Le tribolazioni patite, ma brillantemente superate, da Alfonso d’Este all’interno di un groviglio ultradecennale di accadimenti guerreschi ed estenuanti contrattazioni diplomatiche, dimostrano quanto fossero indispensabili per la tenuta del potere il sincretismo zoomorfo dei caratteri della «golpe» e del «lione» nella figura del principe, che doveva innanzitutto dimostrare competenza nella res bellica, perché
quella è la sola arte che si espetta a chi comanda. Et è di tanta virtù, che non solamente mantiene quelli che sono nati principi, ma molte volte fa li uomini di privata fortuna salire a quel grado; e per avverso si vede che, quando e’ principi hanno pensato più alle delicatezze che alle arme, hanno perso lo stato loro. E la prima cagione che ti fa perdere quello è negligere questa arte, e la cagione che te lo fa acquistare, è lo steso professo di questa arte.89
Se, poi, all’interno della stessa famiglia regnante v’erano più epigoni di Marte, allora le probabilità di una più estesa conservazione dell’auctoritas aumentavano considerevolmente: ne era ben consapevole il terzo duca di Ferrara, che avviò alla carriera militare ben tre dei suoi cinque figli maschi, tra cui il nostro don Alfonso, mentre per Ippolito il traguardo era prefissato nel perimetro ecclesiastico, secondo l’ormai consolidata prassi dell’italianizzazione del Sacro Collegio mirante a
87L.A.MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 356. 88 L.CHIAPPINI, Gli Estensi, cit., p. 264.
89 N. MACHIAVELLI, Il Principe, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1961, p. 52; J.WOODS-MARSDEN, Il perfetto
capitano. I precetti di Machiavelli e l’iconografia della conquista, in Il «Perfetto Capitano». Immagini e realtà (secoli
XV-XVII), Atti dei seminari di studi (Georgetown e Ferrara, 1995-1997), a cura di M. Fantoni, Roma, Bulzoni, 2001,
creare una «saldatura d’interessi tra la Curia e i ceti dirigenti della Penisola»,90 perché – soprattutto nel Cinquecento – è sugli eleganti banchi prelatizi che si siglano accordi di pace o di guerra, si confermano matrimoni e «parentadi», si definiscono proposte e mediazioni diplomatiche di ogni sorta: in sostanza, sulla scena romana si determinano i percorsi della storia, anzitutto peninsulare. Il credito riposto dal padre sul futuro ruolo dinastico dei suoi due ultimi figli maschi è dimostrato dal tipo di istruzione signorile a loro riservata, impartita secondo l’ormai consolidata tradizione dell’institutio principis, un genere di letteratura politica che conobbe un’ampia diffusione specialmente nella prima metà del ’500, mirante a delineare un modello ideale di optimus princeps e a individuare una deontologia etica e politica appropriata a esso.91
L’intreccio strettissimo tra temi politici e temi pedagogici è caratteristica comune a tutta la letteratura di specula e institutiones, che pone problemi di interpretazione di non poco conto: quel che è infatti in gioco, sovente, in tutto questo genere di scritti non è tanto in primo luogo il processo educativo attraverso il quale si forma il sovrano, quanto piuttosto il modello di sovrano che viene assunto come vero e sul quale si forgia l’idea stessa di sovranità.
Per Alfonso e Alfonsino l’educazione allo ‘stare in corte’, all’interiorizzazione di quei modi che si addicono a una data couche sociale, l’affinamento del gusto, lo sviluppo dell’attitudine al mecenatismo e della capacità di gestire complessi meccanismi estetici e rappresentativi, avvennero sia con l’apprendimento teorico di cognizioni letterarie orientate dagli istitutori ducali sulla base di una serie di testi ad hoc contrassegnanti il piano degli studi dei principi bambini,92 sia (e soprattutto) con l’apprendistato a una serie di saperi multiformi e diversificati reso possibile dalla diretta frequentazione della migliore palestra educativa per i rampolli di rango: la corte del
dominus, spazio per eccellenza di coordinamento di energie e disegni molteplici, culturali,
90 D.FRIGO, Negozi, alleanze e conflitti. La dinastia estense e la diplomazia del Seicento, in La corte estense nel primo
Seicento. Diplomazia e mecenatismo artistico, a cura di E. Fumagalli e G. Signorotto, Roma, Viella, 2012, pp. 51-92:
84.
