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II. 11 «Bastardo», ma diplomaticamente indispensabile: le missioni in terra francese

II. 12 Don Alfonso familier alla corte dei Valois, tra onori e onorificenze (1556-1558)

Il primo soggiorno in terra francese (marzo-settembre 1556) durò più del previsto, per via di un incidente accorso al primogenito di Ercole, il principe Alfonso, là recatosi per perfezionare il praticantato militare con al seguito una comitiva di cui faceva parte il nostro protagonista, che proprio grazie a quel prolungamento di sosta riuscì ad ottenere da Enrico II di Valois una provvigione complessiva di sedicimila scudi d’oro per il quadriennio 1556-1560.245 Il 20 aprile il nipote prese parte a un torneo cavalleresco nel castello di Blois, conclusosi malamente a causa del rovinoso inalberamento del corsiero: le contusioni agli arti inferiori costrinsero l’intrepido paladino ad osservare una lunga convalescenza, sfruttata dallo zio come periodo di inazione ricreativa, trascorso prevalentemente nei castelli, nei giardini e parterre reali e in qualche residenza cardinalizia. Nei continui spostamenti della corte francese, l’Estense fu accolto con grandi onori nella maison du roi,246 assieme agli aumoniers, officiers e a tutti quei gentilshommes de la chambre liberi di avvicinarsi direttamente alla persona di Enrico II, che lo ospitò nei propri ambienti privati dei châteaux di Blois, Amboise, Fontainebleau, S. Germain,247 ossia le gloriose architetture

244 E.CALLEGARII, La Devoluzione di Ferrara, cit., p. 51.

245 ASMo, AdP, reg. 487, «Libro de debitori e creditori», c. CXVI: «Il Re Cristianissimo debbe dare scudi sedeci millia d’oro in oro del sole per la provigione che Sua Maestà dà all’Illustrissimo Signor Nostro e questo si è per anni quattro, prencipiati alli 11 luglio de l’anno 1556, per sina alli 10 luglio de l’anno presente 1560 a ragione de scudi quattro millia d’oro in oro l’ano, ∆ 16000».

246 R.J.KNECHT, La corte di Francia nel XVI secolo, in “Familia” del principe e famiglia aristocratica, a cura di Cesare Mozzarelli, I, Roma, Bulzoni, 1988, pp. 225-244: 232.

247 ASMo, Adp, reg. 549, «Libro ove sono copie d’instromenti […]», cc. 112-120: «Conto de spese fatte per me conte

castellane della Corona rinnovate precedentemente dal peripatetico Francesco I nel rispetto della loro memoria dinastica.248 Ebbe modo di osservare il palazzo arcivescovile di Rouen,249 residenza del colto cardinale Georges d’Amboise, allora famosa per il giardino segreto su cui si affacciava l’appartamento privato del porporato, completamente circondato da gallerie, scandito da viali lastricati a separare i parquetz, dotato di voliera e di una fontana marmorea di fattura genovese.250 Significativo il fatto che per due mesi Alfonso risiedette a Fontainebleau, uno dei centri focali nella storia dell’architettura transalpina per la presenza del castello reale – completamente rimaneggiato tra il 1528 e il 1535 per volontà di Franesco I – e del limitrofo Grand Ferrare del cardinale Ippolito II d’Este, fatto costruire verso il 1542 da Sebastiano Serlio, già da un anno paintre et architecteur

du roy e che nel 1537 aveva dedicato il primo libro del suo famoso trattato, il Quarto Libro, proprio al duca Ercole II.251

In quel frangente l’alto prelato non abitava più stabilmente in Francia, essendo rientrato in Italia nel maggio del 1549 con il ruolo di protecteur des affaires de France en Cour romaine. Rimanevano però il casino bellifontano, l’abbazia di Fontaine-Chaalis in Piccardia, la Casa della Spada di Orlando, la Casa del Falcone (entrambe residenze parigine) e l’Hôtel de Lyon a testimoniare le «condizioni di perfetto architetto» possedute da Ippolito,252 ricordate persino da Daniele Barbaro nella dedica della sua edizione de I dieci libri dell’architettura di Vitruvio, ove gli si riconosce il merito d’aver dato un forte contributo alla diffusione internazionale di precetti e regole d’arte.253

Francia»: numerosi sono i riferimenti alle partite di «pallamaio» giocate con il sovrano, prevalentemente all’interno delle residenze di Amboise, Bloise e Fontainebleau (c. 118).

