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Attraversare il rapporto tra memoria individuale e memoria collettiva: un’analisi fenomenologico ermeneutica

Antonella Lo Sardo Università Cattolica del Sacro Cuore Milano

2. Attraversare il rapporto tra memoria individuale e memoria collettiva: un’analisi fenomenologico ermeneutica

Rispetto a questa breve descrizione della situazione attuale, che tocca solo alcune delle emergenze educative che ruotano intorno all’odierna crisi della

memoria, la riflessione di Ricoeur ci propone un orizzonte di senso entro

cui poter riabilitare l’istanza etica che può sollecitare l’educazione alla co- scienza storica.

Tale orizzonte di senso si situa in una prospettiva pedagogica che po- tremmo definire di orientamento fenomenologico-ermeneutico che mira a comprendere i processi fondativi della costituzione della memoria indivi- duale e della memoria collettiva e della loro relazione, al fine di poter in- tercettare lo spazio di azione dell’intervento educativo.

Punto di ancoraggio per le riflessioni di Ricoeur sul rapporto tra me- moria individuale e memoria collettiva è proprio la fenomenologia di Hus- serl e, in particolare, lo studio sull’intersoggettività che troviamo nella V delle Meditazioni cartesiane (Husserl, 1994) e negli scritti sull’intersogget- tività e che avrà ulteriori sviluppi negli studi sull’empatia di E. Stein (Stein, 2017) e nella fenomenologia del mondo sociale di A. Schütz (Schütz, 1974).

Secondo Ricoeur, proprio in queste pagine di Husserl sarebbe possibile rintracciare uno snodo fondamentale per riconfigurare il controverso rap- porto tra le due tradizioni che fanno capo agli studi sulla memoria indivi- duale e sulla memoria collettiva. Un primo versante è costituito dalla cosiddetta tradizione dello “sguardo interiore” a cui è possibile ascrivere au- tori come Agostino, Locke, Bergson e lo stesso Husserl; l’altro versante è costituito dalla tradizione dello “sguardo esteriore” che fa capo agli studi sulla memoria collettiva del sociologo M. Halbwachs. Laddove la prima tradizione afferma il primato della memoria individuale su quella collettiva, ponendo l’accento sul carattere eminentemente singolare della memoria e sulla conseguente impossibilità del trasferimento dei ricordi dell’uno nella memoria di un altro; la seconda, inverte la prospettiva e consegna il primato alla dimensione collettiva della memoria, asserendo che tutti i ricordi indi- viduali sono inquadrati in racconti collettivi – quelli che Halbwachs iden- tifica come quadri sociali della memoria – e non rappresentano altro che punti di vista su questi ultimi (Halbwachs, 2007).

che propone la possibilità di una mutua costituzione della memoria indi- viduale e della memoria collettiva. Viene così identificato nelle analisi hus- serliane sulla costituzione e sul riconoscimento dell’alterità dell’altro soggetto il presupposto delle sollecitazioni pedagogiche suggerite dal filosofo francese. Seguendo la riflessione husserliana l’altro viene riconosciuto dalla coscienza come alter ego, soggetto altro da me a cui è possibile attribuire,

per via analogica, i vissuti che sono ascrivibili all’ego. Si tratta del processo

di appaiamento, Paarung (Husserl, 1994, pp. 127-149), che trova un fe- condo sviluppo e ampliamento semantico nel costrutto dell’Einfühlung, l’empatia o entropatia, che Husserl annuncia nelle sue analisi sull’intersog- gettività, ma che sarà ampiamente sviluppato dalla sua allieva E. Stein (2017). L’empatia consentirebbe di trasporsi nei pressi, in prossimità del- l’esperienza viva dell’altro, preservando però il carattere asimmetrico del- l’attribuzione a sé e ad altri dei vissuti, nel cui ampio spettro rientrano anche i ricordi (Stein, 2017, pp. 74-80). L’attribuzione per via analogica ci con- sente di pensare un’attribuzione molteplice dei fenomeni mnemonici che corrisponde a una partecipazione “a gradi differenti di coscienza riflessa” ai processi di rimemorazione. Sono proprio questi “differenti gradi di co- scienza riflessa” appartenenti a differenti prospettive storico-esistenziali che danno vita a ricostruzioni e racconti del passato altri (Husserl, 1994, p. 146) che, lungi dall’essere manipolati o strumentalizzati dall’uno o dall’al- tro, tramite l’atteggiamento empatico, possono essere accostati analogica-

