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La tradizione storiografica insegna che, normalmente, nei regimi signorili le mogli dei sovrani divenute vedove preferivano trasferire altrove la residenza o ritornare a vivere presso la famiglia d’origine, onde evitare ridimensionamenti e annullamenti della propria posizione sociale conseguenti al mutato favore dimostrato dai parenti del marito;49 a Ferrara si verificò l’esatto opposto: con la morte del terzo duca estense l’astro di Laura poté brillare ancor più di prima. La precisa volontà di non abdicare alla propria posizione andava congiunta con una correttezza di modi, un positivo senso dell’equilibrio, una mai smentita coerenza di atteggiamenti, da sorprendere e da indurci a immaginare quali sarebbero state le conseguenze di un diverso agire, vale a dire se la Dianti, che si firmava e si faceva chiamare «Laura Eustocchia Estensis» o «Laura da Este» e terminava i suoi rescritti con la formula «datum Ferrariae in palatio residentiae nostrae», avesse osato insidiare, per orgoglio e per sfida, la maggior corte del Castello, distante tutto sommato pochi passi dalla sua:50 ciò non accadde, poiché fu una fiera portatrice di valori familiari difesi con schietta determinazione, e perché mitezza e affabilità governarono sempre la sua condotta, vissuta nell’ottica di salvaguardare il ruolo dinastico dei due figlioli, di cui fu alla fine l’unica tutrice. Insomma, utilizzò al meglio la propria polifunzionalità di moglie, di madre e di vedova.

L’obbligo di coabitazione sancito per Alfonso e Alfonsino fino a quando quest’ultimo non avesse raggiunto il quattordicesimo anno di vita, spinge a porre l’attenzione sul primo modus vivendi dei due infanti: di quali spazi poterono usufruire? che tipo di formazione ricevettero? quali privilegi e onori furono effettivamente garantiti all’indomani del 31 ottobre, quando il nume tutelare paterno non poteva più direttamente vegliare sulla loro incolumità?

48 ASMo, Adp, regg. 545, «Copia testamenti Illustrissimi et Excellentissimi D. D Alphonsi Ducis Ferrariae»; Ivi, reg. 549, «Libro ove sono copie d’instromenti e specialmente il testamento fatto del Ser.mo Signor duca Alfonso».

49 A.SPAGNOLETTI, Le donne nel sistema dinastico italiano, in Le donne Medici, cit., pp. 13-34: 22.

Entrambi vennero alla luce nel palazzo della Rosa, la residenza donata ufficialmente alla madre nel dicembre del 1527, dopo gli accomodamenti seguiti all’acquisto dell’immobile nel giugno 1525, allora frazionato in più proprietà. Dal punto di vista prossemico, la scelta dell’unità abitativa fu dettata da pratiche esigenze strategiche. Lo stabile sorgeva infatti su un luogo ameno ed esclusivo,51 appena oltre il rivellino settentrionale del Castello Estense (figg. 30-32), compreso tra il giardino del Padiglione e la chiesa di Santa Maria della Rosa, risalente al XII secolo e nota all’epoca perché custodiva al suo interno il fittile Compianto su Cristo morto, realizzato attorno al 1485 dallo scultore modenese Guido Mazzoni.52 Lo «iocundissimo zardino del paviglione», recintato da un muro con merlature dipinte, era uno dei viridarî urbani più amati e frequentati dai duchi ferraresi, così chiamato per il marmoreo padiglione ottagonale tardo quattrocentesco sormontato da una cupola di piombo recante in cima un Ercole clipeato di bronzo dorato, poi sostituito dalla divisa araldica di Alfonso I, la granata svampante, formata da una palla di rame da cui fuoriuscivano tre lingue di fuoco. Oltre ai broli riservati alle sperimentazioni agronomiche, topiarie ed erboristiche, l’intero sito assolveva anche a funzioni ricreative,53 ludiche e residenziali grazie alla sequenza di logge, bagni, un oratorio, laboratori alchimistici e altri fabbricati costruiti tra il 1477 e gli anni Ottanta del ’500, oggetto a loro volta di campagne decorative condotte da pittori qualificati: in primis Ercole de’ Roberti che, tra il 1489 e il 1491,54 ingentilì alcuni ambienti dell’appartamento della duchessa Eleonora d’Aragona, fra cui anche un camerino per il figlio Alfonso d’Este ove è possibile abbia dipinto una veduta prospettica di Napoli, simile a quella

51 Anche se il nome originario della via, di «Spazzarusco» o «Cacarusco», non evoca certo atmosfere edeniche: nella strada, infatti, si gettavano le immondizie provenienti dalle attività domestiche e artigianali dell’attiguo giardino del Padiglione (G. MELCHIORRI, Nomenclatura ed etimologia delle piazze e strade di Ferrara, Sala Bolognese, Forni editore, 1981, p. 6 (ristampa anastatica edizione Ferrara 1918).