91 D.QUAGLIONI, Il modello del principe cristiano. Gli «specula principum» fra Medio Evo e prima Età moderna, in
Modelli nella storia del pensiero politico, I, a cura di V.I. Comparato, Firenze, Olschki, 1987, pp. 103-122; La
formazione del principe in Europa dal Quattrocento al Seicento. Un tema al crocevia di diverse storie, Atti del convegno (Ferrara, 2002), a cura di P. Carile, Roma, Aracne, 2004.
92 M. FERRARI, Lettere, libri e testi ad hoc per la formazione delle élites: uno studio di casi fra Quattrocento e
Settecento, in Saperi a confronto nell’Europa dei secoli XIII-XIX, a cura di M.P. Paoli, Pisa, Edizioni della Normale, 2009, pp. 27-55.
dinastici, economici e militari, microcosmo che rivela modi e forme peculiari di elaborazione ideologica e di organizzazione del potere.
La formazione pedagogica e culturale dei due paides estensi poté beneficiare delle norme precettive contenute nel Principe fanciullo, un trattato scritto probabilmente nei primi anni Quaranta dal modenese Filippo Valentini,93 letterato noto per la sua attività di riformatore religioso e per la militanza nei movimenti ereticali emiliani. Indirizzata ai duchi Ercole e Renata, alle prese con l’educazione del primogenito Alfonso (nato nel 1533), l’opera trae profonda ispirazione dall’Institutio principis Christiani – dedicata da Erasmo al futuro imperatore Carlo V – tra i più importanti esempi di questa nuova letteratura nel XVI secolo. Il carattere normativo dei princìpi posti a contenuto dell’educazione signorile, così come il valore assoluto attribuito all’ideale dell’optimus princeps, collocavano lo studio erasmiano negli usi degli specula, oltre a farne un importante documento del platonismo rinascimentale, proponendosi di formare il giovane signore agli ideali di giustizia, di rettitudine, di dedizione al bene comune ereditati dalla classicità e innestati in una nuova visione religiosa, spirituale e coerente con l’insegnamento di Cristo. Il principe venne così a rappresentare l’incarnazione del governatore filosofo della tradizione platonica, ma caratterizzato, in quanto imago Dei, anche dai maggiori attributi divini, quali la potenza, la sapienza e l’amore.
Nella Ferrara degli anni Trenta e Quaranta gli orientamenti della speculazione politica e pedagogica quattro-cinquecentesca, uniti a quelli della filosofia umanistico-cristiana di Erasmo, costituiscono un humus culturale davvero importante per la crescita del protagonista di questa ricerca, affidato (assieme al fratello Alfonsino) alle cure precettistiche di due figure di vaglia, allora svincolate da qualsivoglia rapporto di docenza con puberi di altre corti estensi:94 l’umanista di origine mantovana Pellegrino de Moreto, o Morato, e il commediografo ferrarese Giovanni Battista Giraldi.
93 F. VALENTINI, Il principe fanciullo. Trattato inedito dedicato a Renata ed Ercole II d’Este, a cura di L. Felici, Firenze, Olschki, 2000.
94 I due figli maschi di Ercole e Renata, Alfonso (1533) e Luigi (1538), furono affidati alle cure letterarie di Vincenzo Maggi e di Bartolomeo Ricci da Lugo.
