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Laura-Arianna, Laura-Psiche, Laura-Dafne, Laura-Leda, Laura-Maddalena: al di là delle possibili ed ermetiche idealizzazioni soprannaturali, la legittimazione figurativa più clamorosa del ruolo della Dianti nella Ferrara estense del terzo decennio porta ancora la firma di Tiziano, che omaggia l’ex berrettaia con uno dei più singolari ritratti femminili del Cinquecento (fig. 21), oggi conservato a Kreuzlingen, presso la Collezione Heinz Kisters, proveniente dalla raccolta Cook di Richmond: un’opera che, alla luce dello scavo documentario condotto, merita di essere riletta con la lente dell’iconologia contestuale, che associa ai consueti referenti delle fonti scritte e della tradizione figurativa quelli direttamente costituiti dagli accadimenti accertati, pubblici e privati, con lo sperato obiettivo di dare all’effigie una concretezza storica e semantica mondata dai sedimenti rilasciati da sillogismi a volte scontati e convenzionali.

La distonia fra l’indiscussa qualità stilistica con l’incerta biografia del soggetto favorì tra gli storici dell’arte un certo disorientamento nell’uso delle categorie ermeneutiche, per cui ancora oggi non è chiaro sotto quale voce del polisemico e polimorfico genere del ritratto si debba far rientrare la tela svizzera: privato? ufficiale o state portrait? di corte? retrospettivo? di «prima categoria» tipicamente tizianesca,118 in cui la nobile «deve apparire bella, devota, casta ed elegante»? di «seconda categoria» tizianesca,119 privilegio per «donne attraenti, amanti, cortigiane»? o di «fantasia»,120 destinato a «bellezze anonime, succintamente abbigliate, basate su di un modello»? Incrociando le informazioni delle fonti testuali, non si può che addivenire ad una agnizione certa. Il primo a menzionare il quadro fu Giorgio Vasari, molto conciso ma chiaro nel giudizio: Tiziano «similmente ritrasse la signora Laura, che fu poi moglie di quel duca, che è opera stupenda».121 Un anno dopo la devoluzione di Ferrara alla Chiesa, Cesare d’Este donò il ritratto della nonna, insieme ad altre pitture del cadorino e di Raffaello, all’imperatore Rodolfo II d’Asburgo e proprio negli

118 J.M.FLETCHER, «La sembianza vera». I ritratti di Tiziano, in Tiziano e il ritratto di corte da Raffaello ai Carracci, Catalogo della mostra (Napoli, marzo-giugno 2006), a cura di N. Spinosa, Napoli, Electa, 2006, pp. 36-50: 38.

119 Ibidem. 120 Ibidem.

121 Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, VII, Bologna, G.C. Sansoni,

inventari delle collezioni praghesi lo si trova citato nel 1599 e nel 1621, ma già senza identità: «Eine Türkin mit einem kleinem Mor [una Turca con un piccolo Moro]».122 In mancanza di una diretta visione dell’originale, per molto tempo poco accessibile, i giudizi furono spesso filtrati attraverso un’acquaforte (fig. 22) di Aegidius Sadeler (1570-1629), il famoso incisore fiammingo che a partire dal 1600 riprodusse al bulino i più celebri dipinti della collezione imperiale, tra cui quello della Dianti. È attraverso la restituzione monocromatica di Sadeler che Carlo Ridolfi conobbe il capolavoro di Vecellio:

Volle parimente il Duca esser ritratto con Madama la Duchessa, la qual fece Tiziano con rarissimi abbeglimenti in capo, di veli e di gemme, in veste di veluto nero con maniche trinciate, divisate da molti groppi; che con maestoso portamento teneva la manca mano appoggiata alle spalle d’un Paggetto Etiope, che si vede in istampa di rame da Egidio Sadeller, rarissimo in tale prattica.123

Sotto la conosciuta incisione, Sadeler aveva riposto il nome di Lucrezia Borgia: da qui, probabilmente, è nata la tradizione che vide nel ritratto tizianesco l’immagine della figlia di Alessandro VI, soggetta ad alcune revisioni pittoriche, soprattutto all’altezza del volto, attuate in occasione delle ripetute movimentazioni della tela, conseguenti ai passaggi di proprietà accorsi dal XVII al XIX secolo.124

