Alessandro Sardi, figlio del noto storico Gaspare, fu il primo a citare il cognome Boccacci riferito a «madama» Laura, terza «moglie» del duca Alfonso,15 dopo le defunte «madama» Anna Sforza e «madama» Lucrezia Borgia: a parte questa testimonianza, il resto dei cronisti e narratori cinquecenteschi concorda sulle umili origini della famiglia,16 allora capeggiata da Francesco, un artigiano confezionatore di berretti, padre di Laura, Bartolomeo e Giulia.
Escludendo le forzature genealogiche dell’adulatore conte Maresti, che considerava la fanciulla nientemeno come l’unica figlia di Anna Dianti e del nobile di stirpe greca Giovanni Eustochi, alias de Beretari,17 non è dato sapere se quella dei Boccacci fosse una famiglia veramente oriunda di Ferrara o di qualche altra località limitrofa o d’oltreconfine. Certamente più frequenti risultano le citazioni che segnalano la presenza di esponenti della famiglia Dianti nel territorio ferrarese, in
primis a Libolla, nei pressi di Ostellato, località rurale che custodiva ancora nel XIX secolo testimonianze documentali di quel cognome; nella chiesa parrocchiale, ad esempio, era ubicata una lapide tombale risalente al 1715 e riferita ad un certo Antonio Dianti,18 mentre non lontano dalla stessa pieve sorgeva il cosiddetto «Palazzone», tuttora esistente, conservante tracce di «decorazioni rinascimentali» esterne ed interne, con un «bellissimo Cupido alato rincorso da una Morina di buona fattura cinquecentesca»:19 anche la lettura della toponomastica prediale indusse Righini a
ducato di Alfonso I. Il Camerino delle pitture, Atti del convegno (Padova, 9-11 maggio 2001), a cura di A. Pattanaro, in BALLARIN 2002-2007, VI (2007), pp. 23-35: 29.
14 E. CALLEGARI, La Devoluzione di Ferrara alla Santa Sede (1598), da documenti inediti degli Archivi di Stato di
Modena e Venezia, Firenze-Roma, Boccia Editori, 1895, p. 1.
15 G. RIGHINI, Due donne, cit., p. 123.
16 A. BARGELLESI SEVERI, Due donne, cit., p. 14, fa notare che il cognome potrebbe derivare dal termine «boccaccino» o «bocasino», una sorta di fustagno utile per i copricapi. Nel suo fondamentale glossario del volgare emiliano, Giuseppe Trenti riconosce nel boccaccino una «tela finissima, con bambagia, impiegata nel confezionamento di
indumenti»: G.TRENTI, Voci di terre estensi. Glossario del volgare d’uso comune (Ferrara-Modena) da documenti e
cronache del tempo. Secoli XIV-XVI, Savignano sul Panaro (Modena), Fondazione di Vignola, 2008, p. 83. Luigi Napoleone Cittadella ci presenta vari esponenti della famiglia Dianti rintracciati a Ferrara tra XV e XVI secolo, tra cui i tre falegnami Alberto, Bartolomeo e Bernardino e i marangoni Giacomo e Girolamo: L.N. CITTADELLA, Notizie
amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara, I, Ferrara, Taddei, 1868, pp. 100, 213, 230, 238.
17 Teatro genealogico et istorico dell’antiche, et illustri famiglie di Ferrara, del conte e cavaliere Alfonso Maresti
ferrarese, tomo terzo, in Ferrara, Stamperia Camerale, 1708, pp. 31-33, 111.
18 G. RIGHINI, Due donne, cit., p. 135: «D.O.M.ANTONIUS DIANTI LIBOLAE PRO SUIS FECIT.ANN. MDCCXV».
19 Ibidem. Di un altro Antonio Dianti, vissuto alla fine del XVIII secolo, si parla in U.MALAGÙ, Guida del Ferrarese, II, Ferrara, Ferraria Libro Editore, 1982, p. 434.
congetturare che là avessero radicato i discendenti di Alfonso Dianti, nipote di Laura in quanto figlio del fratello Bartolomeo.