Padre della famosa Olimpia, Fulvio Pellegrino Morato fu bandito dai confini gonzagheschi per ignoti motivi e si trasferì a Ferrara, dove già nel 1517 il duca Alfonso lo riconobbe come uomo dabbene, tanto da indirizzarlo alle dipendenze del fratello Sigismondo d’Este in qualità di istitutore (o, meglio, «pedante») e apprezzato espositore di testi antichi.95 Proprio la sua competenza nel campo delle lettere classiche lo rese in breve tempo uno dei più noti e contesi «maestri de scola» di latino, «nella qual pratica si acquistò molta riputazione per il numero e la qualità dei giovanetti che accorrevano alle sue lezioni».96 La fine conoscenza delle opere di Dante e Petrarca stimolarono gli approfondimenti nello studio del volgare e l’inserimento nelle contemporanee dispute sull’erudizione linguistica, allacciando rapporti epistolari con Bembo, Leoniceno e Bernardo Tasso: il frutto più noto dei suoi interessi filologici fu il Rimario di tutte le cadentie di Dante et
Petrarca, edito a Venezia nel 1528 per i tipi di Niccolò Zoppino, in assoluto la prima opera di carattere lessicografico composta con l’intento didattico di facilitare gli studiosi a orientarsi tra le rime della Divina Commedia e del Canzoniere.
C’è un elemento del cursus honorum di questo umanista che non è mai stato approfondito nei pochissimi studi monografici a lui dedicati:97 la connessione tra i ruoli di innovatore delle teorie fideistiche e di provvisionato alla corte di Laura Dianti. In qualità di unica tutrice, costei decise di affidare il perfezionamento educativo dei figli alle cure di una delle personalità più autorevoli e rappresentative del calvinismo ferrarese del Cinquecento, nel tempo in cui la capitale estense – per via del potere attrattivo della corte francofona di Renata di Valois-Orléans agli occhi degli esuli proto-riformati en rupture de ban – si proponeva come vero e proprio centro organizzato dell’eretica pravità, punto di riferimento per ideologie e progetti religiosi e politici di più ampio
95 G. CAMPORI, Fulvio Pellegrino Morato, «Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le province modenesi e parmensi», VIII, Modena, per Carlo Vincenzi, 1876, pp. 361-371: 362.
96 Ivi, p. 363.
97 L.PUTTIN, L’umanista mantovano Fulvio Pellegrino Morato fra letteratura e riforma, «Civiltà mantovana», XLV, 1974, pp. 113-125; M.CIGNONI, Fulvio Pellegrino Morato, umanista protestante († 1548), «Atti dell’Accademia delle
Scienze di Ferrara», LXII-LXIII, 1984-1985, pp. 135-148; L. SARACCO, Morato, Fulvio Pellegrino, in Dizionario
raggio, dedito alla propaganda e alla protezione di quegli elementi che già erano soggetti o stavano per esserlo alle repressioni di parte ortodossa.98
Già negli anni Trenta, quando fu chiamato a Vicenza per ricoprire l’incarico di maestro pubblico di latino, grazie all’intercessione di Giovanni Battista Egnazio e di Gian Giorgio Trissino, il Morato si fece portavoce di idee anticlericali, accentuando l’interesse per le dottrine della Riforma d’Oltralpe a tal punto che, nel 1538, inserì tra le letture della sua scuola pubblica vicentina l’Institutio
Christianae religionis di Giovanni Calvino, già ospitato nella capitale estense dalla stessa Renata, nella primavera del 1536: anche se la scelta gli costò la revoca dell’incarico di lector, in un clima di evidente opposizione alla sua persona, dalla schola del Morato uscirono le figure più influenti del calvinismo vicentino, quali Alessandro e Giulio Trissino (figlio di Gian Giorgio), Carlo Sesso, Nicola, Marco e Odoardo Thiene, amico del Palladio.99
Una volta ritornato a Ferrara, nel corso del 1539, occupò per un quinquennio la cattedra universitaria di latino e greco (1541-1546) e proprio in quel torno si allacciarono stretti rapporti privati e professionali con la famiglia regnante, durati fino al momento della sua morte (febbraio o aprile 1548). Olimpia Morata, nata tra il 1526 e il 1527, era stata chiamata al servizio della maison della duchessa Renée già nel gennaio 1540 col ruolo di precettrice, affinché le tre enfants ducaux – Anna, Lucrezia e Leonora – fossero stimolate nell’apprendimento delle materie classiche.100 La giovane letterata parlava in greco e in latino in modo prodigioso e la sua abilità linguistica, curata nei particolari anzitutto dal padre Pellegrino, era finalizzata all’essere esibita, tanto che l’erudito Lilio Gregorio Giraldi la ricorda come «puella supra sexum ingeniosa: nam non contenta vernaculo
98 Per il quadro sulle turbolenze religiose innescate a Ferrara dalla condotta della duchessa, vedi E. BELLIGNI,
Evangelismo, riforma ginevrina e nicodemismo: l’esperienza religiosa di Renata di Francia, Cosenza, Brenner, 2008;
EAD., Renata di Francia (1510-1575): un’eresia di corte, Torino, Utet, 2011.
