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Una volta rientrato a Ferrara, il ventenne Alfonso – temprato dai successi militari della spedizione asburgica e dalle prime relazioni internazionali avviate in seno ad essa – cominciò ad atteggiarsi sempre più come il portatore di una strategia dinastica con connessi linguaggi intrisi di valore

165 P.GORETTI, In limatura della luna argentea. La scienza dei magnifici apparati, tra malinconia, vestiario e vaghezze

d’antico, in Gonzaga. La Celeste Galleria. L’esercizio del collezionismo, a cura di R. Morselli, Milano, Skita, 2002, p.

209; A.QUONDAM, Tutti i colori del nero. Moda e cultura del gentiluomo nel Rinascimento, Costabissara (Vicenza),

Angelo Colla Editore, 2007, p. 123.

166 ASMo, AdP, reg. 520, «Don Alfonso Estense alla Corte Imperiale, 1547», c. 31, 27 maggio: «E adì ditto per una

guida tolta a Virtinbergo suso el ducato de Sansonia per condure la parte dela casa del Illustrissimo Signor don Alfonso da Este, la quale restiete alla corte de la maiestà Zesaria per insina a Ratisbona de la qualle guida se li diete scudi sete e megio d’oro per sua merzede e pagamento, scudi 7, bazi 11».

politico e simbolico, in grado di superare la sfera privata per assumere una dimensione pubblica. Nel processo di definizione e tutela della propria identità e legittima autorità, il primo passo non poteva che indirizzarsi alla costruzione di quel formidabile strumento di rappresentanza immediata del principe e della sua magnificenza: la corte, ossia il luogo di espressione della sovranità nel quale si elabora e si rappresenta, in un codice complesso e in un linguaggio articolato, l’immagine e il ruolo che la dinastia si attribuiva, rivolta tanto ai propri sudditi quanto all’esterno del Ducato. Stanziandosi nel proprio palazzo di via degli Angeli, architettonicamente riqualificato (come vedremo) al fine di ospitare adeguatamente una consorteria ogni anno sempre più numerosa, Alfonso non si discostò molto da quanto stava contemporaneamente avvenendo nelle corti dei limitrofi «Stati padani», strutturatesi attorno ad alcuni caratteri ben riconoscibili, secondo Chittolini, anche nella dimensione propagandistica, come lo sfarzo cortigiano, l’identità militare del dominus, il mecenatismo artistico e letterario, il connubio tra cultura umanistica e «servizio al principe», il culto della memoria dinastica, l’attenzione per i valori aristocratici dell’onore e della distinzione:167 in pratica, si tratta della tendenza «verso una sempre più netta omogeneizzazione ideologica di segno nobiliare delle diverse classi dominanti italiane» che connotava l’arco cronologico compreso tra il 1545 e il 1563, definito da Claudio Donati «epoca di stabilità crescente».168

Prima della corte veniva, però, la familia, il clan fondato su legami parentali e clientelari che secondava ogni esponente delle classi aristocratiche e magnatizie, favorendo la costituzione di reti relazionali vaste, fitte e robuste, capaci di estendere per partenogenesi l’influenza di Casa d’Este in un groviglio d’alleanze. Alfonso poteva contare anzitutto sull’appoggio delle strutture consortili organizzate nel decennio precedente dalla madre Laura, la quale – proprio sul finire degli anni ’40 – cominciò a promuovere l’iniziativa decisionale del primogenito ormai maturo, ritirandosi

167 G.CHITTOLINI, Stati padani,“Stato del Rinascimento”: problemi di ricerca, in Persistenze feudali e autonomie

comunitative in stati padani fra Cinque e Settecento, a cura di G. Tocci, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 9-29. 168 C.DONATI, L’idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 93.

progressivamente dal campo delle ingerenze politiche in favore di ben più confortevoli attività di committenza artistica e letteraria.169