Se già Crowe e Cavalcaselle ritenevano che l’insieme degli elementi simbolici e allusivi fosse sufficiente per evocare il cospetto di una principessa – l’unica «che poteva in quei tempi indulgere al lusso di un paggetto nero» e sfoggiare il «fiore gemmato ed il nastro serico che adornano il suo turbante, e la veste di seta e lo scialle rigato che la rivestono» ( «non meno ricchi ed eleganti che le

122La più dettagliata cornice bibliografica dell’opera è stata tracciata nella relativa scheda curata da Vittoria Romani in

Le siécle de Titien. L’âge d’or de la peinture à Venise, Catalogo della mostra (Parigi, marzo-giugno 1993), a cura di M. Laclotte, Paris, Reunion des musees nationaux, 1993, p. 427. Sulla donazione dell’effigie all’imperatore Rodolfo, vedi da ultimo B.GHELFI, «Le pitture spontano al fine quel che non possono spuntare i nostri stenti, et le nostre fatiche».

Don artistici di Cesare d’Este a Rodolfo II (1598-1604), in La corte estense nel primo Seicento. Diplomazia e

mecenatismo artistico, a cura di E. Fumagalli e G. Signorotto, Roma, Viella, 2012, pp. 93-133:102.

123 C. RIDOLFI, Le meraviglie dell’arte ovvero le Vite degli illustri pittori veneti e dello Stato, Venezia,1648, ed. a cura di D.F. von Hadeln, I, Berlin, Grote, 1914, pp. 161, 195, 196.

124 Da Praga, in seguito alle spoliazioni subite nel 1648, il dipinto confluì nelle raccolte di Cristina di Svezia, per poi essere trasferito nel 1654 a Roma in occasione del lungo soggiorno italiano della regina, alla morte della quale l’opera rientrò nelle disponibilità prima del cardinale Azzolini, e poi (1696) del principe Livio Odescalchi. Venduto da questi nel 1721 al reggente Filippo d’Orleans, il ritratto fu ceduto al banchiere belga Walkner subito dopo la rivoluzione, nel 1792; seguirono poi altre dislocazioni attraverso collezionisti privati, fino a che, trasferito in Inghilterra, fu venduto il 15 gennaio 1876 a sir Francis Cook in Richmond, dove rimase fino al 1956: E. POKORNY-WAITZER, Studien zum

frühen Tizian «Tizian und Alfonso I d’Este». Porträts im Umkreis Alfonso I. Zur interpretation von dokumenten, Diplomarbeit, Universität Wien, 2008, pp. 40-41.

vesti che danno distinzione a Isabella d’Este o alla duchessa di Urbino») –,125 ancora in tempi più recenti non era raro imbattersi nelle teorie opposte di taluni esegeti che, particolarmente sensibili a suggestioni pruriginose (definite da Sergio Bertelli «vero e proprio sciocchezzario messo assieme […] con sovrana imprudenza»),126 non esitarono a collegare lo scialle fulvo indossato a tracolla da Laura ai «veli gialli che le cortigiane, in quegli anni e in certe città italiane, erano obbligate a portare»:127 sciolto il rebus, colei che posò per Vecellio sarebbe rientrata di diritto nel novero delle misteriche cocottes, al pari della Fornarina (come lei,128 «marchiata» virilmente dalla firma del pittore sulla catenella della manica destra) o di qualche fascinosa odalisca giunta da un gineceo saraceno o, ancor peggio, di un’anonima plebea «vestita con eccessiva ricercatezza».129