248 H.ZERNER, L’art de la Renaissance en France, Paris, 1996, pp. 68-70; M.CHATENET, La corte del re di Francia, in

Il Rinascimento italiano e l’Europa, VI, Luoghi, spazi, architetture, a cura di D. Calabi e E. Svalduz, Vicenza, Colla Editore, 2010, pp. 277-291: 287.

249 ASMo, Adp, reg. 549, «Libro ove sono copie d’instromenti […]», c. 118.

250 F. BARDATI, Georges d’Amboise à Rouen: le palais de l’archevêché et sa galerie de marbre, «Congrès Archéologique de France, Rouen et Pays de Caux», 2006, pp. 199-213.

251 S.FROMMEL, Sebastiano Serlio architetto, Milano, Electa, 1998, p. 249.

252 J.M.VASSEUR, 1536-1550. L’irrésistible ascension d’Hippolyte le «magnifique», in Ippolito II d’Este: cardinale,

principe, mecenate, Atti del convegno (Tivoli, 13-15 maggio 2010), a cura di M. Cogotti e F.P. Fiore, Roma, De Luca,

2013, pp. 115-137.

253 D.BARBARO, I dieci libri dell’Architettura di M. Vitruvio, Venetia, appresso F. de’ Franceschi e G. Chrieger, 1567, Dedica Allo Illustrissimo et Reverendissimo Cardinal di Ferrara D. Hippolito da Este: «per dare uno illustre testimonio delle magnifiche, et eccellenti fabriche, che ella ha fatto, et fa tuttavia in diverse parti del mondo con meraviglia de gli uomini: delle quali opere io ne haveva vedute alcune prima, che io le dedicasse il Vitruvio, alcune ho veduto dapoi, et sono quelle che con tanta splendidezza ella ha fatto in Roma et a Tivoli».

È nota l’approvazione generale suscitata dal Grand Ferrare serliano, «la più bella e la meglio intesa casa di Francia» secondo il giudizio di Francesco I, sul quale il cardinale esercitò «une véritable séduction, par la finesse de son goût artistique».254 L’importanza dell’iniziativa stava soprattutto nell’aver aggiornato le consuetudini della tradizione francese dell’Hôtel sul modello della villa antica, secondo le norme vitruviane e la riscoperta sensibilità paesaggistica degli antichi, come lo stesso committente confessava al curioso fratello duca, in una lettera dell’ottobre 1546:

E quel che la dee far forse nominar per bella, credo che sia più tosto per esser fatta nel luogo dove è, e dove par che sia più di quel che vi convegneria, e per esservisi osservato anco un poco più le misure et ordini de l’architettura, così nel francese come in quel che ci è de l’italiano, che non si sogliono così avvertire et osservare in quelle di questi paesi, che perché in effetto sia cosa segnalata nè notabile.255

A differenza di Ercole, che dovette accontentarsi delle descrizioni epistolari,256 il nostro Alfonso poté appurare de visu le qualità progettuali e formali di quell’eclatante fabbrica, così come è verosimile che la viva curiosità intelletuale lo abbia spinto a rimanere a lungo nel vasto cantiere reale di Fontainebleau, centro nevralgico e gravitazionale dell’attività artistica nella Francia del XVI secolo, allora movimentato dalle maestranze impegnate negli interventi decorativi della lunga

Galerie d’Ulysse, collocata tra la Cour du Cheval blanc e il Jardin del Pins, sulle cui pareti Nicolò dell’Abate cominciò ad affrescare (dopo il ’56, quando fu terminata la Salle de Bal) le scene della vita di Ulisse derivate da disegni di Francesco Primaticcio.257 Già a quella data, gli interni della