L’esultanza per la partecipazione nella «guerra di Lemagna» non durò molto, dovendosi arrestare dinanzi alla notizia dell’improvvisa morte del fratello Alfonsino, non ancora diciassettenne, avvenuta il 10 agosto 1547.170 Sul piano dei riscontri documentali non vi sono prove che facciano riferimento al ruolo che il più giovane dei pupilli estensi avrebbe dovuto (o potuto) assumere nei piani dinastici immaginati dalla madre, di concerto col duca Ercole II. Considerando che entrambi beneficiarono della medesima base formativa e pedagogica, rispetto ad Alfonso si dimostrò forse più sensibile allo studio umanistico,171 così come parrebbe più accentuata la passione per i tornei cavallereschi durante il carnevale e per le rappresentazioni teatrali (soprattutto di Giraldi), a giudicare dalle frequenti spese per l’acquisto di maschere o per il rimborso di attori e musici.172 Veramente degno di attenzione il dettaglio di una della testimonianze raccolte durante il 1616 nel summenzionato examen voluto da Cesare d’Este: ricordando i due «Alfonsini», in data 26 aprile il marchese Ercole Rondinelli di Canossa riferiva di una disfunzione metabolica portatrice di quella progressiva obesità che,173 oltre a causare la prematura morte del minore, stroncò dapprincipio ogni speranza di ripercorrere le orme del fratello nel mestiere delle armi, costringendolo ad una

169 Vedi cap. III, pp. 218-231.

170 L.A.MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 370.

171 Pare che potesse disporre di un personale studio-scrittoio di legno, montato in una delle sue stanze del palazzo di via degli Angeli, come rintracciato in ASMo, AdP, reg. 376, «Intrada et usita del Illustre Signor don Alfonsino Estense, E, 1543», c. 45, 10 maggio: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexa de fabriche lire una, soldi due contanti per Sua Signoria a maistro Tomaso da Tamara marangone contanti per sua merzede de avere fatto uno studio a Sua Signoria, £ 1.2.0».

172 Ad esempio: ASMo, AdP, reg. 376, «Intrada et usita del Illustre Signor don Alfonsino Estense», c. 51, 30 ottobre 1543: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexa de donatione scudi due d’oro in oro a soldi 72 de marchesani per Sua Signoria a Francesco padoan e compagni contanti per avere fatto una comedia e bufoneria denanzi a Sua Signoria, £ 7.4.0»; Ivi, reg. 377, «Intrà e usita del Illustre Signor don Alfonsino Estense», c. 58, 18 giugno 1544: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexa straordinaria lire quatro, soldi cinque de marchesani per Sua Signoria a maistro Zan Stefano dale maschere contanti per lo amontare de più maschere che la date a Sua Signoria, £ 4.5.0»; Ivi, c. 70, 11 dicembre 1544: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexa de donazione scudi dui d’oro in oro a soldi 72 de marchesani per Sua Signoria a meser Hieronimo Orlandino contanti per altri tanti che lui à dato de commission de la Signora Laura a sei sonaduri bersani che sonorno a Sua Signoria adì passati, £ 7.4.0»; Ivi, reg. 378, «Intrà e usita», c. 41, 2 gennaio 1545: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexe straordinarie lire una soldi sedexe de marchesani per Sua Signoria a uno de Pendalgij comedianti, contanti li quali Sua Signoria li dona per avere fato una comedia con dui putti, £ 1.16.0»; Ivi, c. 44, 2 marzo 1545: «Alo Illustrissimo Signore don Alfonsino da Este a spexe straordinaria lire doe, soldi dexenove de marchesani per Sua Signoria a meser Francesco Balarino speziale contanti per lo amontare de quattro torze, zoè doe bianche e doe da vento che lui dete per acompagnare sua Signoria che zera (sic) a casa del Ziraldo a vedere recitare la Satire (sic), £ 2.19.0».

sedentarietà colmata da occupazioni più intellettuali, giustificanti, conseguentemente, la qualità maggiormente contemplativa della sua esistenza.174 Nonostante la breve durata, la sua vita fu comunque rallegrata dalla nascita di una figlia, Renea, concepita con una non meglio identificata «madama Caterina», probabile dama di compagnia della Dianti, dimostratasi molto amorevole nei riguardi della nipote, tanto che nell’unico codicillo testamentario pervenutoci le lasciò in eredità duemila scudi d’oro.175

