Alfonso e Alfonsino nacquero nel decennio più inquieto del secolo, avviatosi con la sonora bolla
Exurge Domine (15 giugno 1520) con cui papa Leone X tentò di annientare il carico riformatore di quelle esecrande tesi dell’agostiniano Lutero che stavano alimentando voracemente le rivolte antiromane e antipontificie al di là delle Alpi. Dal canto suo, l’Italia centrosettentrionale era ridotta
68 Nel suo terzo testamento pervenuto (22 giugno 1583), il principe don Alfonso di Montecchio dona la casa «nella strada di Cagarusco dalla Rosa» alla seconda moglie Violante Segni, la quale – in nome di un compromesso sulle eredità paterne, autenticato il primo febbraio 1588 – dovrà cederla al figliastro Cesare d’Este.
69 Una certa Taddea Malaspina fu la prima inquilina, come risulta in ASMo, AdP, reg. 1067, «Ragioniero [di Laura
Dianti]», c. XXXVII, ultimo febbraio 1545.
70 Il 3 luglio 1561 vi si insedia il mercante portoghese Odoardo Gomez: ASMo, CeS, b. 395, «Documenti spettanti a
Laura Dianti», sottofascicolo 2046/IV.
71 Almeno dalla fine degli anni ’70 lo stabile della Rosa divenne l’esclusiva residenza del corrispondente mediceo di stanza a Ferrara, tanto che a ridosso della devoluzione lo si troverà menzionato come «casa dell’Ambasciatore»: ASMo, AdP, reg. 461, «Memoriale [di don Alfonso]», c. CIII e G. RIGHINI, Duel donne, cit. p. 103.
72 «Cesare duca. Ill.mi Car.mi Nostri,
havendo noi conosciuto sempre una vera devozione della famiglia Bentivogli verso i nostri antecessori et nui medesimi in ogni occasione, habbiamo deliberato di usare verso i Signori Gio, Enzio, Guido et Alessandro figli del già Signor Cornelio qualche piciol segno della nostra liberalità con animo di mostrarne verso di loro in altri tempi de maggiori, doniamo dunque in virtù di questa nostra a tutti loro et a ciascun di loro et de’ suoi figli e delli descendenti maschi nati di legittimo matrimonio la nostra casa posta nella contrada detta di Cagarusco, detta la palazzina della Rosa posta in Ferrara con tutte le sue attinenze e pertinenze et vi ordiniamo che ne facciate fare l’instromento con tutte le clausole solite, dichiarando che se fosse evinto o tutta o parte la Camera Nostra sia tenuta a rifarli di un contracambio. Eseguirete dunque la mente nostra facendone fare rogito dal notaro della Camera e passandone la scrittura solita obligandoli a pagare ogni anno due zambudelli alla festa di Pasqua. Data in Modena li 3 di febbraio 1598, Cesare d’Este» (BCAFe, Archivio Pasi, Strade, b. 3, fascicolo 82, «Via Spazzarusco o Lollio»: trascritta, con errori, in RIGHINI, Due donne, cit.,pp. 162-163).
73 Con rogito di Giovan Battista Cecchini del 17 febbraio 1604, il marchese Enzo Bentivoglio – a nome dei suoi fratelli – alienò il palazzo ad Agostino della famiglia Bellagrande, proprietari fino al 14 luglio 1629, quando subentrò Antonio Aventi, i cui discendenti ancora oggi vi risiedono: ibidem.
da almeno cinque lustri a locus pugnae tra gli schieramenti francesi e asburgici per il dominio diretto su regioni strategiche, quali il regno di Napoli e il ducato sforzesco di Milano: nessun ostacolo poté arginare le ambizioni straniere, incuneatesi con dirompenza nel molle tessuto solidaristico che univa, perlomeno territorialmente, i numerosi Stati italiani, dimostratisi invero del tutto impreparati dinanzi alla nuova congiuntura geopolitica.