99 A.OLIVIERI, Alessandro Trissino e il movimento calvinista vicentino, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», XXI, 1 (1967), pp. 56-57.
100 «Per il suo raro ingegno, et per la non volgar eruditione, che per vostra diligenza ha acquistatta, è stata data per compagna de studi alla Prencessa Anna», scriveva Celio Secondo Curione nel giugno del ’42 indirizzando un’operetta
pedagogica al padre di Olompia: C.FRANCESCHINI, «Literarum studia nobis communia»: Olimpia Morata e la corte di
Renata di Francia, in Olimpia Morata: cultura umanistica e riforma protestante tra Ferrara e l’Europa, Atti del convegno internazionale (Ferrara, novembre 2004), a cura di G. Fragnito, «Schifanoia», 28/29, 2005, p. 211.
sermone, latinas et graecas litteras apprime erudita, miraculum fere omnibus qui eam audiunt esse videtur».101
Si trattava di esibizioni cui erano sottoposti anche i rampolli ducali; ad esempio, nel 1539, Ercole II invitava con orgoglio il cugino cardinal Ercole Gonzaga ad assistere a Ferrara all’Andria di Terenzio, in cui Anna, a soli sette anni, recitava in latino:
Voglio che vediati recitare, in secreto però, una comedia, nella quale la mia primogenita donna Anna recita anchor lei: et anchor che sii latina per esser la Andria di Terenzio sono sicuro non vi spiacerà una puta di 7 anni servir nella persona di Panphilo. Voi direte forsi ch’io son patre et come la cornacchia: questo non mi dà noia, bastami ch’io spero farvi vedere ch’el mio sperma è pieno di bon spirito.102
Stando alla documentazione pervenutaci, che riferisce di acquisti di opere di Terenzio e di non specificate «tragedie»,103 vi sono buone ragioni per ritenere che anche i pupilli della Dianti crebbero sotto l’egida delle muse Melpomene e Talia, evidentemente introdotte alla corte del palazzo di via degli Angeli da commediografi di spicco come Ercole Bentivoglio, Giovanni Battista Giraldi e Alberto Lollio: oltretutto in un momento storico particolarmente effervescente, animato dalle riflessioni teoriche sulla rinascita della commedia all’indomani della morte dell’Ariosto, quando la frammentazione degli allestimenti nelle residenze private e nelle Accademie (quella degli Elevati, venne fondata in casa di Lollio nel maggio del 1540) si configurava come il carattere preminente delle rappresentazioni sceniche ferraresi.104 Come rilevato da Daniele Seragnoli, il minore sfarzo promozionale della corte di Ercole II alimentò una dimensione ristretta, meno ufficiale ma maggiormente protetta, capace di favorire lo
101 G.B.GIRALDI, Dialogi duo de poetis nostrorum temporum, a cura di C. Pandolfi, Ferrara, 1999, p. 234.
102 B. FONTANA, Renata di Francia, duchessa di Ferrara. Sui documenti dell’Archivio Estense, del Mediceo, del
Gonzaga e dell’Archivio Secreto Vaticano (1537-1560), Roma, Forzani e C., 1893, p. 90. In chiave analoga è da leggere il ruolo attoriale di Anna e dei suoi fratelli all’interno della messa in scena degli Adelphoi nel 1543, allestita in onore di papa Paolo III: C.FRANCESCHINI, «Literarum studia, cit., p. 218.