Parimenti premuroso, Alfonso si preoccupò del mantenimento di Caterina e dell’educazione di Renea,176 facendola crescere assieme ai cuginetti estensi nella corte di via degli Angeli, fino a quando gli obblighi coniugali non la spinsero a seguire a Mantova il marito, Sigismondo Cauzzio Gonzaga, sposato quasi certamente nel corso del 1563.177

Di fatto, con la scomparsa di Alfonsino, il fratello maggiore subentrò nelle sue proprietà, accumulando un patrimonio mobiliare ed immobiliare davvero considerevole, tale da elevarlo in una posizione di indubbia forza nei rapporti di potere intrafamiliari. La guarentigia migliore per preservare quella inaspettata condizione erano le nozze, magari con una donna d’alto lignaggio, secondo la potenziale utilità dei matrimoni esogamici nelle modalità successorie della famiglia ducale e nell’edificazione della memoria dinastica; non sarà un caso se proprio in quel frangente cronologico caddero i primi ragionamenti sul matrimonio del nostro Alfonso, risoltisi poi con la

174 Subito dopo la morte del giovane estense, il Giraldi compose in memoriam un epicedio latino, poi inserito nel suo

Commentario delle cose di Ferrara et de’ Principi da Este (Venezia, appresso Giovanni de’ Rossi, 1556, pp. 152-153),

precisamente al termine del prospetto biografico dedicato al padre Alfonso I d’Este.

175 Una copia autentica dell’atto, rogato il 18 febbraio 1564, trovasi in ASMo, CeS, b. 395, fascicolo 2046.IV/6; la trascrizione dello stesso si può leggere in G. RIGHINI,Due donne, cit.,p. 160. Di Renea non conosciamo la precisa data

di nascita (collocabile tra il 1546 e 1547) e di morte (sicuramente dopo il marzo del 1590, quando si parla ancora di lei in ASMo, AdP, reg. 341, «Zornale del Banco, 1590», c. 90).

176 ASMo, AdP, reg. 475, «Zornale del Intrata et Usita», c. 57, primo ottobre: «Allo Illustrissimo Signor don Alfonso Estense a spesa lire sei marchesane a madona Caterina madre della putina del quondam Illustrissimo Signor don Alfonsino Estense, contanti per la sua spesa del mese d’ottobre, £ 6.0.0».

177 ASMo, Adp, reg. 437, «Zornale de contanti del cassiero, 1563», c. LI, 2 agosto: «All’Illustre Signor Sigismondo Gonzaga scudi cinquecento d’oro in oro per conto della dote della signora Renea nepote dell’Illustrissimo Signor Nostro e consorte del detto Signor Sigismondo, della qual dotte ne appar instromento rogato per meser Aurelio Roito notar, e per il predeto Signor Sigismondo al spectabile meser Girolamo Orlandino per altri tanti ch’egli gli à mandati a Mantova per meser Bartolomeo Pendaglia, come appar per una lettera, qualli scudi 500 il predeto meser Girolamo gli ebbe per il banco del magnifico meser Andrea de Selvestri sina del mese de luglio de l’anno presente, £ 1925.0.0». Dall’unione nacque Alfonsino Cauzzio, che sposò Ippolita Gonzaga, figlia di Cesare I, conte di Guastalla e principe di Molfetta: sulla famiglia Cauzzi Gonzaga, cfr. il recente volume di G. MALACARNE, Gonzaga. Genealogie di una

scelta di una nobile rampolla: Giulia Della Rovere, figlia di Francesco Maria I ed Eleonora Gonzaga.

