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Perocché non essendo egli ancora appena de gli anni uscito di fanciullezza, fu dal Duca Ercole suo fratello eletto capo di più compagnie di cavalli, e con esse mandato allo’mperador Carlo Quinto in Lamagna contr’all’esercito de’ Protestanti, dove non solamente fu ricevuto quel giovinetto da Cesare con molto onore, e quanto vi dimorò, accarezzato da esso, e quasi amato come figliuolo, ma assai opportunità gli si prestarono in quella guerra, onde, non sol di prode e animoso guerriero, ma di savio capitano e di valoroso diede in così tenera età, non pure indizi manifestissimi, ma infallibili certezze, e pegni soprabbondevoli in qualunque genere di fazzioni.145

Il passo tratto dal sermone declamato da Leonardo Salviati in memoria dell’appena defunto marchese di Montecchio, è l’unica fonte edita di quel secolo a specificare il contesto geopolitico della prima impresa militare che coinvolse il cadetto estense, in qualità di uomo d’armi. La circostanza non deve stupire, dato che la commemorazione del sovrano trapassato ha sempre rappresentato la migliore occasione per esaltare gli aspetti essenziali – o meglio, che si volevano mostrar tali –, della sua azione di governo e dei valori che l’hanno improntata. Proponendosi di trasmettere ai successori, più o meno esplicitamente, il modello di principe e di azione politica che hanno fatto il bene dello Stato e della casa, l’orazione funebre diviene una forma sui generis di pubblicistica politica, ma anche di elaborazione ideologica, non priva di caratteri puramente celebrativi e retorici: questi ultimi, tuttavia, non inficiano l’attendibilità degli elogi intesi quali provvista di canoni e di norme su cui disegnare quel ritratto.146

Se il filologo fiorentino, col tipico trasporto dei panegiristi, faceva riferimento a una fanciullezza appena trascorsa, in realtà colui che mosse da Ferrara nell’estate del 1546 per raggiungere le terre germaniche era un giovane principe più che diciannovenne, dalla solida preparazione culturale, là inviato da Ercole II d’Este «per motivi di gelosia» e per «allontanarlo dagli affari di governo»,147 per i quali dimostrava evidentemente un’inclinazione promettente. Anche se la concorrenza, o malevolenza, addotta da Luciano Chiappini quale principale disposizione d’animo che spinse il duca a promuovere quella rischiosa missione potrebbe avere qualche elemento di fondatezza – nel

145 Orazione del cavalier Lionardo Salviati delle lodi di donno Alfonso d’Este, recitata nell’Accademia di Ferrara per

la morte di quel Signore, in Ferrara, Stamperia di Vittorio Baldini, 1587, cc. n. nn.

146 Sul valore politico delle orazioni funebri in onore di sovrani, vedi F.JÜRGERNSMEIER, Die Leichenpredigt in der

katolischen Begräbnisfeier, in Leichenpredigten als Quelle Historischer Wissenschaften, a cura di R. Lenz Köln-Wien,

Böhlau, 1975, pp. 122-145.

contesto dei rapporti intrafamiliari retti da un dominus particolarmente ambizioso –, in realtà le ragioni dell’intervento del nostro Alfonso nella guerra Smalcaldica andrebbero ricercate nel cerchio del puro pragmatismo politico e delle consuetudini comportamentali dei cadetti di rango.

Il duca Ercole proseguì con maggior determinazione la politica di equilibrio del padre, dato il sopraggiungere di alcune variabili capaci di influire pesantemente sulla sua libertà d’azione: il vincolo del legame parentale con la monarchia francese andava, di fatto, ad affiancarsi al doppio rapporto vassallatico con l’Impero e la Santa Sede, quest’ultimo invero assai turbato nel corso degli anni Quaranta per via degli scomodi costumi della duchessa Renata, definita da Celio Secondo Curione «virorum bonorum patrona et miserorum profugium»,148 invisa tanto alla Curia romana, quanto al papa stesso. Ecco, quindi, che la partecipazione del primogenito della Dianti alla guerra civile tedesca, da anni fomentata dai prìncipi luterani, risponde alla logica di una condotta attentamente contrappesata da chi decise di muovere i propri congiunti come pedine di una delicata partita diplomatica: non si dimentichi che in quel torno d’anni il cardinale Ippolito II d’Este – divenuto principe della Chiesa nel ’38 su richiesta personale di re Francesco I – era l’indiscusso plenipotenziario degli affari estensi (e romani) in terra transalpina,149 mentre l’altro fratello, Francesco, ricopriva da almeno un decennio la carica di capitano di cavalleria leggera nell’esercito imperiale, distinguendosi valorosamente in alcune spedizioni antifrancesi, tra cui il vittorioso assedio di Vitry-en-Perthois nel luglio del 1544.150