103 ASMo, AdP, reg. 375, «Zornale de Intrada e Usita delo Illustrissimo Signore don Alfonsino Estense», c. 42, 3 giugno 1542: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este lire una, soldi sei de marchesani per Sua Signoria a maistro Zoan Maria Carafa libraro contanti per lo amontare de dui Terenzi picholi che lui à dato per Sua Signoria, £ 2.12.0»; Ivi, reg. 376, «Intrada e Usita del Illustre Signore don Alfonsino Estense», c. 46, 3 giugno 1543: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexa de libri lire una de marchesani per Sua Signoria a maistro Zan Maria Carafa contanti per uno libro dito le tragedie dato a Sua Signoria, £ 1.0.0».
sperimentalismo di Giraldi sulla tragedia:105 le sue conoscenze, le sue nozioni scientifiche, l’appartenenza al mondo delle accademie, lo portano infatti a oltrepassare una soglia di prova al di là della quale si definiscono meglio le forme della drammaturgia tragica (e anche di quella definita «pastorale»), ma anche le norme della pratica scenica e il mestiere dell’attore.
Ragionando sul contesto della paideia degli «illustrissimi Alfonsini Estensi» – così venivano chiamati i due imberbi fratelli – non si dimentichi che la frequentazione di un ambiente erasmiano fa di Giraldi un intellettuale molto meno ortodosso di quanto sia finora apparso, visto che Erasmo, come ha spiegato Silvana Seidel Menchi, è uno dei veicoli della diffusione della Riforma in Italia.106 Il tragediografo ferrarese era inoltre uno dei frequentatori più assidui della corte di Renata, cui aveva dedicato, oltre a vari omaggi nei Carmina latini, un elogio nell’epilogo della sua prima tragedia, l’Orbecche, nel 1541, e un sonetto nel canzoniere Le Fiamme, del 1548; 107 più che un vero e proprio nicodemita, si rivelò un umanista consapevole del dibattito religioso del suo tempo (che fino agli inizi degli anni Cinquanta a Ferrara è estremamente aperto e sincretico), nel quale la sua posizione è sicuramente più sensibile a istanze riformate che a inequivoche professioni di ortodossia.
Renata fu mecenate, insipiente ma tenace, di intellettuali eterodossi, a cui poteva accordare, a seconda dei casi, un posto di lavoro, un rifugio, la sua protezione politica e, a intervalli regolari, delle somme di denaro: i casi eclatanti di Olimpia, di Celio Secondo Curione, di Francesco Porto, di Antonio Brucioli, di Francesco Maggio, di Orazio Brunetto rientrano tra gli esempi di un
matronage ereticale di grande efficienza. Ma ella fu ugualmente protettrice di letterati di minor fortuna: piccoli umanisti, insegnanti di scuola da tutte le parti del Ducato, tutori e tutrici, studiose e perfino maestre di economia domestica che si occupavano anche dell’istruzione delle altre damigelle e dei paggi della maison, nonché di provvedere all’«escollaige» di molti figli di suoi
105 D.SERAGNOLI,B. DI PASCALE, Il teatro a Ferrara da Ercole II alla devoluzione estense (1534-1598): linee e
tendenze, in Le stagioni del teatro: le sedi storiche dello spettacolo in Emilia Romagna, Bologna, Grafis, 1995, pp. 11- 44: 16.