Così Ludovico Antonio Muratori rammentava l’ingresso a Ferrara della sorella diciottenne del duca Guidobaldo II:

Nel dì 3 di gennaio del 1549 arrivò a Ferrara la suddetta principessa Donna Giulia, che Donno Alfonso era ito in compagnia di molta nobiltà a ricevere in Pesaro; e seco venne ancora il Duca Guidobaldo di lei fratello. Fu ad incontrare fuori di Ferrara la novella sposa il Duca Ercole con tutta la sua corte, e si solennizzarono queste nozze in essa città con feste ed allegrie di rara magnificenza.178

Che il giovane cadetto fosse diventato un protagonista di una certa rilevanza nel contesto politico ferrarese tra gli anni Quaranta e Cinquanta, è dimostrato dall’ingerenza del duca estense nei negoziati matrimoniali, già avviati da oltre un anno. Il principio del 1548 fu particolarmente propizio ai calcoli genealogici di Ercole II, impegnato fin dal gennaio nelle doppie mediazioni diplomatiche riguardanti il mariage della primogenita Anna con François de Lorraine – duca di Aumale ed erede di Claude, duc de Guise – e del fratellastro Alfonso con la sorella del duca d’Urbino;179 entrambe le contrattazioni si conclusero simultaneamente, e nel migliore dei modi: il 27 settembre si rogò a Fossombrone, nel «palatio prelibatæ Illustrissimæ et Excellentissimæ Dominæ Leonoræ», il contratto nuziale tra Giulia e Alfonso, mentre due giorni dopo si celebrò per procura lo sposalizio di Anna con Louis de Bourbon, in nome di François.180

Ai mandatari ferraresi Leonello Cattabeni e Alfonso Rossetti, il duca Guidobaldo prometteva al primogenito di Laura Dianti una dote di ventiduemila scudi d’oro, comprensiva della quota parafernale formata da vesti, suppellettili e gioielli, stimata in duemila scudi aurei:181 dunque, per l’«illustrissimus Princeps Dominus Alfonsus Estensis» si profilava un accasamento alquanto prestigioso, che stringeva per la prima volta col vincolo parentale il legame tra le due casate,

178 L.A.MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 378.

179 Presso l’Archivio di Stato di Modena (in CeS, b. 354, fascicolo 1981.I/1) è conservata la «Dispensa concessa dal Vicario generale del vescovo di Ferrara a Don Alfonso d’Este e a Donna Giulia della Rovere figlia del duca d’Urbino», datata già al 12 gennaio 1548.

180 L.A.MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 377; M.SANFILIPPO, Este, Anna d’, in Dizionario Biografico degli Italiani,

XLIII, Roma, 1993, p. 316.

rinnovato ulteriormente nel dicembre del 1569 con lo sposalizio di Francesco Maria II (figlio di Guidobaldo) con Lucrezia d’Este (secondogenita di Ercole II).

Come laconicamente fatto intendere da Muratori,182 è molto probabile che la scelta del partito matrimoniale per Alfonso sia stata in realtà manovrata dallo stesso Carlo V nelle settimane successive il fatto di Mühlberg, allorquando il monarca potrebbe aver pensato come migliore riconoscimento alla destrezza palesata dal giovane estense un suo «parentado» con una italica famiglia altrettanto generosa di esponenti avvezzi all’uso delle armi; i Della Rovere, appunto, come attesterebbe anche il riferimento ad una trattativa imperiale riguardante le corti ferrarese e urbinate, così indicata nella lettera che il duca Guidobaldo inviò da Verona ad Ercole II, in data 9 ottobre 1547:

Illustrissimo et Eccellentissimo Signore, ho comesso a questo mio gentilomo el quale torna dalla corte dell’Imperatore, che nel suo passar per Ferara facci riverenza alla Eccellenza Vostra in mio nome e le dia conto della buona risoluzione ch’egli ha havuto da Sua Maestà de i negozi ch’andò a fare. E però supplico Vostra Eccellenza che gli dia fede e le bacio le mani.183

Sarà utile ricordare che Francesco Maria I (1490-1538), definito proprio dall’imperatore «uno de li gran Signori d’Italia ed il primo capitano che vi sia»,184 militò quasi costantemente al servizio di Venezia come comandante generale «di tutte le genti di terraferma», provvedendo alla sistemazione delle fortezze venete grazie alla collaborazione dell’architetto Giovanni Battista Belluzzi, detto il Sammarino, genero di Girolamo Genga, che chiamava il duca «mio maestro», a conferma di quanto l’efficacia delle strategie ossidionali fosse strettamente correlata alle multiformi competenze del condottiero nelle pratiche architettoniche: del resto Francesco Maria è autore dei Discorsi militari e del Discorso sopra le cose di Dalmazia al tempo della guerra che la

182 Ivi, p. 371.

183 ASMo, ASMo, Carteggio Principi Esteri, Urbino, b. 1461/1, Fascicolo «Della Rovere Guidobaldo, 1527-1558», 9

ottobre 1547.