Carico di usberghi «da omo d’arme» appositamente forgiati,151 don Alfonso partì da Ferrara il 6 agosto 1546, accompagnato dagli sproni encomiastici che Giovanni Battista Giraldi volle

148 A.PROSPERI, L’eresia in città e a corte, in La corte di Ferrara e il suo mecenatismo, 1441-1598. The Court of

Ferrara and its Patronage, Atti del convegno internazionale (Copenaghen, maggio 1987), a cura di M. Pade et alii,

Modena, Panini, 1990, pp. 267-281: 273.

149 La sua influenza crebbe in maniera esponenziale sino al 27 aprile 1548, quando re Enrico II affidò all’Estense la carica di protettore des affaires de France en Cour de Rome: C.MAGONI, I gigli d’oro, cit., p. 62.

150 L.BERTONI, Este, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLIII, Roma, 1993, pp. 345-349: 346. Carlo V lo ricevette con molta familiarità e nello stesso anno gli dette in moglie la ricca vedova Maria di Cardona, marchesa di Padula e contessa di Avellino, dalla quale non ebbe figli e morì nel 1563.

151 ASMo, AdP, reg. 458, «Memoriale», c. 86, anno 1547: «Illustrissimo Signor don Alfonso Estense a spesa della armaria debbe dare adì supradetto scudi trentanove d’oro in oro a ragion de soldi 72 marchesani l’uno quali per Sua Signoria se fano buoni a maistro Nise armarolo per il prezio de più armadure da omo d’arme e da fante a piede che lui ha fatto e dato a Sua Signoria per l’andatta che fece sua predetta Signoria in Elemagna alla corte Cesarea l’anno prossimo passato del 1546 del mese d’agosto come appar per una lista de mane del predeto maistro Nise signata per il magnifico signor conte Giovan Francesco Sacrato mandatario e locotenente di Sua predeta Signoria».

dedicargli tramite l’auspicale sonetto inserito col n. 233 nel canzoniere Le Fiamme, stampato a Venezia l’anno successivo per i tipi di Giolito:152

All’Illustrissimo Signor Alfonso da Este Magnanimo signor, che con sì altiero desio cercaste sempre onore e fama, e geme e oro e ciò che ‘l vil vulgo ama, tenete a vile appresso il pregio vero, poiché vi mostra il ciel piano sentiero perché n’andiate ov’ir vostro cor brama, e con tanto favor v’envita e chiama a la difesa del Romano Impero, accingetevi a l’alte imprese e belle, e date segno qui di gran valore,

acciò che ‘l vostro nome in fama sorga, che se ‘l ciel mai materia die’ d’onore ad uom mortale, a voi par che la porga per farvi famos’ir fin le stelle.

Il rimpatrio avvenne nel giugno del 1547.153 Quei dieci mesi trascorsi sui suoli germanici non favorirono solamente uno straordinario apprendistato militare per un giovane chiamato al ruolo di capitano, ma rappresentarono una formidabile occasione per addentrarsi nella Machpolitik asburgica, entrare in contatto con la prestigiosa aristocrazia di prìncipi, condottieri, diplomatici e nobiluomini italiani e alemanni radunatisi attorno alla figura mistico-carismatica di Carlo V, a cui spettò – ancora una volta dopo Carlo Magno e Federico II – il compito di diffondere in tutta Europa l’idea di imperium, con la sua propaganda, il suo simbolismo marziale e la sua ritualità.154

In quei mesi il cadetto estense ebbe modo di conoscere figure entrate nella storia delle grandi guerre continentali – come l’eroico Fernando Álvarez de Toledo, duca d’Alba, generale spagnolo già segnalatosi nella battaglia di Pavia (1525) e nella conquista di Tunisi (1535) a scapito degli occupanti turchi –, e instaurare relazioni amichevoli protrattesi nei decenni successivi con

152 G. BERTONI, Poeti e poesie del Medio Evo e del Rinascimento, Modena, Orlandini, 1922, pp. 258-259; C. MOLINARI, Il canzoniere fi un “intellettuale organico” alla corte di Ercole II d’Este: “Le Fiamme” di G. B. Giraldi

Cinzio, «Schifanoia», XXVIII/XXIX, 2005, pp. 279-290: 283.