52 Edificata nel 1156, divenne nel 1449 proprietà dei frati della congregazione del beato Pietro da Pisa, detti della Rosa. Gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1944, fu demolita tra il 1950 e il 1951. Il Compianto, fortunatamente, venne trasferito negli anni Trenta del Novecento nella chiesa del Gesù, dove tuttora si trova.

53 Famosa è l’esaltazione elegiaca fatta dall’umanista Sabadino degli Arienti, che associando alla varietà delle specie botaniche coltivate le ricreazioni musicali promosse nel periodo estivo da Eleonora d’Aragona, evoca un’aura edenica, paragonando il «felicissimo zardino» alla «delicia de quello del regno del Paradiso»: cfr. W.GUNDERSHEIMER, Art and

life at the court of Ercole I d’Este: The ‘De triumphis religionis’ of Giovanni Sabadino degli Arienti, Genève, Droz, 1972, pp. 52-54.

54 T. TUOHY, Herculean Ferrara. Ercole d’Este (1471-1505) and the invention of a ducal capital, Cambridge, University Press, 1996, pp. 111, 113-114; sui ferventi lavori compiuti da scultori e lapicidi nell’oratorio e attorno al padiglione marmoreo, tra il 1478 e il 1503, vedi FRANCESCHINI 1995-1997, ad indicem.

affrescata nel 1485 da Giovanni Trullo sulla parete di un’altra stanza della principessa partenopea, ubicata in castello.

La polivalenza dell’intero plesso è ben documentata da una planimetria tardocinquecentesca conservata a Modena (fig. 33),55 la cui restituzione grafica dà conto dell’articolata compenetrazione fra spazi aperti e chiusi,56 tra cui si può notare, nella parte ovest della mappa (confinante con la casa di Laura) il cortile rettangolare deputato a campo del jeu de paume.

Si è resa necessaria questa breve sorvolata storica sull’antico giardino del Padiglione poiché la sua contiguità con la nobile rocca ducale e con il palazzo della Rosa ha dato origine, nei primi decenni del XIX secolo, a un mitologema storiografico ancora persistente nella vox populi ferrarese, secondo cui proprio dal maniero cittadino si sarebbero tripartite vie di fuga sotterranee colleganti altrettanti residenze estensi: il palazzo dei Diamanti, a nord, la palazzina di Marfisa d’Este in Via Giovecca, a est e, appunto, la residenza della Dianti sulla direttrice occidentale. In realtà la leggenda sul passaggio che avrebbe protetto gli andirivieni diurni e notturni del dominus prima degli abboccamenti amorosi con la sua favorita, trae principalmente origine da un fraintendimento ermeneutico di una consuetudine peripatetica del duca Alfonso II d’Este (quindi siamo nella seconda metà del XVI secolo), descritta nel 1621 dal canonico Guarini, secondo cui

haveva parimente il Duca nell’uscire del Castello per la porta volta all’Occidente una via segreta, dov’egli frequentemente caminava a piedi, e tallora in carozza senza essere veduto da altri, che da quelli che lo segguivano quando voleva fare alquanto di esercizio, la quale si distendeva fin all’ultimo terrapieno vicino alla Porta della città, detta di San Benedetto.57

Calcando sui risvolti romanticheggianti dell’aggettivo «segreta», Girolamo Negrini riconobbe quella misterica via nel cunicolo ipogeo rinvenuto alla fine degli anni Trenta dell’Ottocento sotto il

55 ASMo, Mappario Estense, Serie Fabbriche, n. 4, Pianta del «Giardino del Pavaglione» e del fabbricato posto tra questo, la «strada della Rosa» e «la Fosa», matita, inchiostro e seppia su carta, cm 111 x 40.