184 M.BONVINI MAZZANTI, I Della Rovere, in I Della Rovere. Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, Catalogo della mostra (Senigallia, Urbino, Pesaro, Urbania, aprile-ottobre 2004), a cura di P. Dal Poggetto, Milano, Electa, 2004, pp. 35-50: 44

Repubblica veneta ebbe in quelle parti coi Turchi,185 nei quali a lungo si disserta delle fortificazioni necessarie alla guerra e dell’intero sistema difensivo dello Stato veneziano.

Con l’arrivo di Giulia, Alfonso accentuò il suo interesse per il modello culturale roveresco. La magnificenza e liberalità espressa da Francesco Maria e dal figlio Guidobaldo nelle corti di Pesaro e Urbino erano in quegli anni universalmente note: padre e figlio danno vita a un raffinato collezionismo, sono mecenati e protettori di artisti e letterati quali Tiziano, Taddeo e Federico Zuccari, Bernardo e Torquato Tasso, Girolamo Muzio e Pietro Aretino. I duchi Della Rovere incarnano alla perfezione il mito del principe architetto che tanta diffusione ebbe nell’Italia del Rinascimento, specie nell’entroterra marchigiano dove nacquero o operarono ingegneri militari e architetti civili di vaglia, quali Bartolomeo Genga, Jacopo Fusti, Baldassarre Lanci, Francesco Paciotto, Bartolomeo Campi, capaci di esportare la propria perizia anche in diverse esperienze cantieristiche francesi e spagnole.186 Non si dimentichi, poi, il ruolo mecenatesco della madre di Giulia, Eleonora Gonzaga (1493-1550), cugina di don Alfonso in quanto figlia di Isabella d’Este; fu lei, infatti, a patrocinare uno degli episodi più clamorosi nell’ambito delle committenze roveresche: l’ampliamento, sotto l’egida di Girolamo Genga, della Villa Imperiale Vecchia sul colle San Bartolo a Pesaro, e relativo cantiere pittorico portato a termine tra la fine del ’29 e la fine del ’30 da un’équipe di pittori, della quale facevano parte Dosso e Battista Dossi, Raffaellino del Colle, Bronzino, Francesco Menzocchi, Camillo Capelli Mantovano e forse altre personalità gravitanti intorno all’ambiente artistico dell’Italia centrale, in special modo ai cantieri romani raffaelleschi.

L’astuccio «pieno di compassi» inviati al nostro Alfonso da Simone Barocci,187 fratello di Federico, oltre a testimoniare quanto fosse vibrante l’attenzione anche per la realtà matematico-

185 Il primo (Discorsi militari dell’Eccellentissimo Sig. Francesco Maria I dalla Rovere duca d’Urbino. Ne i quali si

discorrono molti avantaggi e disvantaggi della guerra, utilissimi ad ogni soldato), stampato a Ferrara nel 1583, per i tipi di Domenico Mammarelli; il secondo, a Venezia nel 1546, per i Tipi di G. Antonelli.

186 E.GAMBA, La scuola matematica urbinate nell’età roveresca, in I Della Rovere nell’Italia delle corti. III, Cultura e

letteratura, a cura di B. Cleri et alii, Urbino, Quattro venti, 2002, p. 78.