Si può dire che la sensualità abbia costituito un effettivo paradigma ermeneutico capace di declinare la maggior parte delle interpretazioni iconologiche sollecitate dall’opera, all’interno della quale ogni particolare figurato sembrerebbe provenire dalla toletta di Venere Pandemia, piuttosto che dalla guardaroba di una donna accasata in una delle corti più raffinate ed eleganti d’Europa. Risulta difficile comprendere le ragioni socioculturali che avrebbero spinto la stessa – di provata fede cattolica – a farsi ritrarre con indosso abiti di foggia anatolica, «Eastern or Turkish»,130 tra l’altro nei medesimi frangenti in cui proprio la frontiera orientale del continente europeo faticava a contenere le spinte aggressive degli eserciti turchi stanziatisi prima nei Balcani e poi nell’Ungheria meridionale dopo la vittoria di Mohács (agosto 1526), così come a sud l’ombra della Mezzaluna si allungava sempre più sul «cristianissimo» Mediterraneo, a causa delle incursioni nei centri rivieraschi del Nordafrica perpetrate dai corsari barbareschi comandati da Khayr ad-Din, alias il

125 J.A.CROWE,G.B.CAVALCASELLE, Tiziano, la sua vita e i suoi tempi, I, Firenze, Le Monnier, 1877, pp. 154-158. 126 S.BERTELLI, Il re, la vergine, la sposa. Eros, maternità e potere nella cultura figurativa europea, Roma, Donzelli, 2002, p. 76.

127 L.LAWNER, Le Cortigiane, cit., p. 118. Subito dopo averla palesata, la studiosa smussa malamente l’avventatezza dell’ipotesi, in quanto «è improbabile che una persona della condizione di Laura avrebbe acconsentito a mostrare così ostentatamente questo aspetto del suo passato, a meno che, naturalmente, non nutrisse un segreto orgoglio per la sua ascesa». Sulle norme legislative del XV secolo che imponevano l’uso del fazzoletto giallo sulle vesti delle meretrici,

vedi P.RYLANDS, Palma il Vecchio. L’opera completa, Milano, Arnoldo Mondadori, p. 105.

128 Particolare che, sempre secondo Lawner (Ibidem), indica quanto Tiziano considerasse «Laura come un’amante nel

senso classicista del termine, come la Fornarina».

129 J.M.FLETCHER, «La sembianza vera», cit., pp. 36-50: 39.

130 E.MCGRATH, Lodovico il Moro and his Moors, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», LXV, 2002, pp. 61-88: 88, nota 76.

Barbarossa.131 Per motivare l’imprinting orientaleggiante dell’effigiata ci si è appellati persino ad una sorta di autorevole fonte testuale, purtroppo letteralmente (e ingenuamente) fraintesa; Allyson Burgess Williams afferma, infatti, che «Laura’s characterization as an exotic beauty would also account for Ariosto’s notation of her in the 1536 (sic!) edition of Orlando Furioso, where she appears with a woman named Barbara Turca»:132

Ecco la bella, ma più saggia e onesta Barbara Turca, e la compagna è Laura: non vede il sol di più bontà di questa

coppia da l’Indo all’estrema onda maura (XLVI, 3)

Visto in forma d’aggettivo di genere femminile, il termine «turco» ha legittimato la studiosa americana a considerarlo come attendibile indizio letterario dei possibili usi e costumi allogeni acquisiti dalla Dianti con la frequentazione della sodale Barbara ottomana, che – invero – niente aveva a che fare col mondo barbaresco, appartenendo al nobile e vetusto casato dei Turchi di Correggio.

Parimenti, sfugge la limpidezza degli accostamenti delle componenti seduttive della cosiddetta

Schiavona della National Gallery di Londra con quelle della tela svizzera, nella quale «Dianti is eroticized by Titian’s presentation, in part by the free handling of paint in the garment and the soft contours of her form, in part by her expression»:133 un aspetto evidentemente corrotto dai suoi «occhi biechi e lascivi» ed enfatizzato dal colore celeste della camurra indossata, che – comunemente associato al mantello della Madonna, quale simbolo della sua eccelsa spiritualità – subisce qui un ribaltamento semantico giacché «Titian can be said to have transformed Laura’s