Così come anticamente si riteneva che l’umane sorti soggiacessero ai proponimenti di Atropo, Lachesi e Loto, parimenti i connessi destini della famiglia estense e del loro Ducato furono appesi per secoli ai fili manovrati dalle tre massime istituzioni sovranazionali dell’età basso medievale e moderna: il papa, l’imperatore e il re di Francia, iconograficamente traslati e impressi anche sullo stemma della Casa (fig. 36). I «trois Fleurs de Liz d’or» in campo azzurro dentellato d’argento furono aggiunti dal marchese NicolòIII con privilegio di Carlo VII, datato 1 gennaio 1431; l’aquila bicipite in campo d’oro simbolizza il feudo di Modena e Reggio, ottenuto nel 1452 dal marchese Borso dalle mani dell’imperatore Federico III, mentre le chiavi di san Pietro e il triregno nel palo dividente l’inquartato testimoniano il ruolo vicariale degli Este, che dal 1471 governavano Ferrara in nome del vescovo di Roma.74
Quanto fossero esiziali le conseguenze dell’aggrovigliamento di quei tre fili, lo sperimentò sulla propria pelle il duca Alfonso I, forse più di altri principi italiani. Entrato nel dicembre del 1508 a fianco del papa e di Luigi XII nella Lega antiveneziana di Cambrai, poco dopo l’Estense dovette affrontare le ripercussioni del subitaneo ribaltamento del fronte alleato, armandosi in solitudine contro lo stesso Giulio II che nel gennaio del 1511, quasi settantenne, non esitò a porsi a capo di un esercito trascinato fino alla fortezza di Mirandola, nel Modenese, a pochi chilometri da Ferrara. Il duca con sprezzante orgoglio volle rendere omaggio alle virtù tutt’altro che spirituali del pontefice facendo fondere parte della statua bronzea che Michelangelo aveva da poco ultimato per eternare la gloria dell’artefice della cacciata da Bologna della famiglia regnante dei Bentivoglio, avvenuta nel 1506. Giunto a Ferrara il 29 aprile 1512 in seguito al suo atterramento dal portale
74 A.SPAGGIARI,G.TRENTI, Gli stemmi estensi ed austro-estensi. Profilo storico, Modena, Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie modenesi, 1985, pp. 45-51.
maggiore di San Petronio, compiuto per mano dei sostenitori bentivoleschi, il colosso bronzeo fu privato della testa, gelosamente conservata come trofeo di guerra, e rifuso per ricavarne la «Giulia», la colubrina polemicamente antiroveresca.75
Alla notizia della morte del Santo Padre (21 febbraio 1513), lo scomunicato Alfonso non permise pubbliche manifestazioni di esultanza a Ferrara, pur non esimendosi dal godersi un lieto pranzo consumato assieme ai familiari nel palazzo di Castelnuovo e né si oppose a che la moglie Lucrezia Borgia si portasse in pio pellegrinaggio presso alcune chiese urbane in ringraziamento della liberazione dello Stato da quell’«Olofernes», che «Iddio aveva mandato finalmente a guerreggiar da altre parti».76
I ventuno anni di regno dei due successivi pontefici medicei non furono meno logoranti. Il cardinale Giovanni de’ Medici, catturato dai francesi sotto gli occhi di Alfonso al termine della battaglia di Ravenna (13 aprile 1512), vinta grazie alla potenza di fuoco delle artiglierie del duca, puntava ora – con la tiara sul capo – a includere Modena e Reggio, acquistate dall’imperatore (a sua volta adirato per l’alleanza del suo vassallo con la Francia), in quel principato emiliano da affidare al nipote Giuliano, comprendente nella sua giurisdizione territoriale anche le città di Parma e Piacenza. Iniziò di qui la lotta sorda e tenace fra Roma e Ferrara, così chiaramente descritta tra le righe della sua Storia d’Italia da Francesco Guicciardini, secondo il quale il vero progetto del papa era l’occupazione di Ferrara,
più con pratiche e con insidie che con aperta forza; perché questo era diventato troppo difficile, avendo Alfonso, poi che si vidde in tanti pericoli, atteso a farla fortissima, lavorato numero grandissimo di artiglierie e di munizioni, e trovandosi, come si credeva, quantità grossa di denari.77
Fu il segretario personale del duca, Bonaventura Pistofilo da Pontremoli, a riferire per primo della sovversione pianificata nel corso del 1520 dal protonotario apostolico Uberto da Gambara,78 più
75 I.LAVIN, Michelangelo, Mosè e il “papa guerriero”, in Il ritratto nell’Europa del Cinquecento, Atti del convegno (Firenze, 7-8 novembre 2002), a cura di A. Galli et alii, Firenze, Olschki, 2007, pp. 199-215: 204.
