le azioni e la loro “lunga durata”321.
Ciò provoca, infatti, la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
La giurisprudenza di merito, civilistica, cerca di connotare la fattispecie, ricorrendo, talvolta, ad un criterio “oggettivo”, basato proprio sulle condotte tipiche di sopraffazione, combinate con i criteri temporali della frequenza e della durata; in altri casi, invece, al criterio “soggettivo” dell’intento persecutorio delle condotte 322.
La giurisprudenza, inoltre, in maniera simile a quanto si afferma in materia di stalking, ritiene che il mobbing si possa realizzare anche attraverso atti in sé leciti 323.
Ciò viene confermato dalla stessa Corte Costituzionale, secondo la quale le condotte di mobbing possono estrinsecarsi in atti giuridici veri e propri oppure in comportamenti materiali, aventi la peculiarità, gli uni e gli altri, di poter essere anche leciti e legittimi, se esaminati singolarmente, e, tuttavia, di acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta di persecuzione ed emarginazione 324.
Il mobbing, poi, si distingue in “verticale” ed “orizzontale”.
considerevole sofferenza sul piano mentale, psicosomatico e sociale” (Rivista European Journal of Work and Organizational Psychology, n. 5, 1996).
321 LEYMANN H., The Content, 1996.
322 Trib. Roma, 28 marzo 2003, in Ius, 2003, 2599; Trib. di Como, 22 febbraio
2003, in Mass. giur. lav., 2003, 328; Trib. Venezia, 26 aprile 2001, in Riv. giur.
lav., 2002, 11, 88; Trib. Tempio Pausania, 10 luglio 2003, in Gius, 2003, 2729.
323 Conf. Trib. Ariano Irpino, 3 febbraio 2004, in Giur. merito, 2007, n. 3, 662.
Cassa. 21 settembre 2006, n. 31413, in Dir. prat. lav., ins., n. 32, 2007.
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La prima ipotesi si realizza quando l’attività persecutoria nei confronti del lavoratore sia posta in essere da un superiore gerarchico, che sottopone il subordinato a soprusi ed umiliazioni325.
La seconda ipotesi, invece, si realizza nel caso in cui la condotta discriminatoria viene realizzata dai colleghi di lavoro – quindi tra soggetti di pari rango – o da superiori diversi dal datore di lavoro. Altre forme di sofferenza indotta nei luoghi di lavoro sono, inoltre: lo “straining”, ossia una situazione di stress forzata sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione, che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente 326; il “Burn – out” 327, che, rispetto al mobbing, si concentra più sulla reazione emotiva della vittima e meno sull’ambiente di lavoro.
È interessante notare come la giurisprudenza abbia studiato il fenomeno del mobbing, in particolare, quando l’atteggiamento persecutorio da parte di un superiore trova origine nel rifiuto opposto alle avances da parte del subordinato; è proprio il rifiuto a scatenare i comportamenti persecutori: dal boicottaggio del lavoro, all’irrogazione di sanzioni disciplinare, alle denigrazioni e alla pressione psicologica.
325 Si parla, invece, di bossing, nel caso in cui l’azione perpetrata a danno del
lavoratore si inserisce nel contesto di una vera e propria strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione del personale. V. NUNIN, “Bossing”: responsabilità contrattuale e valorizzazione della clausola di buona
fede, in Lavoro nella giur., I, 2005, 49.
326 A tal proposito, lo straining ha in comune con il mobbing la sproporzione di
mezzi tra autore e vittima, ma si fonda su un intento discriminatorio, più che persecutorio, caratterizzandosi, inoltre, per la carenza di ripetitività dell’attacco e per l’assenza di coinvolgimento dell’intera struttura organizzativa. Cfr. EGE H., Oltre il mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto
di lavoro, Milano, 2005. L’etimologia è nell’inglese “to strain”, che si può
rendere con “mettere sotto pressione”.
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Spesso, infatti, il mobbing si esplica nella forma delle molestie 328; la giurisprudenza, tuttavia, ha precisato che, mentre la molestia può esser costituita anche da un solo atto, il mobbing deve essere sistematico.
In mancanza di una fattispecie penale, la dottrina e la giurisprudenza incriminano le condotte vessatorie, aventi i caratteri della sistematicità, durata e gravità, solo laddove integrino una fattispecie prevista dall’ordinamento come quella di lesioni, dolose (art. 582 c.p.), e colpose (art. 590 c.p.), gravi e gravissime (art. 583 c.p.), di diffamazione (art. 595 c.p.), di violenza privata (art. 610 c.p.), di molestie (art. 660 c.p.), di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di violenza sessuale (art. 609 bis nel caso di molestie sessuali) e abuso d’ufficio.