187 ASMo, AdP, reg. 445, «Zornale del Banco del magnifico meser Paulo Zerbinato de l’anno 1571 dello Illustrissimo

et Eccellentissimo Signor don Alfonso da Este», c. 89, 6 novembre 1571: «A spesa straordinaria a maistro Simon Barocci da Orbino scudi sette e meggio de oro in oro che per il pretio de uno stocetto pieno de compassi qual lui ha fatto et mandato all’Illustrissimo Signor Nostro, £ 29.5.0».

scientifica urbinate – allora rispecchiata nelle personalità del fisico pesarese Guidobaldo Del Monte e dell’umanista Federico Commandino (quest’ultimo, tra l’altro, laureatosi a Ferrara in medicina con Antonio Musa Brasavola) – certifica la natura osmotica dell’interrelazione tra Ferrara e la capitale roveresca, invero già ravvisata dagli studiosi specie sul versante dei comuni interessi musicali (come documentano le ripetute missive inoltrate da Guidobaldo al duca Ercole II contenenti richieste di prestito di strumenti e compositori),188 e poi ipotizzata nel campo della storia dell’arte da coloro che avvertirono nella coeva cultura figurativa ferrarese i riverberi stilistici dell’emozionalità espressiva dell’urbinate «Baroccio».189

Non v’è alcun dubbio che la scarsa visibilità di Giulia nella prosopografia estense sia intimamente legata all’oblio memorialistico subìto tanto dal marito, quanto dalla suocera Dianti. Tuttavia, l’afonia storiografica della principessa roveresca troverebbe giustificazione da un’oggettiva lacunosità delle fonti, stante la perdita quasi totale dei carteggi e di documenti relativi all’amministrazione dei patrimoni personali. Presso l’archivio modenese sono conservate solamente ventiquattro lettere autografe:190 un epistolario decisamente insignificante se rapportato ai quattordici anni di permanenze alla corte ferrarese. Neppure i sondaggi compiuti nel fondo

Ducato di Urbino dell’Archivio di Stato di Firenze hanno confortato le speranze di recuperare qualche vestigia documentaria, magari riconfluita negli aviti depositi urbinati dopo la morte di Giulia: come è noto, il tesoro cartaceo dei Della Rovere pervenne nel 1795 all’istituto fiorentino come parte integrante dei beni allodiali ereditati dai granduchi di Toscana, a seguito del matrimonio avvenuto nel secolo precedente (1634) tra Ferdinando II de’ Medici e Vittoria della Rovere, l’ultima discendente del casato.191

188 F.PIPERNO, Cultura e usi della musica alla corte di Guidobaldo II della Rovere, in I Della Rovere nell’Italia delle

corti, cit., pp. 25-36: 27: «Contatti musicali fra Pesaro e Ferrara, minuti o importanti, sono frequenti durante gli anni Quaranta e Cinquanta del Cinquecento e mettono in luce sia le lacune sul piano della dotazione di personale e strumentario musicale da parte della corte roveresca, sia il fatto che per Guidobaldo II la corte estense era privilegiato punto di riferimento e luogo di approvvigionamento per quanto riguardava cose e persone di ambito musicale e spettacolare».

189 Jadranka Bentini in Bastianino e la pittura a Ferrara nel secondo Cinquecento, Catalogo della mostra (Ferrara, settembre-novembre 1985), a cura di J. Bentini, Bologna, Nuova Alfa, 1985, p. XXXI.

190 ASMo, CeS, b. 162.

191 A.D’ADDARIO, L’archivio del Ducato di Urbino. Un problema di storia e di diritto archivistico, in Miscellanea in

Il frequente rinvenimento del nome della moglie all’interno dei registri di Alfonso suggerisce una sufficiente (ma non eccelsa) autonomia finanziaria della donna, comunque subordinata al sistema ragionieristico e all’apparato tecnico-amministrativo della corte del marito, dalla quale proveniva la maggior parte degli inservienti e ufficiali di camera. Tale interdipendenza, di natura prettamente economica, non limitò affatto il suo agire: anzi, forte della benevolenza dimostratale da Laura Dianti, Giulia si rese protagonista di alcuni episodi di matronage artistico, facendo avviare piccoli cantieri di miglioria, soprattutto decorativa, all’interno del complesso residenziale di via degli Angeli,192 dove vennero alla luce i quattro figli, il primo dei quali morì poco dopo la nascita, nel