76 L. CHIAPPINI,Gli Estensi, cit., p. 254.
77 F.GUICCIARDINI, Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino, Einaudi, 1971, Lib. 16, cap. III, p. 1535. 78 Vita di Alfonso I d’Este duca di Ferrara, Modena e Reggio scritta da Bonaventura Pistofilo da Pontremoli
segretario di esso duca, a cura di A. Cappelli, «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le province modenesi e parmensi», III, 1865, p. 517.
tardi cardinale, allo scopo di sorprendere la città con un corpo d’armati, il cui ingresso attraverso il varco sudoccidentale di Castel Tedaldo sarebbe stato assicurato corrompendo vari capitani di guarnigione. Nessun tentativo di offesa, diretta o subdola che fosse, poté scalfire la tempra di un autentico dominator urbis, capace in pochi anni di progettare interventi volti a rinnovare gli apparati difensivi delle cortine murarie urbane, secondo l’originale sperimentazione di precetti contemplati nella moderna trattatistica della res militaris e dall’arte balistica, che fecero delle fortificazioni ferraresi dei veri modelli architettonici rinomati in tutta Europa, tanto da essere spesso ispezionate da principi italiani e da autorevoli progettisti, quali Antonio da Sangallo il Giovane, intorno al 1526, e Michelangelo, nel ’29.79
Come anticipato, alla nascita del nostro don Alfonso di Montecchio s’udiva già il fragore delle migliaia di usberghi indossati dai teutonici fanti al comando del connestabile di Borbone, diretti verso Roma – la «nuova Babilonia» – dopo aver liquidato facilmente la gracile resistenza della coalizione antiasburgica (o Lega Santa), che riuniva accanto a Francesco I di Francia tutti i principi italiani, papa Clemente VII, Firenze, Venezia, Milano e Genova. La strategia diplomatica del duca fu oltremodo clamorosa, dato che ratificò la sua adesione al fronte contro Carlo V solamente il 15 novembre 1527, ossia dopo sei mesi l’avvenuto saccheggio dell’Urbe e soprattutto dopo aver prestato più volte soccorso, fornendo masserizie e falconetti, alle medesime soldatesche guidate da Georg von Frundsberg, uno dei più grandi (per valore e crudeltà) comandanti di truppe di ventura del XVI secolo: a tal proposito, non sarà inutile ricordare che il condottiero alemanno, colpito da infarto nel novembre del 1526 durante un fatto d’armi nel Mantovano contro Giovanni delle Bande Nere, fu trasportato a Ferrara e ricoverato proprio nel palazzo Bevilacqua,80 che di lì a poco diventerà la sede della corte di Laura Dianti e dei figlioli.
79 A.MARCHESI, Oltre il mito letterario, una mirabolante fabbrica estense. Protagonisti e significati nel cantiere di
Belvedere (e dintorni), in L’uno e l’altro Ariosto, in corte e nelle delizie, a cura di G. Venturi, Firenze, Olschki, 2011, pp. 175-214: 179, nota 12.