56 Durante il dominio papale, tutti i fabbricati del giardino del Padiglione furono adibiti a collegio per gli studenti comacchiesi, indi a «Quartieri degli Svizzeri», che formavano la guardia a piedi dei cardinali Legati. Furono poi smantellati nel 1633 quando venne aperta la via degli Angeli ed ostruita in parte la fossa. Sull’area, nel 1756, fu eretto il Monte di Pietà, dove, stranamente o volutamente, la cappellina aveva le medesime forme del padiglione. Nel 1915, infine, tutta la zona antistante il castello fu abbassata per collegare direttamente l’attuale viale Cavour con Corso della Giovecca: vedi C.CESARI-R.SANTINI, «I giardini del duca», in «Quaderni de “La pianura”», XI, 1981, dicembre, pp. 9-49:14 e S.SAVINO, Il Giardino del Padiglione, in Ferrara 1492-1992. La strada degli Angeli e il suo Quadrivio.

Utopia, disegno e storia urbana, a cura di B. Bassi et alii, Ferrara, Gabriele Corbo Editore, pp. 184-192.

57 M.A.GUARINI, Compendio historico dell’origine, accrescimento e Prerogative delle Chiese, e Luoghi Pii della città,

piano stradale prospiciente il rivellino nord del castello,58 confondendo quindi la struttura architettonica di una conduttura idrica disusata con la «strada nova per Sua Altezza [Alfonso II]», ossia un percorso pedo-fluviale sfruttante le sponde ribassate di canali interni, schermato con pergole e verzure adeguatamente potate, il quale partiva proprio dal fianco ovest del castello per poi proiettarsi all’interno del giardino del Padiglione, e da lì serpeggiare verso occidente penetrando all’interno di tutti i luoghi di delizia a ridosso della cinta muraria, fino al vertice sudorientale.59

Decisamente scarse sono le informazioni riguardanti le vicende storiche, soprattutto cinquecentesche, della palazzina della Rosa. Sin dai primi mesi del 1525, nel fabbricato appena acquisito dalla Camera Ducale prese avvio un cantiere di riqualificazione degli assetti architettonici e degli apparati decorativi che coinvolsero in prima linea Dosso Dossi, impegnato a dipingere «li cornixotti, le camere et altre stantie in dicta caxa».60 Tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo gli ornati esterni dell’edificio erano ancora visibili, come dimostra il racconto tramandatoci da Girolamo Baruffaldi:

Vedesi bensì nella contrada chiamata Spazzarusco, la quale dalla via degli Angeli passa alla via della Rosa, sopra il palagio posseduto in oggi dai conti Avventi una vela che circonda tre lati della casa, nella quale sono dipinte alcune grandi aquile allusive alla famiglia Estense, dalla quale fu quell’edificio fabbricato ad uso e per abitazione di donna Laura Eustochia Dianti. Stringevano dette aquile nel rostro varii rami e tralci

58 G. NEGRINI, Descrizione analitica d’un sotterraneo che costeggia li muri a tramontana della fossa dell’estense

castello di Ferrara, Ferrara, Domenico Taddei, 1841, pp. n. nn.; sulla validità dell’ipotesi dell’ing. Negrini non ha alcun dubbio A.BARGELLESI SEVERI, Due donne nel destino di Casa d’Este: Marchesella Adelardi e Laura Dianti.

Recensione, Ferrara, Rotary club, 1965, p. 11.

59 La singolare via d’acqua fiancheggiata da una duplice carreggiata viene citata nel 1671 anche da Alberto Penna, che così la descrive: «A questo luogo [il giardino del Padiglione], e da esso à tutti gli altri descritti di sopra potevano quei Principi portarsi à loro talento in qual forma più loro aggradava, tanto in barca per il Canale hoggidi Panfilo nominato (che correndo lungo i Giardini medemi serviva à quel tempo per condurre l’acque del Po a rinfrescare quelle delle fosse del Castello, et hora serve per continuatione della navigatione dalla piazza al Ponte del lago scuro) quanto à piedi, in carrozza, et à cavallo, già che alcuni archi che attraversano li medemi giardini, e canale acciò le strade che sopra i medemi passano non restino interrotte glie ne porgevano agiata comodità, et in tutte le forme era sempre così coperto il camino, che niuno di fuori poteva penetrarvi con l’occhio» (A.PENNA, Descrittione della Porta di San Benedetto della

città di Ferrara, de’ luoghi delitiosi, che erano attorno le mura di essa, e del ressiduo de Giardini Ducali, Padova, per Mattio Cadorin, 1671, p. 59); si veda ora lo studio più aggiornato in F.CECCARELLI,Vie d’acqua e ‘corridori’ ducali nella Ferrara del secondo Cinquecento, in La civiltà delle acque tra Medioevo e Rinascimento, Atti del convegno internazionale, Mantova (I-4 ottobre 2008), II, a cura di A. Calzona e D. Lamberini, Firenze, Olschki, 2010, pp. 527- 542: 530.