153 Nell’archivio modenese sono conservati due registri compilati dallo spenditore Francesco Darcoli (o d’Ercule) e dal «mastro di casa» Ippolito Bellencino, che rendicontano le spese sostenute da Alfonso e dal suo seguito nell’avventura tedesca: entrambi si trovano in ASMo, AdP, reg. 519, «Registro delle spese fatte per il viagio de Elemagna alla corte cexaria, 1546, 1547» e reg. 520, «Don Alfonso Estense alla Corte Imperiale, 1547».

154 C.BONVECCHIO, «Imago imperii imago Mundi». Sovranità simbolica e figura imperiale, Padova, CEDAM, 1997, p. 5.

condottieri più o meno coetanei,155 anche loro giunti al servizio dell’autorità cesarea con lo scopo di affinare la pratica delle armi e per rafforzare la propria condizione principesca: Emanuele Filiberto di Savoia,156 appena diciottenne, comandante della cavalleria di Fiandra e Borgogna, Ottavio Farnese, futuro duca di Parma, e Massimiliano II d’Asburgo (nato nel luglio 1527), primogenito di Ferdinando I e quindi nipote di Carlo V, il quale per distoglierlo dagli ideologici orientamenti filoluterani e per favorirne l’impegno militare lo portò con sé sul campo di Mühlberg.157

In quella cittadina del Brandenburgo, il 24 aprile 1547, gli eserciti imperiali sconfissero la lega Smalcaldica dei nobili valvassori protestanti guidati da Giovanni Federico I, Elettore di Sassonia; benché gli fossero stati affidati comandi di retroguardia, Alfonso partecipò all’epica impresa come capitano di cavalleria, una delle cariche più evocative nell’idealità eroica e nella cultura cortese di matrice feudale, soprattutto per i retaggi classici legati alla relazione cavaliere-destriero e per i rimandi letterari dell’arte equestre,158 propria del «soldato gentiluomo», per usare una felice espressione di Raffaele Puddu.159 L’esercizio della milizia era parte integrante dei sistemi di sopravvivenza delle famiglie titolate, consentendo loro di ostentare un rigoroso lealismo dinastico, di entrare nel circuito degli aspiranti alla ‘grazia’ del regnante e di esibire e valorizzare il proprio rango. Come ricorda Marcello Fantoni, nell’Italia centro-settentrionale, come nel Mezzogiorno,

passa per i campi di battaglia la strada maestra da percorrere per acquisire l’onore, per entrare nella sfera della nobiltà più vicina al sovrano dimostrandogli lealtà, per attendere dal re, tramite i necessari meccanismi del patronage, ricompense di ordine simbolico e materiale.160

155 Nella citata orazione, Leonardo Salviati parlava di «strettissima dimestichezza, che fu poi perfetta amistade». 156 E.STUMPO, Emanuele Filiberto, duca di Savoia, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLII, Roma, 1993, pp. 553- 566.

157 Così Leonardo Salviati nella citata Orazione: «Nel qual tempo e nella quale oste contrasse egli quella strettissima dimestichezza, che fu poi perfetta amistade, con tre giovani Principi di sua età: cioè con l’Arciduca d’Austria, che Massimiliano Imperador fu dappoi; con Emanuel Filiberto, principe allora di Piemonte, e poscia Duca di Savoia, e con Ottavio Farnese, non molto appresso Duca di Parma. Così con solenni acquisti, e di riputazione, e d’amici (non però prima ch’ella finisse) da quella ’mpresa se ne tornò».

158 A.QUONDAM, Cavallo e cavaliere, cit., pp. 77 e sgg.

159 R.PUDDU, Il soldato gentiluomo. Autoritratto di una società guerriera: la Spagna del Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 1982; vedi anche M.FANTONI, Immagine del «capitano» e cultura militare nell’Italia del Cinque-Seicento, in I

Farnese. Corti, guerra e nobiltà in antico regime, Atti del convegno (Piacenza, 24-26 novembre 1994), a cura di A.

Bilotto et alii, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 209-243: 215.

