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Gabriele Brancaleoni Università di Bologna

2. Tusitala, narratore del ricordo

Esempio emblematico della centralità del ricordo nella scrittura di Robert Louis Stevenson è certamente Memories and Portraits (1887), raccolta di saggi pubblicati in periodi diversi, ma accostati poi dall’autore secondo una logica velata che sembra suggerire un percorso teorico sulla scrittura e la saggistica attraverso trattazioni non prettamente ad essa dedicate. Il testo infatti risulta essere ciò che nella produzione stevensoniana più si avvicina a una autobiografia – per quanto non lineare –, ma contiene altresì alcuni tra i suoi più importanti saggi di teoria della letteratura.

Questo volume di appunti, pur così legati, sarà meglio leggerlo dal prin- cipio anziché sfogliarlo a caso. Le pagine sono in qualche modo unite da un significato comune: le memorie d’infanzia e di gioventù, i ritratti di

quelli che sono andati prima di noi nella battaglia della vita – se si consi- derano nel loro insieme – vengono a formare un volto che «ho amato in un’epoca lontana e ho perduto molto tempo fa», il volto di quello che io fui una volta. A questo risultato sono giunto per caso; accingendomi al la- voro non avevo alcuna intenzione di essere autobiografico: fui solo mosso a scrivere dal fascino di memorie care e dal rimpianto per ciò che non può tornare più. Allorché proprio il mio giovane volto (che è volto di morte an- ch’esso) cominciò ad apparire nel pozzo per una sorta di incantesimo, io fui il primo a stupirmi del caso (Stevenson, 1997, p. 3).

Questa è l’introduzione alla raccolta che conduce tra i meandri della memoria di Robert, alla ricerca e riscoperta delle proprie radici scozzesi: predicatori, viaggiatori, condottieri e disertori, naviganti e costruttori di fari. Tra il racconto di ricordi di giochi amati e di paesaggi di case rurali fa- miliari, tra i resoconti della vita di college e del fermento letterario giovanile, tra le narrazioni di proiezioni titubanti verso il futuro di adolescenti ritirati nel segreto di un isolotto di lago, si trovano poi saggi sull’arte della scrittura da cui, in un gioco di riflessi e ribaltamenti, emerge il ricordo – e non la vita – come bacino dal quale l’artista deve attingere per dare forma ai suoi personaggi:

Coloro che si industriano a far dell’arte usano, di volta in volta, il materiale dei loro ricordi, adattando e riadattando piccole memorie colorite di uomini e di scene, trasformando magari in pirata qualche vecchio amico, facendo manovrare eserciti e consumare degli assas- sinii, sullo sfondo della loro giovinezza (Stevenson, 1997, p. 63).

Per Stevenson il romanzo è arte che si nutre del ricordo, che attinge quindi al linguaggio per tentare di ridire la vita (vissuta o mai vissuta) se- condo un ordine convergente (quello narrativo) imposto dall’autore. Con- vinto che la sua arte non avrà mai modo di restituire la totale complessità e ricchezza dell’esistenza, all’autore non resta che dedicarsi a “l’incommen- surabile diversità” (Stevenson, 1997, p. 170) che separa l’opera dalla realtà, “diversità che è intenzionale ed espressiva, ed è insieme il metodo e il senso dell’opera” (Stevenson, 1997, p. 170).

3. Tusitala, girovago narratore del ricordo

Per ulteriormente sottolineare la centralità delle categorie del ricordo e del viaggio nella poetica dell’autore si propone infine il riferimento a tre saggi appartenenti a una raccolta del primo periodo della carriera dell’autore, al- l’origine della sua determinazione artistica.

La raccolta si intitola Virginibus Puerisque and other Papers, pubblicata per la prima volta nel 1881 e contenente saggi di varia natura (critica let- teraria, saggi morali, saggi di analisi sociale, politica o filosofica), tutti scritti nei cinque anni precedenti e pubblicati singolarmente in diverse riviste.

Il primo saggio tratto dalla raccolta è A plea for gas lamp [In difesa del- l’illuminazione a gas] (Stevenson, 2013). In esso Stevenson da un lato si ri- volge malinconicamente a un periodo ormai passato in cui l’illuminazione a gas connotava l’atmosfera di una calda socialità sia domestica che comu- nitaria, ed era distribuita e controllata da un personaggio fiabesco qual è il lampionaio; dall’altro si erge in forte opposizione contro la nuova illumi- nazione elettrica, simbolo della modernità che avanza e delle innovazioni portate dalla tecnica. Stevenson denuncia le trasformazioni che l’espansione metropolitana sta portando alle conformazioni sociali, gli effetti dell’indu- strializzazione e del capitalismo inglese, osservabili negli squilibri tra le classi, nei primi processi di alienazione e individualismo che la modernità vedrà poi proliferare.

Il ricordo qui assume il valore di un fondamentale legame con quanto connota un’identità e un’appartenenza culturale nonché comunitaria. Tra- mite l’esercizio del ricordo Stevenson si rivolge con allarme verso quanto del suo passato sta drammaticamente scomparendo, e, prendendo le mosse da immagini e personaggi della sua quotidianità, arriva a proporre una pro- fetica denuncia di dinamiche sociali di depersonalizzazione e disgregamento del tessuto comunitario. E laddove la comunità risulti minacciata Stevenson intuisce, anticipando Benjamin (2011), che a rischio sia proprio l’arte della narrazione e quindi la pratica del tramandare.

Il secondo saggio scelto è El Dorado (Stevenson, 2013). Lo scritto è de- dicato al tema della ricerca della felicità che l’autore riconosce nella tensione del viaggio verso un’isola mai raggiunta, viaggio guidato e rinvigorito dal desiderio e la curiosità. Il viaggio qui assume il significato di una tensione progettuale che si fonda sulla speranza tenuta viva dal desiderio conoscitivo mai appagato e in costante divenire.