Galerie François Ier e dei perduti Chambre du Roi e Padiglione di Pomona offrivano al visitatore la possibilità di porre a confronto la pittura – entro e fuori i finti tableaux – e la scultura, vista nei diversi materiali e nei diversi gradi del rilievo: dalle spalliere lignee ai quadretti di stucco, ai cartocci, ai festoni di frutta, alle maschere, fino al vero e proprio tuttotondo delle cariatidi, per non

254 L.ROMIER, Les origines politiques des guerres des religion, I, Paris, 1913, p. 92.

255 C.OCCHIPINTI, Carteggio d'arte, cit. p. XXIX; sul disegno raffigurante «il fatto darme de Malignano» richiesto da Ercole al re di Francia nell’ottobre del ’46, al fine di trasporlo in affresco nella dimora estense di Copparo, vedi cap. III, pp. 255-256.

256 Dopo la permanenza di quattro mesi legata alla celebrazione del suo matrimonio (1528) con Renata, Ercole II d’Este non fece mai più ritorno in terra di Francia.

257 S. BÉGUIN, Nicolò dell’Abate in Francia, in Nicolò dell’Abate. Storie dipinte nella pittura del Cinquecento tra

Modena e Fontainebleau, Catalogo della mostra (Modena, marzo-giugno 2005), a cura di S. Béguin e F. Piccinini,

Cinisello Balsamo (Mi), Silvana, 2005, pp. 409-461; V.ROMANI, La Galerie d’Ulysse à Fontainebleau. 1541-1570, in

Primatice, maître de Fontainebleau, Catalogo della mostra (Parigi, settembre 2004-gennaio 2005), a cura di D. Cordellier, Paris, Édition de la Réunion del musées nationaux, 2004, p. 293.

dire delle figure di bronzo e d’argento realizzate da Primaticcio, riproducenti le più famose statue di marmo che si trovavano a Roma. In altre parole, nel semestre di peregrinazioni tra originali strutture residenziali il cadetto estense accertò per la prima volta nella sua vita il valore di una delle virtù sovrane per eccellenza, la magnificentia aedificandi, utile strumento di potere per il principe e manifesto delle sue ambizioni: ben visibile in terra d’Oltralpe negli anni della École di Fontainebleau, dove alla riflessione sull’architettura spettava un ruolo sociale, politico ed educativo di primo piano, così palesato dalle proverbiali competenze in quel campo dimostrate da Francesco I nell’arco degli ultimi vent’anni del suo regno.

Oltre al piacevole ruolo di ospite spettatore, Alfonso non si sottrasse a quello più dinamico di interessato acquirente, né rimase impassibile all’effervescenza dei cantieri reali diretti dai sovrintendenti Philibert Delorme e Pierre Lescot, come sembrerebbero dimostrare alcuni esborsi affrontati nel corso del suo secondo soggiorno transalpino (ottobre 1557-aprile 1558), riferiti all’acquisto di grossi quantitativi di stoffe e drappamenti pregiati nelle botteghe parigine,258 di lapis nero per disegnare,259 alla remunerazione di un non identificato «pintore de Sua Maestà» per chissà quale incombenza,260 e di un altrettanto incognito «maistro da desegni di case».261 Al momento, non sono emersi ulteriori indizi utili all’identificazione di quest’ultimo maître, la cui qualifica professionale potrebbe addirsi a un entrepreneur o a un surintendant des bâtiments vero e proprio: in tal caso, piace ricordare che proprio in quel frangente stava avviandosi l’attività editoriale di Jacques Androuët du Cerceau (1511-1585/86),262 successivamente architecte du Roy e de Madame

258 ASMo, AdP, reg. 431, «Registro di entrate di denari e spese», c. 70, 18 giugno 1558: «Al magnifico meser Vincenzo Bonvisso merchanto in Leone scudi mille d’oro in oro a ragione de soldi 75 de marchesani l’un per tanti che lui à fatto paghare in Pariggi allo Illustrissimo Signor Nostro per spendere in soi bisogni e per esso magnifico Vicenzo al magnifico meser Gioan Baptista Lamberto merchante (lucchese) chostì in Ferrara, fanno apar mandato £ 3750.0.0».