60 «Alo Offitio dela Monition lire centovintiotto, soldi dexedotto denari 7 de marchesani e per lui videlicet, lire 44 soldi 4 denari 1 de marchesani a maistro Tamara marangone contanti per conto de fare cornixotti per la sala de la caxa dela ruoxa et per doe letiere et comprare legnami et uno pocho de terreno et lire 84.14.6 de marchesani a maistro Dosso depintore per havere depinto li cornixotti, le camere et altre stantie in dicta caxa, portoli contanti Sebastian Zaninello, £ 128.18.7»: ASMo, LCD, reg. 296, «Zornale de Usita», c. 60, 5 maggio 1525; mandato riportato in A.MEZZETTI, Il

di vite, i quali attorcigliandosi con altri rami ordiscono un vago e fruttifero pergolato, frammezzato da alquanti fanciulletti e da varii satirucci, tutti in varie foggie scherzanti, ed impiegati parte in vendemmiare, chi a bere, chi a pigiar uve, chi a distaccarne i maturi grappoli per farne mosto.61

Sembrerebbe, quindi, che sulla superficie concava del cornicione sommitale delimitante tre lati della casa fossero raffigurate scene di vendemmia a opera di briosi «fanciulletti» e «satirucci», ossia un motivo tematico non nuovo nella tradizione figurativa padana, già sperimentato nelle vivaci apparizioni di putti tra i verdeggianti incannucciati affrescati da Correggio nella volta della

Camera della badessa Giovanna, nel monastero di San Paolo, a Parma, e da Parmigianino nella

Sala di Diana e Atteone nella Rocca Sanvitale di Fontanellato, e poi ripreso con maggiore eco, alla fine degli anni Trenta, da Giulio Romano nella serie grafica dei Giochi di putti destinata all’omonimo ciclo arazziero per i Gonzaga.62

Scomparse le decorazioni dei prospetti già ai tempi di Boschini, l’annotatore ottocentesco di Baruffaldi, sopravvivevano negli spazi interni della palazzina ancora alcuni lavori, sempre attribuiti alla mano di Dosso. Nell’ultima stanza a levante, sopra la strada di Spazzarusco, era infatti visibile un soffitto a finto mosaico bianco «nel cui mezzo sta un ornato rotondo da cui partono quattro rami d’alloro che accennano al nome di Laura e che dirigonsi ai quattro angoli della stanza» (fig. 34);63 inoltre, lungo il fregio parietale che contornava il perimetro superiore della camera correva in forma ripetuta il motto di Laura, Unica spes mei nominis. Nel soffitto di un secondo ambiente, campito d’azzurro, appariva un «gran sole fra i cui raggi s’intreccia una larga fascia svolazzante, sulla quale leggesi continuamente Q.F.M.M.Q.P.E. (quia fecit mihi magna qui potens est), sigle

ripetute entro vari scudetti e lauree» (fig. 35).64

61 G. BARUFFALDI, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, Ferrara, 1697-1730 c., ed. a cura di Giuseppe Boschini, I, Ferrara, Domenico Taddei, 1844, p. 264.

62 Quello dei putti e amorini festosi fu un vero connotato del repertorio figurativo dei fratelli Dossi: ai primi anni Trenta risalgono, infatti, quelli affrescati sul soffitto sia della Sala delle Cariatidi nella roveresca Villa Imperiale, che in quello dell’Andito della Cappella nel Magno Palazzo trentino, nella cui Sala Grande il fregio sommitale è animato da una lunga teoria di fanciullini intenti a giocare con le divise del principe vescovo Bernardo Cles (la palma e l’alloro), con i leoni araldici bianchi e rossi, l’aquila imperiale e con le lettere dorate che compongono il nome del committente, BERNARDT (da ultimo, si veda il saggio di Francesca de Gramatica in Dosso Dossi. Rinascimenti

eccentrici al Castello del Buonconsiglio, Catalogo della mostra (Trento, luglio-novembre 2014), a cura di V. Farinella

et alii, Cinisello Balsamo (Mi), 2014, pp. 334-337). 63 G.BARUFFALDI, Vite de’ pittori, cit., p. 264, nota 2. 64 Ibidem.