106 S.SEIDEL MENCHI, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.
107 S.JOSSA, All’ombra di Renata. Giraldi e Castelvetro tra umanesimo ed eresia, «Schifanoia», XXVIII-XXIX, 2005, pp. 247-254.
familiari.108 Evidentemente l’influenza francese condizionò l’adesione della fille de France a questa tipologia di rete ereticale, che favoriva la gestione femminile di un ambiente eterodosso molto ramificato: è il modello di comportamento che madama trasse direttamente dalla magnanima ed energica regina di Navarra, Margherita d’Angouleme (sua parente), presso la cui corte di Nérac protesse Guillaume Briçonnet e Jacques Lefèvre d’Étaples, gli umanisti teologi che segnarono l’avvicinamento al pensiero protestante della futura moglie di Ercole II d’Este.109
Insediata da pochi anni nel superbo palazzo di via degli Angeli con ruolo di giovane «ducissa madre» o «ducissa vedova», Laura Dianti non poté dimostrarsi insensibile al ruolo matronale assunto dalla duchessa in carica, Renée (sua nuora acquisita), né rimase indifferente agli elogi espressi dai letterati nei confronti della scuola femminile promossa dalla principessa gallica, paragonata anche per questo ad altre donne illustri d’Europa. Spinta da sentimenti emulativi, Laura garantì ai due figlioli la medesima paideia riservata alla prole ducale, immune da ogni logica di discriminazione dignitaria che la consanguineità meno blasonata avrebbe potuto ingenerare in un sistema dinastico rigidamente fondato sulla limpieza de sangre, quale fu effettivamente quello estense, soprattutto dopo l’ascesa al trono di Ercole II.
Forte dell’ineliminabile posizione di domina all’interno (e a capo) della propria familia consortile fondata su legami parentali e clientelari così utili nella costruzione di quell’istituzione politico- economica chiamata «corte», la Dianti entrò senza intermediazioni nelle dinamiche culturali ferraresi, allacciando contatti con personalità appartenenti al campo delle lettere, delle arti e delle scienze: accostamenti che non si esaurirono nel breve volgere dell’episodicità di un’incombenza, ma che durarono per tutto l’arco della vita, sua e dei figli, inserendosi in un contesto di organico e confidenziale rapporto di committenza. Di qui, appunto, i legami con Pellegrino Morato, Ercole Bentivoglio, Alberto Lollio, Pietro Aretino, Giovanni Battista Giraldi, ossia i principali protagonisti
108 C.FRANCESCHINI, «Literarum studia, cit., pp. 207-232.
109 E. BELLIGNI, Reti eterodosse e maestri d’eresia: la corte di Renata di Francia tra Ferrara e Consandolo, «Schifanoia», 28/29, 2005, p. 241. È utile ricordare che la sovrana di Navarra era congiunta di Renata, in quanto la sorella Claudia aveva sposato re Francesco, fratello di Margherita.
del contemporaneo dibattito sulle nuove tematiche religiose, e promotori di iniziative editoriali più o meno apertamente antiromane.110
A questo preclaro cenacolo andrà aggiunta la figura di Antonio Musa Brasavola (1500-1555), la cui familiarità con la corte dei pupilli estensi è emersa chiaramente dalle informazioni ricavate dallo spoglio documentario. Allievo di Niccolò Leoniceno e di Giovanni Manardi, Brasavola fu un esperto di diritto, di filosofia, di storia e soprattutto di scienze medicobiologiche,111 tanto che con la sua attività specialistica e didattica l’Università di Ferrara divenne uno dei centri europei più importanti per gli studi naturalistici e botanici, mentre i suoi testi ebbero modo di diffondersi rapidamente in ogni angolo del continente, spesso accompagnati dall’imprimatur di sovrani e pontefici.112 Il primo contatto con l’«Illustrissimo Signor don Alfonso da Este» risale al marzo 1541, quando il luminare non ricopriva ancora la carica di archiatra pontificio, assegnatagli sei mesi dopo da Paolo III, al seguito del quale si trasferì a Roma e là vi soggiornò per quattro anni consecutivi, insegnando medicina all’archiginnasio della Sapienza.
Non va dimenticato il ruolo precettistico del medico all’interno della corti signorili italiane, dove spesso vestiva i panni del consiliarius non solo per discutere della salute del futuro principe, ma anche per affrontare dissertazioni di natura teoretica, di questioni politiche attinenti ai sistemi di «reggimento» dello Stato o di princìpi fideistici nel campo delle scienze.113 Il magister Musa