259 ASMo, AdP, reg. 510, «Libro per le spese di Francia, de meser Girolamo Falla, 1557-1558», c. 193: «Mercori adì

primo dicembre 1557. In Lione. Spesa straordinaria fatta per me Hieronimo Falla spenditor delo Illustrissimo et Eccellentissimo Signor don Alfonso da Este. […] A meser Antonio falconiero per altritanti che lui dice aver spesi in una ingistara de aquarosa e in lapis negro da disignar, soldi quatordece in tuto de comision de Sua Eccellenza».

260 ASMo, Adp, reg. 511, «Libro per le spese di Francia, 1557-1558», c. CXXVII: [Conto de denari quali dona il

Signore Nostro Illustrissimo a più e diverse persone] Adì 4 magio [1558] al pintore de Sua Maestà lire nove, soldi sedeci, £ 9.16.0».

261 ASMo, Adp, reg. 512, «Libro per le spese di Francia, 1558-1559», c. 46: «[Conto de denari spesi in diverse cose

per servizio dell’Illustrissimo Signor don Alfonso da Este] E de dare adì 21 detto [settembre 1558] lire due, soldi otto tornesi per tanti pagati al maistro da desegni di case, £ 2.8.0».

262 Nel ’59 pubblicò il primo Livre d’architecture (Paris, B. Prévost) contenente cinquanta modelli di residenze per tutte le classi sociali: D.THOMSON, Les trois Livres d’architecture de Jacques Ier Androuet Du Cerceau, à Paris en

la Duchesse de Ferrare, cioè di Renata di Francia, che all’indomani della morte del marito Ercole (1559) decise di ritornare alle terre native, stanziandosi nel suo castello di Montargis, dove spirò nel 1575.263

Ciò che i mandati di pagamento suggeriscono è l’interesse manifestato da Alfonso per questioni attinenti alla progettazione architettonica, nei suoi risvolti teorici come pure nelle declinazioni manuali, che danno conto di un dilettantismo grafico sempre più consueto e raccomandato (come visto) nella precettistica comportamentale indirizzata all’uomo di corte con ruoli di governo. Preme rilevare come questa propensione del nostro protagonista, evidentemente già assorbita in anni adolescenziali dal formidabile modello di edificator incarnato dal padre, il duca Alfonso I, sia avvenuta e documentata in una terra dove la dottrina della gallicità, dominante nella letteratura storica, stava elevando ideologicamente l’architettura a paradigma della cultura francese e l’arte del costruire a una sorta di prerogativa nazionale, un risultato di una millenaria tradizione. Sono trascorsi più di vent’anni da quando André Chastel poneva i suoi interrogativi sul rapporto osmotico e simbiotico tra le conformazioni delle residenze dei Valois e le architetture immaginarie delle saghe letterarie,264 specie coi modelli poetici forniti dall’edizione francese degli Amadis de

Gaule, romanzo nato in Spagna come rimaneggiamento moderno delle lunghe narrazioni del ciclo arturiano: qui, il castello incantato di Apollidone che serrava gli amori di Amadigi e Oriana, diviene metafora spontanea della dimora di lusso, assumendo talora valenze ecfrastiche sia nelle trasposizioni architettoniche dei nouveaux châteaux lungo la Loira, patrocinate da Francesco I, Enrico II e da altri esponenti dell’entourage reale, sia – come vedremo – nelle grandi imprese edificatorie ferraresi di Isola, la singolare residenza fatta costruire di lì a poco a ridosso del Po da don Alfonso.265

1559, 1561 et 1582, in Sebastiano Serlio à Lyon. Architecture et imprimerie, a cura di S. Deswarte-Rosa, Lyon, Mémoire Active, 2004, pp. 449-450.

263 Ospitato nel castello di Montargis a partire dal 1564, Du Cerceau dedicò a Renata il Livre des grotesques, pubblicato nel 1566.

264 A. CHASTEL, Architettura e cultura nella Francia del Cinquecento, traduzione di G. Coccioli, Torino, Einaudi, 1991, pp. 66-76.