mente e condivisi (Bellingreri, 2005). Si costituisce in questo modo quella

che, con le parole di Husserl, potremmo definire una comunità temporale

delle monadi, da cui dipende “la costituzione del mondo” e del “tempo mon-

dano” (Husserl, 1994, p. 146).

A partire da questo snodo è possibile configurare il passaggio da una memoria individuale a una memoria condivisa, che rende possibile l’attri- buzione dei ricordi a un “noi”. Nella condivisione le differenze tra i vissuti dei diversi soggetti non vengono annullate e, in virtù di ciò, è possibile comprendere come le memorie condivise diano vita a percorsi di ridefini- zione delle identità personali e comunitarie in una dimensione sia diacro- nica che sincronica. La comunità elabora forme di ricordo che forniscono un senso di appartenenza e che si rivelano unificanti. Questi ricordi costi- tuiscono le narrazioni condivise di cui si nutre la crescita e lo sviluppo della stessa comunità.

i momenti di frattura, escludendo le minoranze, creando cortocircuiti sto- rici funzionali alla narrazione dominante (Jedlowski, 2002, pp. 110-114). La narrazione della memoria condivisa, pertanto, per molto tempo è stata escludente e parziale, perché soggetta a conflitti di potere e poco, se non del tutto, attenta all’accostamento empatico delle memorie individuali e collettive.

In controtendenza con tali modalità di assorbimento delle memorie in- dividuali nella memoria collettiva, la prospettiva pedagogica che Ricoeur intende suggerire, schiude la strada a una memoria inclusiva e polifonica, costantemente tesa verso un equilibrio tra la realtà storica e la sua rappre- sentazione individuale e sociale, le narrazioni individuali e il racconto co- munitario.

Per superare le derive delle memorie omologanti, livellanti e confusive, è necessario dunque inaugurare prassi educative e didattiche che mirino a costruire nuovi percorsi della memoria e rinnovare le pratiche di costruzione del passato e di socializzazione del ricordo (Demetrio, 2003). Questi pro- cessi dovrebbero passare attraverso la rifondazione identitaria e condivisa delle comunità mnemoniche, la conciliazione delle memorie individuali e l’accoglienza delle memorie altre (Demetrio, 1998, p.114).

L’intreccio tra memoria individuale e memoria collettiva, dunque, ri- chiede di ritornare sulla nozione ricoeuriana del “sé come un altro” (Rico- eur, 1990) e di estenderla anche a livello dell’identità collettiva. Definire il sé alla luce della riflessività, sia individuale che collettiva, lo fa comprendere come un soggetto strutturalmente decentrato e aperto, ma non per questo risolto in una miriade di frammenti collegati in modo puramente contin- gente; è piuttosto, al modo del circolo ermeneutico che il se acquisisce la consapevolezza della propria identità, attraverso il rinvio continuo ad una rete complessa di relazioni, da cui egli e agito o, sarebbe meglio dire, pro- vocato ad esistere al modo di una sintesi provvisoria ma non inconsistente, fra passato e futuro, fra singolare e comunitario. Si delinea in questo modo la dialettica dell’implicazione tra identità e alterità che Ricoeur identifica con il termine ipseità e che, passando attraverso la narrazione di sé e le nar- razioni degli altri, costituisce altresì le identità comunitarie.

Ciò è particolarmente evidente nel rapporto tra le generazioni, cui A. Schütz dedica un’attenzione specifica nei suoi studi sulla fenomenologia della realtà sociale (Schütz, 1974, pp. 297-310). A questo proposito, scrive Ricoeur:

L’esperienza del mondo condivisa riposa su una comunanza di tempo altrettanto che di spazio. L’originalità di questa fenomenologia della me- moria condivisa risiede principalmente nella disposizione dei gradi di personalizzazione e, inversamente, di anonimato fra i poli di un ‘noi’ e di un ‘si’, di un ‘loro altri’. I mondi dei predecessori e dei successori danno un’estensione nelle due direzioni del passato e dell’avvenire, della memoria e dell’aspettativa, a questi tratti degni di nota del vivere in- sieme[…](Ricoeur, 2003, p. 184).