80 ASMo, MeF, reg. 68, «Memoriale», c. XXVI, 15 maggio 1527: «Spexa extraordinaria de dare adì detto lire sie marchesane per lei pagate a maistro Zan Baptista Ravan fenestraro per avere conzo più fenestre in lo palazo del conte Ercule Bivilacqua per alozarli il capitano Zorzo [Frundsberg], in le quale fenestre li ha posto occhi doxento di soi e per
La perdurante cattività del papa tra le pareti di Castel Sant’Angelo e l’ambita disponibilità del potenziale bellico di Alfonso, mossero gli aderenti della Lega Santa a formulare una serie di clausole politicamente e diplomaticamente favorevoli, sottoposte all’attenzione del duca durante una laboriosa trattativa avvenuta a Ferrara tra il 28 ottobre e il 15 novembre 1527, alla presenza degli ambasciatori di tutte le foze alleate, compreso il re d’Inghilterra.81 L’appoggio alla causa antimperiale, forzato con minacce e intimidazioni di varia natura, avvenne a fronte di un corredo di promesse alquanto lusinghiere:
L’investitura di Ferrara, e d’altri luoghi a nome del Papa, senza sborso alcuno; l’abolizione delle precedenti convenzioni sopra il sale di Comacchio, e la libertà di fabbricarne a suo piacere, purchè nol mandasse ne’ dominii de’ confederati contro lor voglia; la rinunzia del Papa ad ogni pretesa sopra Modena, Reggio, e Castel di Novi, e sopra il rimborso dello speso da Leon X per la compra di que’ luoghi; il cappello cardinalizio ad Ippolito II, Arcivescovo eletto di Milano e figliolo del Duca; allo stesso il Vescovato di Modena vacato in que’ giorni per la morte del Cardinal Ercole Rangone in Castel Sant’Angelo; la restituzione di Cotignuola, terra che si teneva allora dai Veneziani, colla rinunzia d’ogni pretesa sopra di essa, non pur de’ Veneziani, ma dalla Sede Apostolica, e del Duca di Milano; la restituzione dei palagi del Duca posti l’uno in Venezia nel luogo detto la Casa del Marchese, l’altro in Firenze nella contrada di S. Procolo nella via Albizi. Renata figliola di Lodovico XII [Luigi XII di Valois-Orléans] in moglie del principe Ercole, giacchè la promessa che già s’era fatta di lei a Carlo V prima che divenisse Imperatore era svanita; la malevadoria per la ritenzione di quella metà di Carpi che aveva ottenuta il Duca dall’Imperatore, e questa ancorché non fosse per seguire il matrimonio di esso Ercole con Margherita d’Austria [figlia naturale di Carlo V] a cui era stata quella porzione assegnata in dote. In fine privilegi, onori, e distinzioni senza fine. A tutto questo contrappose il Duca la propria obbligazione di contribuire alla Lega 100 corazze, e 6000 scudi d’oro dal Sole ad ogni mese per un semestre soltanto da cominciar a correre dal dì che gli verrebbe consegnata la ratifica della capitolazione dei collegati, la quale non comparendo dentro a 2 mesi, la capitolazione rimanesse nulla.82
La sua posizione poteva sembrare consolidata, allorché la fuga a Orvieto del papa e le conseguenti dichiarazioni relative alla nullità dei patti di Ferrara resero ad Alfonso un pericoloso servizio. Privo dell’appoggio dei propri alleati, egli dovette affrontare la reazione degli imperiali, da poco abbandonati, oltreché le pericolose ritorsioni del pontefice mediceo, persuaso che al duca estense
aver conzo dui traversi e dui stazoli e doe teste e fatoli portare a botega, £ 6.0.0»; cenni in L. CHIAPPINI,Gli Estensi, cit.,p. 261.
81 Gli ambasciatori furono: cardinale Innocenzo Cybo, per il papa; Giovanni Gioacchino di Vaulx, per Francesco I di Francia; il cavaliere Gregorio da Casale, per Enrico VIII Tudor; Gasparo Contarini per la Serenissima; il conte Massimiliano Stampa, per il duca di Milano; Antonio Francesco degli Albizi per la Repubblica di Firenze. «Era bellissima cosa il vedere allora Ferrara con la comparsa di tanti ministri, tutti allogiati, e signorilmente trattati dal Duca Alfonso. E diciassette giorni si trattennero in Ferrara questi potentati per rimovere il duca Alfonso dall’imperatore, mentre dal detto Imperatore era stato creato Luogotenente Generale delle sue armi in Italia, tanto di Lombardia che di Roma. Ma scusandosi con detto Augusto di non poter accettare tal dignità di Luogotenente per scuse forti. Ma convene far lega con le potenze sudette per godere in pace le città di Reggio e Modena. E fu fatto l’instrumento di lega li 15 novembre 1527 e rogato da Andrea Saracco» (BCAFe, Classe I, 105, Annali della città di Ferrara, dalla sua prima
origine fino a dominio delli Illustrissimi duchi estensi, raccolti da Carlo Olivi, anno 1790, vol. I, cc. 621-622). 82 A.FRIZZI, Memorie per la storia di Ferrara, Ferrara, Pomatelli, IV, 1848, p. 302.