Pure Argenta, cittadina situata sul confine Ravennate, si candida ad essere un luogo diantesco: l’ipotesi è stata avanzata da Anna Maria Fioravanti Baraldi, secondo cui parrebbe sussistere un legame parentale tra Laura e il pittore Giovanni Francesco Dianti, alias «de Argento»,20 meglio conosciuto come Maestro dei dodici Apostoli,21 attivo sul versante ferrarese e rodigino tra gli anni Trenta e Settanta del XVI secolo e morto a Ferrara nel 1575. Effettivamente già Giuseppe Boschini, l’annotatore ottocentesco delle celebri Vite de’ pittori e scultori ferraresi di Girolamo Baruffaldi, nel riportare l’epitaffio della lastra tombale del pittore, collocata sul pavimento della chiesa cittadina della Madonnina, affermava – sulla base di «varie scritture rassicuranti» – «essere egli stato uno de’ prossimi parenti di donna Laura Eustochia Dianti, dalla quale nacque Alfonso Estense marchese di Montecchio, padre di Cesare».22 Così recitava la targa:
D. O. M
DNI. IO. FRANC. DIANTI. CIVIS. FER PICTORIS. EGREGII. MARMOREO.SUB. HOC. LAPIDE. TEGUNTUR. OSSA. QUE. SIBI. SUISQVE. POSTERIS. DU. FUIT. IN HUMANIS. PARARI. CURAVIT. ET. IP
SE. OBIIT. ANO. DNI. MDLXXV. DIE. IXX. OCTOBRIS
Non compaiono allusioni sull’origine argentana, così come assente è il sentore di una fierezza familiare che solo la citazione della consanguinea madre di un illustre Estense poteva suscitare. Boschini non menziona quell’ulteriore iscrizione epigrafica che Pasini Frassoni associa alla
20 Per l’identificazione del Maestro dei dodici Apostoli con Giovan Francesco Dianti, cfr. A.M.FIORAVANTI BARALDI,
Garofalo e Girolamo da Carpi tra Ferrara e Bologna, «Il Carrobbio», XVIII, 1992, p. 160; EAD.,Gli esordi del
Bastianino: Cristo e i seguaci della croce nell’Oratorio dell’Annunziata, in L’Oratorio dell’Annunziata di Ferrara.
Arte, storia, devoluzione e restauri, a cura di M. Mazzei Traina, Ferrara, Ferrariae Decus, 2002, p. 39, nota 1; EAD.,
Dianti, Giovan Francesco (Giovan Francesco dell’Argento), in Saur. Allgemeines Künstler Lexicon, XXVII,
München-Leipzig, 2000, pp. 78-79.
21 Alessandra Pattanaro respinge tale identificazione sulla base dell’inconciliabilità degli aspetti stilistici con i dati cronologici: A.PATTANARO, Brera mai vista. Il Maestro dei dodici Apostoli. Un pittore nella Ferrara di Alfonso I e di
Ercole II d’Este, Martellago (Ve), Electa, 2005, pp. 10-14.
22 G.BARUFFALDI, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, Ferrara, 1697-1730 c., ed. a cura di Giuseppe Boschini, II, Ferrara, Taddei, 1844-1846, p. 569.
medesima tomba: FECIT MIHI MAGNA QUI POTENS EST.23 Per quale motivo il motto personale di
Laura (su cui torneremo), declinato al femminile in quanto espressione dell’amorevole riconoscenza riversata da una donna di umili origini nei confronti del duca che la elevò socialmente, sarebbe dovuto campeggiare sull’avello di un uomo, seppur ipoteticamente affine per grado parentale? È sufficiente una sconosciuta consanguineità per giustificare l’appropriazione indebita dal punto di vista araldico? Evidentemente sulla questione si sono coagulati errori, imprecisioni ed espedienti storiografici inattendibili e purtroppo non verificabili, dato che la suddetta sepoltura sparì immotivatamente dalla sua collocazione in un imprecisato anno della seconda metà del XIX secolo.24
Il toponimico indizio di Argenta è probabilmente fuorviante, in quanto se veramente fosse intercorsa affinità tra i Dianti argentani e la famiglia di Laura qualche traccia sarebbe emersa non solo dai carteggi della donna, ma soprattutto dai suoi preziosi repertori di spesa, sovente generosi di informazioni riguardanti forme di solidarietà tra i congiunti, sempre riconducibili alle stesse figure: il padre Francesco, la madre (dal nome mai rivelato), il fratello Bartolomeo e la sorella Giulia, divenuta monaca (col nome di Lucrezia Maria) nel convento ferrarese di Sant’Agostino.25 Proprio all’interno di uno di quei registri amministrativi – un libro mastro di Spenderia relativo al biennio 1535-1536 –,26 si trovano due informazioni di un certo interesse: in corrispondenza del 24 maggio 1536, lo spenditore di Laura annota un esborso a favore di un facchino incaricato di far pervenire a Ficarolo un sacco e una tela alla madre «dell’Illustrissima Signora Laura d’Este», mentre alla data del 24 maggio risulta un acquisto di due anguille inviate sempre a Ficarolo, ma al padre Francesco.27 Che in quel frangente i genitori di Laura risiedessero lontani dalla figlia
23 F.PASINI FRASSONI, Dizionario storico-araldico dell’antico ducato di Ferrara, Roma, Collegio Araldico, 1914, p. 165.
24 G. RIGHINI,Due donne, cit., p. 100. 25 Cap. III, p. 231.
26 La Spenderia era il più rilevante ufficio-acquisti di corte, diretto da uno spenditore, che seguiva l’intero fronte degli approvvigionamenti alimentari e domestici, acquistando derrate deperibili nei mercati urbani, ricevendo e stoccando i beni provenienti dalle tenute, regolando le relazioni con quasi tutti i fornitori.