Nella condivisione di una comune esperienza del tempo una generazione è in grado di accogliere l’eredità della generazione che l’ha preceduta non come il lascito di una memoria che si fossilizza – da cui l’anonimato del ‘si’ secondo cui viene riletta la tradizione –, ma come volano che dà slancio alle generazioni future consegnando loro un testamento fecondo di senso (Stoppa, 2011, pp170-171). Ciò che una comunità è, la sua identità, deriva tanto dalla ripresa narrativa delle memorie e dei racconti che vanno a for- mare la sua storia, la sua tradizione, quanto dai progetti e dai piani che in- vestono il futuro; in quest’ultimo caso, si tratta delle storie che si raccontano sul modo del possibile, del non ancora. Il presente dei contemporanei – dove è situata l’iniziativa comune –, quindi, definisce l’identità di un gruppo sociale attraverso una memoria condivisa che diviene coscienza sto-

rica. Quest’ultima mantiene viva e vitale una tensione dialettica tra un’ere-

dità storica continuamente alimentata dalla memoria collettiva e dalle memorie individuali, nonché dall’immaginario sociale che la modifica, e un’apertura prospettica verso l’ignoto e il nuovo, grazie ad anticipazioni e pianificazioni di ogni sorta.

Nel presente dei contemporanei, lì dove viene a delinearsi l’iniziativa co- mune, si può determinare quell’oscillazione tra la costituzione di un “noi” e la deriva nell’anonimato del “si”. In questo piano intermedio, tra passato e futuro, si collocano gli scambi/doni tra la memoria viva delle persone in- dividuali e la memoria pubblica delle comunità a cui queste appartengono. Ed è su questo stesso piano che può essere riabilitato il significato della tra- dizione e delle tradizioni come spazi di apertura della memoria-ricostru- zione in cui la coscienza storica può essere rivitalizzata. Come sottolinea F. Stoppa:

La tradizione non è una semplice batteria di simboli, convenzioni, ideali, che si eredita geneticamente, ma piuttosto, un corpo vivo di va-

lori, stili e modi di essere che viene trasmesso da soggetti reali e che sta a ciascuno accogliere, contestare, rifiutare. […]

L’articolazione tra il singolo e la sua cultura di appartenenza viene ef- fettuata dalla memoria che, anche qui, non dovremmo pensare come un dispositivo automatico ma come un atto di inscrizione e reinscrizione degli eventi” (Stoppa, 2011, p. 170).

Si tratta di un processo complesso che, secondo Ricoeur, può prendere avvio proprio nella cura della relazione con i più vicini:

I più vicini, questa gente che conta per noi e per cui noi contiamo sono situati su una gamma di variazione delle distanze nel rapporto fra il sé e gli altri. […]La prossimità viene ad essere la copia dell’amicizia, di quella philia, celebrata dagli Antichi, a metà strada fra l’individuo soli- tario e il cittadino, definito dal suo contributo alla politeia, alla vita e all’azione della polis. […] Il legame con i più vicini attraversa trasver- salmente ed elettivamente tanto i rapporti di filiazione e di coniugalità quanto i rapporti sociali, dispersi a seconda delle diverse forme di ap- partenenza[…](2003, p. 186).

Ed è su questo legame di prossimità, identificato nelle sue diverse forme, che possono agire gli educatori pubblici, cui è affidato il “fermo proposito pedagogico” di coltivare una memoria individuale e collettiva che non si riduca alla sola retrospezione, ma si apra piuttosto alla possibilità di raccon-

tarsi altrimenti.

La memoria individuale e collettiva nel loro reciproco costituirsi, for- mano una coscienza storica che è capace di estendere le mire del futuro sul- l’apprensione del passato per svincolarlo da una mera coazione a ripetere.

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