131 A.TENENTI, L’età moderna. La civiltà europea nella storia mondiale, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 133, 135. 132 A. BURGESS WILLIAMS, «Le donne, i cavalieri, l’arme, gli amori»: artistic patronage at the court of Alfonso I

d’Este, duke of Ferrara, Ph. D., University of California, Los Angeles, 2005, p. 140, dove la quartina viene così tradotta: «There is fair (but even more wise and virtuous) Barbara Turca and her friend Laura; but from the Indus to the furthest coast of Mauretania the Sun does not behold a more kindly pair than these two».

body from a site of sexual transgression into one that appears to embody sexual virtue»,134 divenendo attributo di «concubine’s loyalty and fidelity to her lord».135

Non si può che concordare con Anna Stanzani, secondo cui «il ritratto di Tiziano è un piacere regalato agli occhi e allo spirito»:136 la giovane, come un sole nel cielo turchino, ostenta il color lapislazzuli dell’abito confezionato con un rigoglioso tessuto che regala, nelle increspature, lievi cangiamenti aurati richiamanti il colore ambrato della stola organzina, posta di sbieco a velare timidamente l’eburneo décolleté. Ricercato, e al limite della stravaganza, è il bellissimo balzo (o capigliara),137 un’elaborata acconciatura di veli trapuntati frontalmente da un gioco di fili alternati di perle naturali e di sferiche pietre dorate, disposti a raggiera in guisa di ornamenti petaliformi raccordati da una preziosa medaglia, al centro della quale sembrerebbero scorgersi le fattezze di una figura maschile paludata di vermiglio.138

La vitale e solare personalità della donna attrae come un’orbita: il paggetto africano dalla giubba versicolore si volge al tocco affettuoso della mano e il piccolo profilo esotico per un attimo scintilla sul bianco della manica e della mano di Laura, mentre il resto del capo si perde nello scuro del fondo. La giunonica prestanza della modella bruna e l’apparente scompostezza della mise, amplificata dal particolare della cintura infioccata che scivola lateralmente sul ventre e dalla dirompente fuoriuscita dell’intima camicia dalle maniche e dalla scollatura dell’abito, rappresentano elementi segnici semioticamente importanti, non riscontrabili nei ritratti degli anni Trenta e Quaranta, realizzati dallo stesso autore per alcune grandi signore del Rinascimento, come

134 J.WOODS-MARSDEN, The mistress, cit., p. 64.

135 Ivi, p. 57. Sostanzialmente non difforme è il giudizio della Burgess Williams: «Laura would have been perceived as a “trophy” who attested to his virility, and to his ability to select a beautiful mistress», EAD, Power and painting in

sixteenth-century Ferrara: Titian’s portraits of Alfonso I d’Este, «Visual resources. An International Journal of Documentation»», XXVIII, 2012, pp. 80-102: 91.

136A.STANZANI, Ritratto di Laura Dianti, in Un Rinascimento singolare. La corte degli Este a Ferrara, Catalogo della mostra (Bruxelles, ottobre 2003-gennaio 2004), a cura di J. Bentini e G. Agostini, Cinisello Balsamo (Mi), Silvana, 2003, p. 253, scheda 176.

137 Spesso il soggetto del quadro è stato riconosciuto come «Schiava turca», retaggio romantico dovuto a una suggestione esotica legata proprio alla forma di quel copricapo, confuso con un turbante orientaleggiante: cfr. P. GORETTI, Il gusto del vestire nelle corti padane tra Cinque e Seicento, «I Castelli di Yale», X, 2009, pp. 51-64: 52.

138 Il color scarlatto ha indotto Paul Kaplan ad ipotizzare che la figura incisa fosse quella del santo Girolamo, con a lato un leone: P. H.D. KAPLAN, Titian’s Laura Dianti and the origins of the motif of the black page in portraiture, «Antichità viva», 21, 1982, pp. 11-18: 17, nota 31. Dalla visione ravvicinata non è emersa alcuna evidenza capace di confermare o confutare l’ipotesi, dato il tratto stenografico usato dal pittore in quel particolare.