Oltre al nutrito bagaglio di fascinazioni culturali, il nostro protagonista ritornò dal primo soggiorno francese con un tangibile riconoscimento onorifico, fortemente significativo per la sua eloquenza medianica: l’ordine cavalleresco di San Michele, conferito da Enrico II di Valois e non da Carlo IX come ascritto a più riprese da Luisa Bertoni e Clizia Magoni.266 È un passo dell’orazione funebre recitata da Leonardo Salviati in «lode di donno Alfonso d’Este» a confutare ogni dubbio:

Alquanti anni presso alla quale [si riferisce all’impresa di Mühlberg], alla corte Cristianissima ritrovandosi, fu appo il secondo Arrigo in cotanto stato, e cotanta stima, che non solo venne da lui onorato del suo ordine di san Michele (che solamente a gran Signori, e gran Cavalieri in singular grazia si concedeva; ed il quale con favoritissima solennità ricevè esso dalla persona stessa di quel gran Re, che da collo traendosi il proprio segno che di portare era usato, egli medesimo a Donno Alfonso, in quella pubblica cerimonia a collo il mise con le sue mani) ma con orrevole stipendio, e largo intertenimento di capitani, e lance spezzate, come gli chiamano, fu condotto al servigio suo. Quindi venutosene egli in Italia, e udito il successo, l’anno vegnente, del fatto d’arme di san Quintino [10 agosto 1557], messosi in via prestamente, ma da non leggier febbre per lo cammino assalito, dopo alquanti giorni d’infermità in Francia si ricondusse.267

Il figlio di Laura Dianti,268 dunque, poté accedere alla dimensione sacrale della mitizzata monarchia militare, umanistica e cortese dei sovrani di Francia, esattamente nel decennio in cui – a giudizio di Claudio Donati –, la triade nobiltà-onore-duello dava vita alla cosiddetta «scienza cavalleresca», un fenomeno letterario importante per l’evoluzione del costume in Italia, con fortunate ripercussioni editoriali:269 tra i tanti testi valga il trattato di Francesco Sansovino sull’Origine de’ cavalieri (Venezia, 1566), il cui sottotitolo prometteva un’analisi dell’«inventione, l’ordine e la dichiaratione della Cavalleria di Collana, di Croce e di Sprone».270 Considerato come il più perfetto esempio di istituzione cavalleresca, l’ordine fu fondato il primo agosto del 1469 da re Luigi XI all’interno della cappella reale di Saint Michel, nel castello di Amboise, alla presenza dei quindici più fidati baroni del regno: vera e propria confraternita di uomini sans reproche, vi confluivano solamente i vertici della nobiltà europea, capaci – nel vagheggiamento di una pace universale basata sull’adesione comune agli ideali di una cavalleria umanistica e cristiana – di

266 L. BERTONI, Alfonso d’Este, cit., p. 314 e C. MAGONI, I gigli d’oro, cit., p. 108, nota 340: entrambe le studiose asseriscono che la concessione dell’onorificenza avvenne per mano del figlio di Enrico II, Carlo IX, all’indomani della

battaglia di Saint-Denis (20 novembre 1567), a cui prese valorosamente parte don Alfonso d’Este. 267 Orazione del cavalier Lionardo Salviati, cit., cc. n. nn.

268 Oltre al nostro protagonista, altri quattro esponenti di Casa d’Este ricevettero l’onorificenza francese: il padre Alfonso (nel maggio del 1502, quando era ancora principe), i fratelli Ercole e Francesco (nel 1528 e 1556), e il nipote Alfonso (nel 1552): A. FRIZZI, Memorie, cit., pp. 210, 355 e C.MAGONI, I gigli d’oro, cit., p. 89.