Seppure pesantemente ritoccati nel corso del primo Novecento, gli ornamenti dei due soffitti tuttora esistenti (ma non visibili) proclamano chiaramente in guisa iconografica il legame tra i due amanti, con il motivo del sole e dei rami d’alloro, trasparente allusione al nome di Laura avvinto al «Sole di Ferrara», così come il perduto motivo delle aquile araldiche sulle facciate, unito ai soggetti bacchici tanto cari al duca, suggeriva il vincolo familiare con la casa estense. Come visto nel primo capitolo, l’amore tra i due personaggi aveva trovato, negli anni Venti, una precisa serie di consacrazioni artistiche mediante dipinti destinati, a giudizio degli studiosi, ad abbellire gli interni della palazzina, tra cui l’Apollo musico della Galleria Borghese (fig. 7), secondo Franca Trinchieri Camiz,65 e Psiche abbandonata da Amore (fig. 6), per Vincenzo Farinella.66 Per quanto suggestive, le ipotesi non tengono conto di un fattore di discordanza cronologica che le rende difficilmente plausibili: entrambe le opere, infatti, sono concordemente datate per via stilistica al 1523-1525, vale a dire quando l’edificio che avrebbe dovuto contenerle non risultava ancora tra le disponibilità allodiali della Camera Ducale. Per di più, i riscontri documentari restituiscono un’ulteriore verità: rispetto a quanto sostenuto dagli storiografi, la «palazina dela Ruoxa» non fu la principale dimora urbana di Laura,67 offrendole ospitalità solamente per pochi anni, non oltre il 1530, quando il duca Alfonso donò all’infante primogenito il grande stabile fatto costruire pochi decenni prima dalla famiglia Bevilacqua, nell’esclusiva Addizione Erculea: la prestigiosa residenza sull’antica via degli Angeli divenne la sede principale della corte del futuro marchese di Montecchio, all’interno della quale furono creati appositi spazi per accogliere la madre, che vi si stabilì da subito con la propria

maison. Il trasloco comportò la deminutio funzionale e logistica del fabbricato di via Spazzarusco, dimostrata dal decremento progressivo delle spese di manutenzione sostenute tanto dalla Dianti

65 F.TRINCHIERI CAMIZ, Due quadri «musicali» del Dosso, in Frascobaldi e il suo tempo, nel quarto centenario della

nascita, Catalogo della mostra (Ferrara, settembre-ottobre 1983), Venezia, Marsilio, 1983, pp. 85-91; da ultimo, vedi la scheda di Vincenzo Farinella in Dosso Dossi. Rinascimenti eccentrici, cit., pp. 180-182.

66 V. FARINELLA, Amore, morte e rinascita: Alfonso d’Este e Laura Dianti in due dipinti di Dosso e Tiziano, in

Outbound. Fuori dai luoghi comuni. Nove giovani artisti a confronto con la Villa Medicea di Cerreto Guidi, Catalogo

della mostra (Cerreto Guidi, febbraio-aprile 2004), a cura di S. Bottinelli, Prato, Gli Ori, 2004, p. 116; ID., in Dosso

Dossi. Rinascimenti eccentrici, cit., pp. 176-178.

67 Scrive Faustini che il duca fabbricò per la Dianti un «palazzo sul cantone de Padri della Rosa ove [Laura] stette mentre visse con ogni grandezza» (A.FAUSTINI,Aggiunta alle Historie ferraresi del signor Gasparo Sardi nuovamente

composte dal sig. dott. Agostino Faustini ferrarese, Libro primo, in Libro delle Historie ferraresi del sig. Gasparo

nell’arco della sua vita, quanto da chi le subentrò nel possesso, cioè il figlio Alfonso e poi il nipote Cesare.68 Al fine di considerare l’immobile non più come fonte di spesa nei rendiconti annuali dei proprietari, si diede avvio, a partire dal 1545, alla prassi di affittare la struttura nella sua interezza, o in parti frazionate, a locatari di elevata estrazione sociale, tra cui nobili dell’entourage estense,69 mercanti,70 rappresentanti diplomatici:71 fino al 3 febbraio 1598, allorché l’appena deposto duca Cesare emanò il chirografo di donazione a favore di Giovanni, Enzo, Guido e Alessandro Bentivoglio,72 in riconoscenza della devozione e fedeltà dimostrata alla Casa d’Este dal loro padre, Cornelio, il valoroso luogotenente generale delle milizie del duca Alfonso II, di cui fu amico e confidente.73