II. 11 «Bastardo», ma diplomaticamente indispensabile: le missioni in terra francese
II. 15 In attesa di un erede: prime apprensioni per le sorti del Ducato di Ferrara
Si sarà notato che il dinamismo diplomatico extramoenia del nostro protagonista si manifestò prevalentemente nel corso del settimo decennio, corrispondente alla cosiddetta «età della preponderanza spagnola»,307 che tanto incise sugli equilibri delle dinastie indigene peninsulari, e non solo: la Chiesa di Roma appena controriformata e la ramificata monarchia degli Austria furono, di fatto, le uniche grandi istituzioni sovranazionali capaci di plasmare gli assetti geopolitici del quadro continentale, impegnate com’erano a fronteggiare le tendenze particolaristiche e disgregatrici di ceti, etnie e confessioni manifestatesi in quella congiuntura storica.
Parimenti, anche per Ferrara gli anni Sessanta accentuarono il legame della casa regnante con l’area gravitazionale ispano-asburgica: risale, infatti, al 25 ottobre 1562 il decreto imperiale sottoscritto da Ferdinando I che conferiva a don Alfonso, e ai suoi discendenti, il titolo di marchese di Montecchio (con diritto di battervi moneta d’oro e d’argento),308 mentre alla fine del 1565 si celebrava nella capitale estense l’altisonante matrimonio del duca d’Este con Barbara d’Austria, figlia di Ferdinando e sorella del novello imperatore Massimiliano II, succeduto al padre nel 1564.
307 A. SPAGNOLETTI, Principi italiani e Spagna, cit. ID., Le dinastie italiane nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2003.
308 L.A.MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 494. Il privilegium imperiale, ovvero il documento sovrano di concessione vergato su supporto pergamenaceo (purtroppo smarrito), fu acquistato nel settembre di tre anni dopo e collocato nell’archivio privato del marchese: «A spesa straordinaria a meser Battista Bassan servitore dell’Illustre Signor conte Ferrante Estense Tassoni scudi ondeci e meggio d’oro in oro per altri tanti che egli à pagati in Viena al gran secretario di Sua Maestà Cesarea in somma de scudi 511 ½ per il privilegio che ha fatto il sudetto imperatore al predetto Illustrissimo Signor Nostro per il marchesato di Montecchio. Il qualle privilegio il detto meser Battista l’à portato et consignato al magnifico meser Jacobo Francesco Avoglio secretario del predeto Signor, computà scudi ½ per la cassa fatta fare dove se posto dentro il detto privilegio, £ 44.17.0» (ASMo, Adp, reg. 99, «Zornale del banco», c. xc, 13 settembre).
La giovane duchessa germanica condivise con le sorelle Giovanna ed Eleonora l’evento delle nozze sincronizzate, rispettivamente con Francesco de’ Medici e Guglielmo Gonzaga: come còlto da Alessandra Contini, quei matrimoni ponderatamente coordinati non solo immisero le figlie coronate in contesti politico-territoriali ben più limitati, anche se culturalmente magnifici, ma le elevarono a fiere titolari di una sorta di «consapevolezza sovraterritoriale e di una superioritas dinastica in tante occasioni rivendicata».309 Le nozze con mogli illustri costituirono, effettivamente, l’ultima variante delle strategie matrimoniali esogamiche finalizzate al processo di territorializzazione e di affermazione di un’alta superiorità nel panorama statuale della Penisola: e nella volontà estense di riaffermare l’esclusiva precedenza sugli altri principi italiani va, ad esempio, letta la lunga contesa che, proprio nella seconda metà del secolo, i duchi Ercole II e Alfonso II ingaggiarono con i Medici per ottenere il riconoscimento della primazia nei cerimoniali diplomatici e di corte delle grandi monarchie europee.
Com’è noto,310 nel 1541, in occasione dell’ingresso a Lucca di Carlo V, Ercole II d’Este aveva cavalcato a destra del monarca, mentre Cosimo I de’ Medici lo affiancava a sinistra; nel corso del successivo banchetto fu il duca ferrarese, e non Cosimo, a porgere all’imperatore la salvietta. Di lì in poi gli Este pretesero la precedenza per sé e per i propri rappresentanti in ogni occasione ove fosse presente un membro della casata fiorentina. Sappiamo bene come queste querelles, così frequenti tra i reguli italiani durante la prima età moderna, non siano state affatto perniciose esagerazioni o ipocrite usanze, «ma abbiano piuttosto rappresentato un mezzo per poter riaffermare anche sul piano internazionale il prestigio del princeps, secondo quelle forme del vivere tipiche della società d’Antico Regime».311 In un’età dove le logiche cortigiane avevano un peso rilevante
309 A. CONTINI, Il ritorno delle donne nel sistema di corte: linguaggi, appartenenze dinastiche e formazione, in Le
donne Medici, cit., pp. 5-11: 7.
