• Non ci sono risultati.

Giulia Scarlatti Università degli Studi di Padova

1. Il valore identitario dei luogh

Cresciamo dentro luoghi segnati dalle generazioni passate, in cui si trasmet- tono significati e valori e a cui aggiungiamo simboli e narrazioni personali.

Definiti principi di senso per coloro che li abitano e principi di intelligibilità per colui che l’osserva, sono identitari, relazionali e storici (Augé, 1993, pp. 59-61). Abitati o attraversati, naturali o antropici, costituiscono l’oikos di una cultura, “la qualificazione dello spazio in cui una topologia è anche una tipologia umana” (Regni, 2009, p. 14), secondo una stretta connessione tra l’identità, il sé e i luoghi di vita (Casey, 2002). “Crocevia di cammini” (Jabès, 1991) nello spazio e nel tempo, concorrono pertanto alla costruzione identitaria della persona, assumendo un ruolo importante sul piano edu- cativo: rappresentano tracce del passato, tasselli della storia individuale e comunitaria, ancoraggi affettivi che vengono a comporre un patrimonio simbolico culturale da riscoprire e valorizzare nella sua pregnanza.

L’aumentata mobilità e la globalizzazione delle comunicazioni ci per- mettono oggi di attraversare, fisicamente o virtualmente, una pluralità di luoghi, i quali diventano quindi accessibili anche senza l’esperienza perso- nale diretta. Se da un lato ne guadagnano in maggior visibilità e fruibilità, dall’altro sono sottoposti ad un’eccessiva spettacolarizzazione e omologa- zione, perdendo le caratteristiche che li rendono singolari non solo in sé, ma anche per i significati con cui ognuno li connota. Esistono, infatti, tanti spazi quante sono le esperienze spaziali distinte (Merleau-Ponty, 1972).

Una situazione che chiede di far fronte a un paradosso odierno: per un verso si è sradicati e delocalizzati, in una realtà segnata da cambiamenti re- pentini, per un altro ci si trova in un vuoto “riempito dall’omogeneità della globalizzazione forzata degli stili di vita” (Riva, 2013, p. 21), per cui tutto è già stato visto. Fra iperconnessione alle tecnologie e sconnessione dai ritmi vitali, in un tempo spesso concitato, consumato, programmato ma non vis- suto, l’identità personale stessa si delocalizza in una polireferenzialità che, senza soste né ascolto di sé, dell’altro e dell’ambiente, porta alla perdita della storia e delle radici, dei riferimenti e delle narrazioni a livello comunitario. I luoghi di cui non è più riconosciuto l’intrinseco valore simbolico e identitario diventano anonimi e spersonalizzati; come conseguenze, il di- simpegno e il consumismo (Bauman, 2006). Il venir meno di quel senso di appartenenza che genera amor loci è il segnale di un allontanamento e distacco non solo dal contesto ambientale, ma dall’umanità stessa, in base al concetto di interdipendenza di “trama della vita” (Capra, 1997), cioè di una complessa rete di relazioni che interconnette la propria vita con quella degli altri esseri animali e vegetali e con il patrimonio comune costituito dalla Terra. Non ci sentiamo più chiamati alla “cura” responsabile e alla

progettazione sostenibile di un tempo e di uno spazio, nel mondo e nella storia.

Interrogandosi su come l’azione educativa possa ricomporre la frammen- tarietà e contribuire alla costruzione dell’identità nella prospettiva dell’in- terconnessione, si ritiene importante porre l’attenzione sulle categorie esistenziali di spazio e tempo.

Il ritorno alla natura, ossia a ritmi biologici conformi al divenire del- l’ambiente circostante, i temi della sobrietà negli stili di vita auspicano intensamente un’evoluzione dell’uomo contemporaneo affannosamente alla rincorsa del tempo e sempre più incapace di gestire quello a sua di- sposizione. La ‘sostenibilità’ dello sviluppo umano necessita anche di un’ecologia dei vissuti temporali (Amadini, 2006, p. 32).

del recupero di un tempo qualitativo, da intendersi, secondo la durata bergsoniana, tanto nella dimensione sincronica, per abitare gli spazi, deci- frarli, riconoscersi in essi e sentirsene parte, quanto nella dimensione dia- cronica, per collocare i propri vissuti nell’incontro con le storie altrui.

Ecologia dei tempi ed ecologia degli spazi si implicano l’un l’altra (Ama- dini, 2012, p. 10) e il loro fecondo intreccio può condurci a ritrovare una rinnovata “ecologia dello spazio interiore” (Mortari, 2008, p. 1), per sé e condiviso con gli altri.

Ricoeur (1998, p. 81), riguardo al tema della memoria, incrocia lo spazio e il tempo attraverso il costruire e il raccontare: come il tempo narrativo ri- sulta dalla combinazione tra il tempo della misura, cronologico, e quello psichico, vissuto, descritto da Agostino (2000, p. 439) come “distensione dell’anima” – “il presente del passato”, la memoria; “il presente del futuro”, l’attesa; “il presente del presente”, l’attenzione –, e ha il fulcro nel presente, così lo spazio costruito è una commistione tra spazio geometrico cartesiano e spazio umano dei luoghi di vita, e ha il fulcro nel luogo.

Lo spazio vissuto dei luoghi di vita diventa tempo: è spazio temporaliz- zato, per cui anche le pietre hanno un tempo, anche l’architettura, anche la città costruita. Sull’altro versante, quello della parola e del tempo, si può dire che anche il racconto si spazializza nel suo distendersi narrativo (Riva, 2013, p. 30).

Nella compenetrazione tra il costruire e il narrare, spazio e tempo risul- tano “misti”: il tempo tende a costruirsi e lo spazio tende a raccontarsi.

Ogni luogo racchiude tracce, quali enigmi da interpretare, segni che al- ludono (Lévinas, 1985), possibilità di interpretazione per abitare in modo nuovo gli spazi. Occorre “fare in modo che queste tracce non siano soltanto dei resti, bensì delle testimonianze riattualizzate del passato che non è più ma che è stato, fare in modo che l’esser-stato del passato sia salvaguardato nonostante il suo non-essere-più” (Ricoeur, 1998, p. 92).

La dimensione narrativa, che attinge alla memoria ed è protesa al futuro, rappresenta una via per riconoscere e risignificare i luoghi recuperando le storie individuali e collettive da essi incorporate, attraverso un lavoro della memoria non ripetitivo, di accumulo e conservazione di dati, ma ricostrut- tivo, come cura del passato per far posto e accogliere il nuovo; processo che richiede tempi e spazi di comunicazione di ciò che è stato e delle sue tracce, attraverso dinamiche di condivisione, narrazione e ascolto.

La relazione educativa è chiamata a “coniugare quanto trasmesso rispetto al passato con le domande di senso che interpellano il presente e l’avvenire”, e la narrazione dell’esperienza, capace di rinsaldare “un legame non solo tra passato e presente dell’individuo ma anche tra soggetti diversi e tra genera- zioni distinte” (Amadini, 2006, p. 50), può contribuire a dischiudere l’oriz- zonte pedagogico della progettualità e conferire nuove attribuzioni di senso all’esistente.

Documenti correlati