andasse nientemeno attribuita la responsabilità d’aver sobillato il Conestabile di Borbone a compiere la calata su Roma;83 non a caso, nel corso del 1528 presero corpo due ulteriori congiure per destituirlo dal trono ferrarese, ordite sul versante occidentale da Girolamo Pio, comandante per conto di Clemente VII del presidio militare di Reggio, e su quello meridionale dal governatore di Bologna, il già noto Uberto da Gambara: «ma abortirono tutti e due questi disegni, per la vigilanza e fortuna d’Alfonso»,84 incredibile princeps bellipotens.
L’atteggiamento del duca ribelle alienò l’amicizia di Carlo V, il quale – nel frattempo riconciliatosi con papa Medici – lo abbandonò di fatto al suo destino, stabilendo la restituzione di Modena e Reggio al pontefice con il trattato di Bercellona del 29 giugno 1529, a cui seguì dopo meno di un mese (5 agosto) la pace di Cambrai sottoscritta dalla Francia, sancente il trionfo ispano-asburgico sul suolo italico, sanzionato definitivamente con l’incoronazione dell’imperatore nella basilica bolognese di San Petronio (24 febbraio 1530). L’insieme delle concessioni garantitegli dalla Lega era ormai lettera morta, non rimanendo in piedi che la pratica già avviata del matrimonio del primogenito Ercole con Renata di Valois-Orléans, figlia di Luigi XII di Francia e Anna di Bretagna: un’unione decisamente ambita,85 sulla quale il partito estense riponeva le speranze di una maggiore e più eclatante legittimazione internazionale della propria dimensione sovrana.
Un recente studio di Angelantonio Spagnoletti ha ben dimostrato che dopo la conciliazione di Bologna del 1530 fu proprio Carlo V a sostenere e consolidare alcune dinastie italiane portando con la pax hispanica alla preservazione dei relativi Stati, tra cui quello estense, che paradossalmente servivano all’equilibrio europeo, accentuandone il carattere di sovranità, acquisita e per titolo e per continuità dinastica.86 Difatti non tardarono a sopraggiungere i tempi dell’accostamento di Alfonso con l’autorità cesarea, oltretutto gravidi di appaganti novelle. Quando
83 Ivi, p. 299.
84 L.A. MURATORI, Delle Antichità, cit., p. 354.
85 Il contratto di matrimonio, ratificato da Francesco I il 10 febbraio 1528, prevedeva che Renata portasse in dote «cinquante mille escus d’or au soleil», che sarebbero stati consegnati al momento delle nozze; a questi si sarebbero aggiunti «deux cents mille escus d’or» pagati sulle rendite di 10000 scudi forniti annualmente dal ducato di Chartres, donato alla principessa assieme alle signorie di Montargis e Gisors e alle viscontee di Caen, Falaise e Bayeux: C. MAGONI, I gigli d’oro e l’aquila bianca. Gli Estensi e la corte francese tra ’400 e ’500: un secolo di rapporti, «Atti e
Memorie», Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria, XVIII, Ferrara, 2001, pp. 55-56. 86 A.SPAGNOLETTI, Matrimoni e politiche dinastiche, cit., p. 104.
l’imperatore giunse in Italia, l’Estense inviò i suoi rappresentanti a rendergli omaggio a Genova, riuscendo a ospitarlo sontuosamente a Reggio e a Modena durante il tragitto verso Bologna,87 ove avvenne l’incontro e la negoziazione istituzionale tra il monarca e il suo vassallo fellone, conclusasi positivamente con il famoso lodo emanato a Colonia pochi mesi dopo, il 21 dicembre del 1530: le due città emiliane furono nuovamente assegnate alla giurisdizione del Ducato estense, dietro corresponsione di 100.000 scudi d’oro al papa e l’elevazione dell’annuale censo vicariale per Ferrara a 7.000 ducati.88