quello di Eleonora Gonzaga della Rovere (Uffizi), di Isabella d’Este (Vienna, Kunsthistorisches Museum) o di Isabella del Portogallo (Prado), dominati da una compostezza formale e da un’impeccabilità iconografica direttamente proporzionali alla noblesse du sang dell’effigiata. Molti critici concordano nel datare l’opera agli anni 1522-1523,139 quando il cadorino risultava impegnato nella commissione estense del Bacco e Arianna, con cui il ritratto condividerebbe consonanze stilistiche e fisiognomiche, tanto che Filippo Pedrocco ha colto una certa somiglianza tra il viso di Arianna e quello della Dianti.140 Tuttavia credo non sia più possibile convalidare una cronologia così anticipata, non conforme al cursus honorum del soggetto che, a quell’intorno, era ancora anagraficamente immatura e ‘carrieristicamente’ imperfetta.

Tiziano immortalò l’immagine non di una giovane donna di potere, ma che si stava avvicinando al potere, grazie alla protezione di un eminente innamorato, il quale – come visto – nell’arco di meno di un lustro (a partire dal 1525) la rese destinataria di provvedimenti utili alla sua ascesa politico- sociale nella città, e soprattutto nella cerchia intima della famiglia ducale: di questa iperbolica affermazione, la tela di Kreuzlingen potrebbe essere la migliore testificazione. L’insieme delle informazioni figurali esplicitamente o implicitamente fornite dal ritratto non è mai stato decodificato sul piano generale della costruzione iconologica, per cui i dettagli del gesto della mano, degli anelli al dito, delle numerose perle, della presenza del piccolo lacchè africano, sono confluiti nel corredo delle minuzie esornative.

Quanto sia difficile rintracciare la presenza di blacks servants nella ritrattistica cinquecentesca, svincolata da tematiche sacre, è stato avvalorato una trentina d’anni fa da uno studio di Paul Kaplan, secondo cui quello mirante la Dianti sarebbe proprio il primo inserviente di colore nella

139Vedasi il prospetto sinottico tracciato da ROMANI, Portrait de Laura Dianti, cit., p. 427. La datazione al 1523 su basi stilistiche (ma senza interpretazioni semiologiche) è mantenuta nei più recenti studi di area tedesca, quali M. KOOS, Maske, Schminke, Schein. Körperfarbern in Tizians Bildnis der Laura Dianti mit schwarzerm Pagen, in W.

BUSCH,O.JEHLE,S. SLANINA, Ähnlichkeit und Entstellung. Entgrenzungstendenzen del Porträts, Berlin-München, 2010, s. 21; A. GREVE, Farbe-Macht-Körper. Kritische Weißseinsforschung in der europäischen Kunstgeschichte, Karlsruhe, Kit Scientific Publishing, 2013, p. 197.

storia dell’arte ad apparire al cospetto di un singolo personaggio stante.141 Il fanciullo esotico non è un’avulsa figura prestata ai fini di posa, ma un vero sottoposto di Laura che,142 evidentemente, in quel frangente poteva disporre di una propria consorteria messale a disposizione dal compagno e radunata nel palazzo della Rosa, frequentato soprattutto tra il 1527 e il 1530, quando fu portata a termine la maggior parte dei lavori di riqualificazione strutturale. In quel triennio caddero le generose investiture feudali, il provvedimento di elevazione dignitaria e il doppio parto: accadimenti di una certa significanza, che contribuirono ad ammantare la giovane di un’aura protoaristocratica intercettata da Tiziano e trasposta in dati non marginali nell’economia dell’immagine.

Scrutando il dipinto dall’alto in basso, l’occhio non rimane indifferente all’appeal magnetizzante di quella guarnizione petaliforme a sei punte sulla fronte del balzo, ottenuta cucendo assieme decine di perle naturali e pietre dorate. È noto da tempo quanto fosse significativo per le principesse europee del XVI secolo il sostrato esoterico su cui si basava la loro predilezione per le perle, in un periodo in cui la questione della maternità si faceva esasperante all’interno delle strategie di successione dinastica.143 A quel globuletto sferico – come simbolo della Luna, dell’acqua e della