Il terzo saggio è Child’s play [Il gioco del bambino] (Stevenson, 2013), nel quale Stevenson descrive l’infanzia come età caratterizzata da intima fe- deltà al proprio sentire e da irripetibile capacità di meravigliarsi. Il bambino è colui che attraverso il gioco e l’immaginazione possiede il potere rivolu- zionario di rigenerare e trasformare la realtà attraverso la pratica dell’incan- tesimo, cioè la capacità di rivisitare la realtà attraverso l’arte del racconto, della rinarrazione fantasticatrice.

Ecco allora delinearsi attraverso questi tre saggi emblematici le compo- nenti fondanti il romanzo d’avventura stevensoniano.

Primo: l’esercizio del ricordo. Inteso non solo come ricerca continua della propria radice identitaria intessuta della storia delle vicende umane, ma anche come capacità di dialogo con personali età della vita ormai pas- sate, quali sono appunto l’infanzia e la giovinezza.

Secondo: il viaggio e la tensione esplorativa. Il desiderio e la curiosità per mondi e vite mai vissute, il tentativo mai appagato completamente di restituire tramite la scrittura la grandezza dell’esistenza, sono i due volti dell’avventura per l’autore che spinge il suo sguardo sempre oltre l’orizzonte, là dove prima sembrava comparire per poi eclissarsi l’Isola Non Trovata di gozzaniana memoria:

S’annuncia col profumo, come una cortigiana, L’Isola Non-Trovata… Ma, se il piloto avanza rapida si dilegua come parvenza vana, si tinge dell’azzurro color di lontananza… (Gozzano, 1995, pp. 246-247)

Infine, terzo: l’infanzia. Metafora della capacità immaginativa che tra- sforma la realtà, metafora del fervore conoscitivo e desiderante, età della vita di cui l’autore seppe farsi complice e alleato attraverso rappresentazioni d’infanzia magistrali, frutto proprio della sua particolare capacità di esercizio del ricordo.

Il romanzo d’avventura di Stevenson che meglio condensa e rappresenta nella sua trama queste categorie è probabilmente Kidnapped [Il ragazzo ra- pito] (2003), pubblicato nel 1886. Nel romanzo le vicende del protagonista David Balfour, orfano picaresco, si inscrivono sullo sfondo storico delle guerre civili scozzesi intorno alla metà del ’700, dove i whig si oppongono ai giacobiti e i clan degli highlanders a quelli dei lowlanders. Le disavventure

sapore delle esperienze del gran tour di formazione nonostante i ripetuti ri- schi scampati di essere infilzati o di morire per stenti. E proprio alla fine del percorso, al momento del congedo dall’amico sorge nel protagonista l’inquietudine nel pensarsi arrivato, nel credere alla pacificazione di una fine placida …perché il richiamo dell’avventura come un canto sirenico ir- resistibile tormenta chi ha vissuto l’esperienza nella sua più autentica in- certezza e lo richiama al viaggio verso quella mai raggiunta El Dorado.

Conclusioni

Solo una ventina d’anni dopo la pubblicazione di Kidnapped, e una decina dopo la morte dello scrittore, uno dei più importanti autori eredi della poe- tica stevensoniana, James Matthew Barrie, per il quale Stevenson fu grande amico e maestro d’arte, pubblicherà un famosissimo romanzo per l’infanzia

Peter Pan in the Kensington Gardens (1906) seguito da Peter and Wendy

(1911).

È interessante osservare come riferendoci alle stesse tre categorie fondanti il romanzo d’avventura stevensoniano possano emergere proprio nelle dif- ferenze tra le rappresentazioni i sintomi delle trasformazioni legate al pas- saggio di secolo e all’imminente conflitto mondiale. Il romanzo di Barrie infatti non presenta alcun riferimento storiografico, anzi sull’Isola che non c’è ogni ricordo della propria vita terrena svanisce e nessuno sa più raccon- tare storie, il viaggio avventuroso si esaurisce in una infernale eterna ripe- tizione solipsistica di assassinii, arrembaggi e voli senza meta né senso. E l’infanzia è allontanata e relegata in quest’isola della negazione dell’essere, perché la realtà è ben più minacciosa e i prodromi del conflitto preannun- ciano una contrazione del futuro, e un incombente arresto forzato delle spinte desideranti e progettuali.

L’eredità di Robert Louis Stevenson raccolta da James Matthew Barrie si deformò secondo le influenze e i cambiamenti apportati dalla modernità e dalle vicende internazionali che interessarono quegli anni di passaggio di secolo. A seguito del conflitto mondiale Benjamin (2011), ispirandosi, tra i tanti, anche agli scritti di Stevenson, teorizzerà la fine della narrazione, le- gata all’incapacità dell’uomo di fare esperienza e di esercitare il ricordo.

Oggi come allora l’opera stevensoniana interpella chiunque si occupi di letteratura per l’infanzia e porta a interrogarsi con forza sulla qualità delle

narrazioni create per i più piccoli, perché mantengano in esse la traccia di quella stessa tensione artistica che fu dell’avventuriero custode e navigante degli oceani della memoria nei quali gli fu possibile approdare alle isole di quel mondo bambino così spesso facilmente obliato dall’ipercinetica e di- mentica vita adulta. Robert Louis Stevenson, girovago narratore del ricordo, possa in questa occasione proporre alla comunità scientifica pedagogica nuovi spunti di indagine sulle correlazioni che esistono tra rappresentazioni d’infanzia e storia delle mentalità, tra metafore letterarie e mutamenti sociali culturali e politici, tra infanzia reale e infanzia immaginata, ricordata e nar- rata.

Riferimenti bibliografici

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