Di fatto, quell’esperienza sancì l’ingresso del futuro marchese di Montecchio nella schiera degli «uomini illustri» del Cinquecento, i signori-condottieri che, tra ethos aristocratico e retorica bellica, fecero leva sui propri successi militari – specie se in difesa della fede cattolica – per costruirsi la legittimazione della propria potestas: così fece don Alfonso e in tal direzione si mossero il già citato Emanuele Filiberto di Savoia, Ferrante e Vespasiano Gonzaga, Ottavio e Alessandro Farnese, Guidobaldo II Della Rovere, Cosimo I de’ Medici e numerosi altri prìncipi italiani che inclusero le proprie res gestae tra le glorie familiari e dinastiche, eternate in guisa di laudationes, sia letterarie che pittoriche.161

Certamente l’Estense frequentò la corte cesarea fino al 27 maggio 1547, allorquando decise di partire per Ferrara, raggiunta dopo poco meno di venti giorni di viaggio.162 Stranamente, dell’avventura oltramontana non v’è traccia negli scambi epistolari intercorsi con le corti della capitale padana, né con la madre Laura, o col fratello Alfonsino, tantomeno con il duca Ercole o con i referenti degli uffici camerali; tuttavia, dai pochi riscontri documentali rintracciati nei suoi repertorî amministrativi sappiamo che ebbe modo di usufruire degli spazi esclusivi dell’imperator, approntati negli attendamenti da campo e nelle residenze vescovili e nobiliari incontrate lungo il percorso attraverso la regione austriaca (Innsbruck), la Bassa Baviera (Regensburg, Augusta, Ingolstadt, Neuburg, terre del cardinale Otto Trüchsess von Waldburg) e il Baden-Württemberg (Ulm, Rottenburg am Neckar);163 appurò di persona i significati dell’itineranza intesa come forma di delimitazione del territorio e delle sue frontiere, di affermazione della giurisdizione e di conseguimento del consenso,164 riuscendo al contempo a studiare tutte le pratiche quotidiane di manifestazione della ritualità monarchica, dalle entrate trionfali alle parate nelle città, ai continui spostamenti dei seguiti fino alle consuetudini prettamente domestiche, in primis le pratiche

161J. R. HALE, Artists and warfare in the Renaissance, New Haven & London, Yale University Press, 1990; J. KLIEMANN, Gesta dipinte: la grande decorazione nelle dimore italiane dal Quattrocento al Seicento, Cinisello

Balsamo (Mi), Silvana, 1993.

162 L’ipotesi di un rientro avvenuto nel 1549, sostenuta da Luisa Bertoni (in Dizionario Biografico degli Italiani, XLIII, Roma, 1993, p. 313), è smentita dal riscontro documentario succitato.

163 ASMo, AdP, reg. 519, «Registro delle spese fatte per il viagio de Elemagna alla corte cexaria, 1546, 1547», cc. XVII, 26, 30, XXXVIII, XLIV.

164 M.A.VISCEGLIA, Riti di corte e simboli della regalità. I regni d’Europa e del Mediterraneo dal Medioevo all’Età

vestimentarie e gli stili di vita pubblici e privati del sovrano, il quale – come ribadito da Paola Goretti e più recentemente da Amedeo Quondam – costituì l’archetipo attorno cui «fondare gli elementi del vestiario maschile cinquecentesco, di fortissima impronta militare anche negli aspetti più civili e quotidiani».165

Molto probabilmente la trasferta accese le curiosità intellettuali del giovane, dimostratosi per tutta la vita particolarmente sensibile alla periegesi, alla letteratura odeporica e alle tradizioni culturali transpeninsulari, secondo un atteggiamento relativistico riflessosi anche nel modus vivendi e nelle strategie mecenatesche attuate, tali da elevare il suo profilo tra i più mitteleuropei di tutta la prosapia estense; in tal senso piace pensare che la sosta compiuta verso la fine di maggio del ’47 nella città di Wittenberg abbia avuto finalità escursionistiche, sollecitate dalla valenza storica del ruolo che la capitale del Ducato di Sassonia aveva assunto (e stava assumendo) nel quadro dei coevi rivolgimenti religiosi:166 a pochi mesi dalla morte di Lutero, divennero presto meta di pellegrinaggio i luoghi della cittadina da lui frequentati e vissuti, tra cui la chiesa di Santa Maria (Stadtkirche) e la Schlosskirche, sulle porte della quale furono affisse alla fine di ottobre del 1517 le sue famose 95 «tesi», e che conservava all’interno la tomba dell’Elettore Federico il Saggio, il fondatore della civica università dove operò fino al 1560 come insegnante di grammatica greca Philipp Schwarzed, alias Filippo Melantone, il riformatore tedesco più attento alle teorie del monaco agostiniano.