27 «Adì 24 de mazo 1536. Soldi uno denari 4 dati a uno fachino che portò un saco e una tela ordia (sic) a Po che andava ala madre de la madama a Ficarolo» (ASMo, AdP, reg. 1098, «Messer Zan Cristofaro detto il fra dalla Guardaroba
nell’importante località polesana, che da almeno trecento anni sorvegliava i traffici commerciali sul fiume Po, costituisce una notizia meritevole di future e più approfondite ricerche necessarie per ampliare, o sovvertire, nuove ipotesi sul cursus honorum dei Dianti. Tra le diverse investiture feudali di terreni e case che il duca Alfonso riservò a Laura durante gli anni Venti e Trenta, sarebbero potuti ricadere anche beni immobili ubicati nella giurisdizione estense basso- transpolesana, tra il Rodigino e il Mantovano: seppur non ancora avallato da qualche certificazione di matrice notarile, la concessione di almeno due possessioni nell’Oltrepo pare essere effettivamente avvenuta, tanto che all’indomani della morte della madre, don Alfonso eredita anche «un pezo de posesion a Figarolo o Salara».28 Per garantire un minimo di ascesa sociale alla famiglia, nulla vieta di pensare che la benevolenza nei confronti della fanciulla andasse oltre i semplici provvedimenti ad personam, includendo così anche altri componenti beneficiari delle elargizioni alfonsinee; al pari della sorella, pure Bartolomeo potrebbe essere stato dignificato da una disposizione ducale che gli consentisse, conseguentemente, di usufruire di qualche possedimento agricolo o unità residenziale: circostanza plausibile, se si considera che in quel registro di Spenderia il nome Bartolomeo compare costantemente preceduto dal titolo onorifico di «messere», seguito dal cognome Dianti.
A questo punto torna utile una domanda che Angelo Bargellesi-Severi pose all’interno della sua recensione alla biografia su Laura, scritta un anno prima da Giulio Righini:29 perché, ad un determinato momento, i Boccacci diventarono Dianti?
Evidentemente la risposta va ricercata nella valenza e nei risvolti politici del vincolo sentimentale tra Alfonso e la giovane, sempre più strutturato e palese anche agli occhi dei sudditi. Gli studiosi hanno sempre marcato la suggestione romantica evocata dalla nobilitazione onomastica giunta per via elegiaca, forse perché affascinati dal gioco di decifrazione dei costrutti sibillini e allegorici che
spenditore dell’Illustrissima Signora Laura d’Este», c. LI); «E adì 21 [giugno] detto [1536] soldi cinque denari 6 per avere conprado doe anguille grosse per mandare al padre dela madama a Figarolo, £ 0.5.6» (Ivi, c. LIV).
28 ASMo, AdP, reg. 517, «Registro de Camera del Illustrissimo Signor don Alfonso», c. 134: «Inventario delli beni immobili et bestiami qualli erano della bona memoria della già Illustrissima Signora Laura Eustochia Dianti Estense, madre che fu dello Illustrissimo Signor Don Alfonso Estense marchese de Montecchio, quali di presente tiene et possiede Sua Eccellentia».
abitavano nell’appellativo coniato ex novo, utili per capire qualche indizio caratteriale della cognominata. Se Muratori appare convinto che «il duca fece mutare il cognome proprio, dandole quello di Eustochia, per indicare i pregi co’ quali essa aveva guadagnato e sapeva conservarsi l’affetto suo»,30 Righini ipotizza una derivazione dall’etimo greco, magari suggerita da un dotto umanista (riconosciuto nel segretario Bonaventura Pistofilo) per indicare l’indole di «colei che colpisce nel segno», oppure che «è sagace nel centrare il bersaglio».31 Anche nel caso di «dianti», Angelo Bargellesi preferisce guardare ad una nominazione sostantivale e aggettivale desunta dal lessico antico, all’interno del quale isola tre soluzioni che potevano adattarsi meglio al profilo umano di Laura: gli ellenici diantaios e diantzés – l’uno a significare «che colpisce diritto al segno» e l’altro «fiore che si coglie tardi» – e il latino diantus, ossia «doppio fiore».32 Rimanendo in campo botanico, credo sia utile richiamare anche il peso simbolico del ∆ιòς άνθος (Diòs ánthos) con cui i greci definivano il fiore di Zeus, individuabile nel comune garofano rosso, che rientra appunto tra le specie delle piante Diantacee:33 non a caso, in relazione al colore sanguigno alludente alla passione e all’amore terreno, questo fiore è un classico dettaglio iconografico di dipinti «che hanno come soggetto fidanzati o novelli sposi».34
Accettando la pertinenza di tali interpretazioni etimologiche, cui andrà aggiunta anche una pista fornita dall’agiografia cristiana (Eustochio, terzogenita di santa Paola, era la discepola prediletta di san Girolamo, perché vergine sino alla morte),35 rimane comunque insoluta la motivazione di questa sorta di metonomasia, a meno che non ci si accontenti della tesi sottaciuta in tutti gli studi, per cui «seppellire perentoriamente il plebeo “Boccacci”» con la coniazione di un nuovo cognome fu il miglior modo per riscattare lo sconveniente e mal sopportato divario sociale. Se questa fosse stata la vera giustificazione, comunque isolata nelle consuetudini interne ai rapporti morganatici,