269 C.DONATI, L’idea di nobiltà, cit., p. 94. 270 Ivi, p. 228.

trovare un denominatore comune che prescindesse dalla loro nazionalità o dalle realtà territoriali di provenienza, «afin que tous les bons, hauts et nobles couraiges soient esmeus et incités à oeuvres vertueuses».271

Il titolato, precisamente, non poteva accettare alcun altro Ordine oltre a quello di San Michele, doveva sempre manifestare «une bonne et vraye amour» e fedeltà assoluta alla congregazione, apportare al re tutto l’aiuto richiesto – specie se di natura militare – ed esentarsi dal partecipare a imprese belliche o intraprendere lontani viaggi senza l’autorizzazione del Grand Maître: per contro, il sovrano si impegnava a garantire e proteggere le terre e i diritti dei propri cavalieri, prontamente consultati ogniqualvolta si fosse prospettata la soluzione dell’uso delle milizie per difendere le terre francesi. La cerimonia d’investitura, minuziosa e densa di simbolismi, rimarcava la grande solidarietà e fraternità che regnava tra gli insigniti, tutti principi rifulgenti di virtù che, con quel riconoscimento, conferivano ulteriore lustro ai propri Stati, oltre che ai titoli che li decoravano.

Unico e immutato emblema dell’onorificenza era un «collier d’or fait à coquilles lacées l’une avec l’autre d’un double lacs, assises sur chaînettes ou mailles d’or, au milieu duquel sur un roc aura una image d’or de monsieur saint-Michel, qui reviendra pendant sur la poitrine»:272 come prevedibile, l’aurato collare – che, da statuto, non doveva superare i «200 écus d’or et au dessouls», vale a dire 500 grammi – confluì facilmente nell’armamentario iconografico del potere estense, ampiamente utilizzato in campo araldico e nella produzione ritrattistica, sia figurativa che numismatica.273

Sopravvenne la consuetudine che il monarca delegasse un altro cavaliere a rappresentarlo e a conferire materialmente la collana al neo decorato, sì da solennizzare ulteriormente «i fastosi rituali della sociabilità aristocratica e della ostentazione degli status»,274 e allargare in maniera esponenziale i circuiti solidaristici che si integravano e si intrecciavano in una piramide che aveva

271 De l’Ordre de Saint-Michel à la Légion d’Honneur, Paris, A.I.A, 1970, p. 20. 272 Ivi, p. 29.

273 Come rilevato dagli studi sfragistici di Angelo Spaggiari, è a partire dalla fine degli anni cinquanta del ’500 che si cominciano a decorare i sigilli ducali con il collare e con la gemma dell’ordine di S. Michele: A.SPAGGIARI, G.

TRENTI, Gli stemmi estensi, cit., p. 54.

alla sua sommità il re. Don Alfonso potrebbe aver assolto la onorifica funzione vicariale almeno tre volte nel corso dell’ultimo ventennio della sua vita, precisamente nel 1568, 1580 e nel 1583;275 in riferimento a quest’ultima procura, è a noi sopraggiunto il decreto di nomina firmato di pugno da Enrico III di Valois, che qui si riporta nella sua inedita interezza sia per l’intrinseco valore documentale, sia per l’evidente carico evocativo del processionale cavalleresco descritto:

Il Signor Alfonso d’Este cavalier dell’ordine del Re manderà al Signor Giovanni Antinori gentilomo fiorentino la lettera che Sua Maestà gli scrive per la quale egli saprà che per le sue virtù et meriti è stato scielto et eletto da esso Signor Soprano et da gli altri cavalieri dell’ordine di San Michele che si trovano presso di lui per esservi incluso, et s’egli accetta il detto ordine gli significarà il luogo dove s’habbiano a trovare insieme.

Arrivato che sia la gli farà intendere et gli dichiarerà più amplamente la detta elettione et quel c’ha mosso il detto Signor soprano et gli altri cavalieri del detto ordine a chiamarlo nella loro compagnia, che è stato il grido della sua gran virtù, merito e valore, ne’ quali la detta compagnia spera ch’egli persevererà et agumenterà l’honore dell’ordine, a sua maggior lode et gloria.

Fatto questo anderanno insieme alla chiesa, et dopo haver udito messa il detto Signor Antinori si porrà in ginocchio davanti il detto Signor Alfonso d’Este et quivi prometterà et giurerà nelle sue mani per la sua fede