310 Sulla nota contesa rimangono ancora insuperati i pressoché coevi (e monumentali) saggi di V.SANTI, La precedenza
tra gli Estensi e i Medici e l’«Historia de’ principi d’Este» di G. Battista Pigna, «Atti della Deputazione ferrarese di Storia Patria», IX, 1897, pp. 37-122 e di G.MONDAINI, La questione di precedenza fra il duca Cosimo I de’ Medici e
Alfonso II d’Este, Firenze, Tipografia R. Ricci, 1898. Vista come esempio di «microstoria dai riverberi continentali», la controversia è stata recentemente ripercorsa in N.RUBELLO, Scrittori al servizio del potere: due libretti polemici nella
contesa di precedenza tra gli Este e i Medici, «Annali dell’Università di Ferrara», Sezione Storia, IV, 2007, pp. 163- 190.
311 A.BIANCHI, Una rivalità di lungo periodo: i rapporti politico-diplomatici tra gli Este e i Gonzaga, in La corte
nel garantire l’immagine e il decoro dei signori, tanto i ‘trattamenti’ quanto i dati più propriamente materiali furono infatti gli elementi che, con maggiore forza, concorsero a definire la notevole gerarchizzazione di poteri presente nell’area padana tra ’500 e ’600.312
Nella lite si esprimeva lo smarrimento delle antiche casate feudali d’Italia, in primis gli Este, davanti al successo dei patrizi cittadini incarnati dai Medici. La grettezza del puntiglio d’onore celava dunque un conflitto di ridistribuzione del potere, uno sforzo di reggere una competizione interstatale davanti alla quale la dinastia atestina, alla fine, dovette cedere. La querula disputa coinvolse papa, imperatore, sovrani e principi, fra scandali e risse ovunque in Europa, esaurendosi solo dopo mezzo secolo, nel 1576, con il riconoscimento imperiale del titolo granducale concesso ai Medici da papa Pio V sette anni prima (1569).313 La pubblicazione di rivendicazioni storiche e di pareri di giureconsulti, di falsi epigrafici e di genealogie manipolate, che l’occasione specifica stimolò, contribuì al dibattito sul tema cruciale della nobiltà: nobiltà da fondarsi principalmente sull’antichità e la purezza del sangue, per i teorici ferraresi, sulla virtù personale e le larghezze operose, per i nouveaux riches fiorentini.314 Icastica, emblematica e impregnata del razionalismo dell’umanesimo civile fu l’ironica reazione espressa da Cosimo nella lettera inviata nel 1545 al suo ambasciatore stanziante in Francia, alle prese con l’omologo collega ferrarese, sempre attento ad enfatizzare puerilmente la «novelluccia della salvietta lucchese»:
Cosa da increscere vie più a ciascuno della morte del Ariosto, che non habbi potuto mettere questo atto ancora nel Orlando Furioso, nel quale libbro quello ambasciatore debbe avere studiata et imparata la nobiltà et antiquità della casa da Esti. Et in questa parte, in verità, non posso negare che non sia inferiore la illustrissima casa nostra, non avendo avuto un poeta tale che l’habbi celebrata dandole un sì chiaro e nobile principio: dico di quel Ruggieri el quale extinse lo splendore di Orlando e di tutti li altri paladini, come fa el sole, quando nasce, el lume del altre minori stelle. Quanto al mio particulare, io non posso né mi curo molto di poter dire di esser nato d’un duca di Firenze, non essendo bene ancora resoluto qual sia di maggior laude o el nascere, o el doventare in quel modo che ho fatto io.315
312 A.TALLON, L’Europe au XVI siècle. États et relations internationales, Paris, Puf, 2010, pp. 129-133. 313 L.CHIAPPINI, Gli Estensi, cit., p. 330.