141 P.H.D.KAPLAN,Titian’s Laura Dianti, cit., p. 12. P.ERICKSON, Representations of blacks and blackness in the

Renaissance, «Criticism», xxxv, 1993, pp. 499-528. Si dovrà attendere ancora una trentina d’anni prima che una nobildonna si facesse ritrarre stante in compagnia di un paggetto moro; risale infatti al 1551 circa il Ritratto di

Giovanna d’Asburgo (Bruxelles, Musée des Beaux-Arts, fig. 23), sorella di Filippo II, realizzato dal pittore portoghese Cristóvão de Morais: in questo caso, l’austera principessa spagnola poggia la mano destra sul capo del bambino, mentre con la sinistra tiene un ventaglio chiuso (vedi A.JORDAN GSCHWEND, Anthonis Mor at the Lisbon court in

1552. New notes on the Brussels ‘Portrait of Joanna of Austria’, «Bulletin, Musées royaux des beaux-arts de Belgique», XXXVIII-XL, 1989-1991, pp. 217-250: 228).

142 Non è dato sapere a partire da che anno, ma è certo che Laura poté servirsi di alcuni inservienti africani, probabilmente facenti parte di un’unica famiglia o congiuntisi tra loro nel corso del tempo; segno dell’effettiva integrazione nell’organico dei sottoposti è quella sorta di festeggiamento organizzato nel 1560 dalla stessa Dianti in onore del matrimonio della sua serva di colore, di cui non conosciamo il nome: «A spesa de donatione alli pivi del Signor Duca scudi dui d’oro in oro qualli dona Sua Signoria Illustrissima per loro mercede de havere sonato a Monestirollo per la festa fatta per essersi maritata l’africana serva della Signora Illustrissima, £ 7.12.0» (ASMo, AdP, reg. 434, «Zornalle de Contanti», c. LXXXI, 3 luglio 1560). In ogni caso, non è sconosciuta la consuetudine degli esponenti di Casa d’Este di tenere a corte giovanissimi garzoni, serventi o nani di origine africana cui riservare attività domestiche o di intrattenimento ludico: sui mori, moretti e morette acquistati dal Portogallo da Eleonora d’Aragona o dalla figlia Isabella d’Este, vedi K.LOWE, Isabella d’Este and the acquisition of black africans at the mantuan court, in

Mantova e il Rinascimento italiano. Studi in onore di David S. Chambers, a cura di P. Jackson e G. Rebecchini, Mantova, Sometti, 2011, pp. 65-76.

143 Sulle proprietà terapeutiche e apotropaiche della perla, considerata già da Plinio come la pietra simbolo della sposa, vedi P.CASTELLI, Le virtù delle gemme. Il loro significato simbolico e astrologico nella cultura umanistica e nelle

credenze popolari del Quattrocento. Il recupero delle gemme antiche, in Oreficeria nella Firenze del Quattrocento, Firenze, S.P.E.S., 1977, pp. 311-313.

donna – venivano infatti attribuite proprietà medicinali, ginecologiche e ostetriche, facilitanti sia il concepimento, sia il parto.144 Poste in relazione con il potere loro attribuito, la perfezione e la bellezza conferita dalla luminosità sono caratteristiche capaci di riflettersi sulla stirpe.

In questo caso, oltre a rappresentare un saggio di abilità e raffinatezza della sartoria estense, la costruzione della precisa geometria sottende un’intenzionalità più profonda, di natura araldica, in quanto strettamente legata alla forma della Stella cometa, la divisa concessa a Laura dal duca Alfonso nel perduto decreto di nobilitazione del 1527; una scelta decisamente significativa e autologica, considerato il valore polisemantico dell’astro, simbolo cristologico e mariano per eccellenza nella tradizione evangelica (la famosa astéra en têi anatolêi,145 vista e cercata dai Magi giunti a Gerusalemme) e poi, con le reinterpretazioni umanistiche, emblema di «virtù superiori, di fama, di fortune familiari, di rapida ascesa» e di «gravidanza»,146 poiché sì come la stella riceve luce dal sole, che fornisce vita al creato col calore dei suoi raggi, al pari il feto nel ventre prende