30 L.A. MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 363. 31 G. RIGHINI, Due donne, cit., p. 99.
32 A. BARGELLESI-SEVERI, Due donne, cit., p. 14.
33 Vedi la voce «Dianthus» in Lessico Universale Italiano, VI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, 1970, p. 271.
34 M.LEVI D’ANCONA,The garden of the Renaissance: botanical symbolism in Italian painting, Firenze, Olschki, 1977.
allora anche il figlio del duca, il nostro Alfonso di Montecchio, avrebbe potuto (e dovuto) adottarla nei riguardi della seconda legittima moglie, Violante Segni, figlia di uno speziale,36 e quindi «blasonata» ab origine quanto Laura Boccacci: ma ciò non accadde.
Credo, quindi, che alla base della volontà propter nominum mutationem ci sia una ragione di cogenza politico-ideologica e non sociale-censuaria. Agli occhi e alla memoria del duca, Boccacci – assieme a Boschetti e Roberti – era infatti uno dei ‘cognomi dannati’ appartenuti a quei cospiratori che circa quindici anni prima tentarono di rovesciare gli equilibri dinastici con la leva del pugnale. Bisogna risalire alla metà del 1505, quando prese forma la torbida congiura tutta interna alla famiglia regnante, infelice epilogo di una stagione di tensioni, ambizioni, invidie e antagonismi che videro coinvolti quattro fratelli estensi: Alfonso, Ippolito, Giulio e Ferrante. A capo dei sovvertitori figuravano Albertino Boschetti, conte di San Cesario, il genero Gherardo di Nicolò Roberti, il cantore guascone Giovanni d’Artiganova e uno dei camerieri di Ferrante, Franceschino Boccaccio o de’ Boccacci, da Rubiera;37 in realtà i veri animi sediziosi dimoravano in Giulio, «pregno di vendetta» verso Ippolito (committente, a suo giudizio, dell’aggressione fisica del novembre 1505 che gli causò la deturpazione permanente del volto) e Ferrante, «tanto impaziente di regnare» da desiderare fortemente l’eliminazione sia del duca che del cardinale. Smascherato il complotto e accusati di alto tradimento e di lesa maestà, i reati più infami in una società di antico regime, Giulio e Ferrante ebbero tuttavia salva la vita, ottenendo dal misericordioso fratello la grazia del carcere perpetuo, mentre gli altri congiurati non scamparono alla condanna a morte e il 12 settembre 1506 «nella piazza decapitati e messi in quarti che si appesero alle tre Porte della città a S. Benedetto, agli Angeli ed a S. Giovanni Battista, mentre le
36 Si rimanda al cap. II, p. 170.
37 A.FRIZZI, Memorie per la storia di Ferrara, IV, Ferrara, Pomatelli, 1796, ed. Ferrara, Servadio, IV, 1848, p. 224; F. PASINI FRASSONI, Dizionario, cit., p. 75: «Boccacci, d’azzurro, all’aquila d’oro attraversata da una banda di rosso.
Erano oriundi da Rubiera e più anticamente da Pisa. Nella cospirazione contro Alfonso I, a favore di Ferrante d’Este, figura Franceschino Boccacci, famiglio di Ferrante, che fu decapitato e mazzolato sulla pubblica piazza con Albertino Boschetti». La vicenda cospiratoria è stata trattata con toni melodrammatici in uno dei testi cult della letteratura estense: R.BACCHELLI, La congiura di Don Giulio d’Este e altri scritti ariosteschi, Milano, Mondadori, 1958.
teste sopra 3 lancie si piantarono alla cima della torre dell’Arringo presso al palazzo della Ragione».38
Il sentimento per Laura andava preservato nella sua purezza ed è plausibile, pertanto, che la genesi di una metamorfosi identitaria fosse strettamente legata a quell’omonimia col truce Franceschino, imbarazzante e insopportabile per il corredo di ferinitas e di sinistre reminescenze ad essa legate.