314 C.DONATI, L’idea di nobiltà, cit., pp. 165-176.
Già in affanno nell’agone prosopografico, l’auctoritas estense cominciò ad incassare anche gli effetti di un vento catabatico levatosi da un altro versante, che, a poco a poco, nell’arco di qualche lustro, seppe mutare verso alle (fin allora) fortunate sorti della gloriosa stirpe.
Come visto, il decreto Tametsi promulgato nel 1563 in seno al concilio tridentino, accentuando il valore sacramentale e normativo del coniugio, aveva reso più netti i confini fra figli legittimi e illegittimi: matrimonio s’intendeva solo quello compiuto in facie Ecclesiae, e legittimi erano reputati solo i figli nati da una regolare unione (o legittimati per rescriptum principis o per
subsequens matrimonium).316 Quattro anni più tardi la bolla promulgata da papa Pio V trasportava il problema della liceità della nascita nell’àmbito del delicato problema successorio dei feudi della Chiesa. La Prohibitio alienandi et infeudandi civitates et loca Sanctae Romane Ecclesiae, precisamente, negava agli spurî l’avvicendamento nei dominî ecclesiastici e insieme vietava nuove investiture, senza possibilità di revoca o di eccezione.317
La mancanza di un erede al trono ducale cominciò a mutarsi in assillo, filtrato nelle corrispondenze diplomatiche. Il quadro genealogico conformatosi all’interno della capitale estense venne così riportato al Senato della Serenissima dall’ambasciatore Emiliano Manolesso, pochi anni dopo, nel 1575:
Dopo il cardinale [Luigi, secondogenito di Ercole II] è l’illustrissimo signor don Francesco, zio di Sua Eccellenza, signor molto intendente delle cose di guerra, allievo dell’imperatore Carlo V: fu capitano generale delli suoi cavalli leggieri; ha da spendere 24000 scudi all’anno, né ha figlioli se non due femine naturali. L’illustrissimo signor don Alfonso è parimenti zio di Sua Eccellenza: ha vedute molte guerre, ottenne dal re Cristianissimo gradi di capitano generale della cavalleria italiana: è signore d’ingegno e valore grande: ebbe dall’illustrissima Signora donna Giulia, sua moglie e sorella dell’Eccelentissimo Signor Duca d’Urbino defonto, doi figlioli maschi; né in questa eccellentissima casa de’ descendenti del duca Alfonso sono altri descendenti che questi: ha 25000 scudi d’entrata.318
In quel frangente, il duca Alfonso risultava da tre anni orbato della sua seconda sposa, Barbara. Nemmeno la terza consorte, la fiorente pulzella Margherita Gonzaga, impalmata nel 1579, saprà
316 Vedi supra, p. 87.
317 Per il testo integrale, si è consultato il Magnum bullarium romanum a Beato Leone magno usque ad S.D.N.
Benedictum XIII, Luxemburgi, sumptibus Andreæ Chevalier Bibliopolæ et Typographi, 1727, II, pp. 236-238.
318 Relazione di Ferrara del Signor Emilio Maria Manolesso, fatta in Signoria di Venezia l’anno 1575, in Relazioni
degli ambasciatori veneti al Senato, I, Ferrara-Mantova-Monferrato, a cura di A. Segarizzi, Bari, Laterza, 1912, pp.
regalargli il tanto atteso erede: l’impotentia generandi dell’ultimo signore di Ferrara era ormai divenuta acclarata raison d’Etat. La scelta della successione dinastica si restringeva così ai due Este della generazione precedente e alla loro discendenza: don Francesco e il nostro don Alfonso. Il primo, infeudato da Paolo III del marchesato romagnolo di Massalombarda, nel 1544, non aveva avuto prole dalla moglie Maria de Cardona (marchesa della Padula e contessa di Avellino),319 ma solo due figlie naturali nate da «donna soluta», battezzate con nomi schiettamente ariosteschi e impegnativi per la dinastia: Marfisa e Bradamante. Le attenzioni, quindi, cominciarono a spostarsi verso il nome del fratellastro, sempre più emergente negli epistolari con un ruolo di assoluto e ingombrante protagonismo, dato che – stando alle prerogative papali sancite nella suddetta bolla – poteva essere legittimato «per rescriptum principis» e, conseguentemente, subentrare come nuovo sovrano del Ducato. La speranza che la legittimità della sua nascita potesse essere riconosciuta ufficialmente «per subsequens matrimonium» non sarebbe risultata vana, se solo Ercole II non avesse esizialmente confinato nell’oblio le pertinenti prove documentali.