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l’educazione tra pratica e narrazione

2. Narrare una vita nel suo fars

Per comprendere meglio questa scelta di metodo bisogna tornare alle origini della pedagogia di Tommaseo, direttamente alle sorgenti rappresentate dai suoi scritti. E, parlando di narrazione pedagogica, non si può tralasciare in particolare il diario che il dalmata redige per descrivere la crescita della figlia avuta dalla moglie Diamante, Caterina, nata nel 1852, il giorno dell’epifa-

1 Giuseppe Vico (2005), ha parlato dell’Ottocento come di un secolo che “scorre più tra frammenti di pensieri sull’educazione che in virtù di elaborazioni teoriche” (p. 79). Il che è sostanzialmente vero, ma non bisogna dimenticare il ponderoso lavoro di Gio- vanni Antonio Rayneri e la sistematizzazione tentata, ed incompiuta, di Antonio Ro- smini, amico peraltro di Tommaseo.

2 I due volumi cui si fa riferimento sono Tommaseo, 1834 e Tommaseo, 1872. In que- st’ultimo, Tommaseo parla di riflessione sull’educazione iniziata più di quarantacinque anni prima, il che riporterebbe le prime riflessioni addirittura alla seconda metà degli anni ’20.

3 Nella fattispecie, quella di Tommaseo sarebbe una forma di narrazione soggettiva di- retta.

nia4. Componendo il testo, Tommaseo si inserisce nella fortunata tradizione della diaristica (Becchi, 2001), che contraddistingue i padri illuminati po- steriori alla speculazione di Jean Jacques Rousseau (Covato, 2002). Il dal- mata, in particolare, approfondisce le figure legate agli ambienti svizzeri, dal Ginevrino ad Albertine Necker de Saussure, passando attraverso Johann Heinrich Pestalozzi: probabilmente a far da tramite sono gli ambienti dell’«Antologia» diretta da Giovan Pietro Viesseux, anch’egli di Ginevra e vicino al protestantesimo illuminato svizzero (Chiosso, 2001, pp. 34-36). È proprio sulla base della lettura di questi autori che Tommaseo fa propria la pratica dell’osservazione e dell’appunto manoscritto giornaliero nei con- fronti della propria figlia5.

Osservare e scrivere, per il dalmata, non equivale alla pratica empirica del positivistico uomo di scienza. La sua stessa narrazione si distacca molto, ad esempio, da una pretesa oggettività sul modello del naturalismo francese e, più avanti, del verismo italiano. Nel riportare su carta quanto osservato Tommaseo non si eclissa alla maniera verghiana: la sua è un’osservazione che non può prescindere dall’osservatore almeno tanto quanto non può prescindere dall’osservato. E se è vero che in ogni diario redatto traspare sempre il redattore, questo si nota ancor di più con Tommaseo che nelle tappe di crescita della sua bambina trova l’inveramento di uno studio pre- cedente, in un continuo rimescolarsi di teoria e pratica, di pensiero ed azione. Il testo narra così della crescita contemporanea di Caterina e del padre Niccolò: “penso ad apprendere dalla mia bambina, ed a notare l’ap- preso”, scrive significativamente in un suo diario personale (citato in Bac- chetti, 1980, p. 226). L’osservazione, allora, non come una tra le tante pratiche, ma cuore stesso di una concezione pedagogica che si compie nel suo farsi e che non può essere trattata astrattamente, ma solo raccontata in

4 Stralci scelti dall’autore sono ora pubblicati con il titolo di Giornale d’una bambina.

Dal primo al quinto anno d’età in Tommaseo, 1916, Vol. 2, pp. 73-84, volume la cui

prima edizione risale al 1857, quando ancora il diario non era terminato. Gli appunti furono ripresi, collazionati con inediti e commentati in Bacchetti, 1997. Tommaseo redasse anche un diario per la crescita del fratello di Caterina, Girolamo, nato nel 1853, ma esso si presenta molto più frammentario e di difficile ricostruzione, oltre che ripe- titivo nelle tematiche rispetto a quello della sorella. Per ciò che è rimasto del diario di Girolamo cfr. Bacchetti, 1980, pp. 223-236.

5 In Tommaseo è costante il confronto soprattutto con Rousseau, per il quale cfr. Tom- maseo, 1916, Vol. 1, pp. 228-232.

una vita vissuta6. Per Tommaseo, l’osservazione di un processo educativo che si compie “ci salva dalla mania dei sistemi, che tanto in pedagogia, quanto in letteratura e politica, porta seco il malanno comunemente chia- mato pedanteria” (Tommaseo, 1869, p. 6).

L’unico modo per parlare di educazione è dunque quello di mostrarla nell’atto concreto, in quanto azione umana7. È allora significativo che i diari siano immediatamente destinati alla pubblicazione, prima ancora della loro conclusione8. Fa comprendere come nei piani di Tommaseo la reda- zione degli stessi non sia rivolta solo al proprio miglioramento come padre, magari con un omaggio alla tradizione rousseauiana tanto di moda tra XVIII e XIX secolo: i diari, piuttosto, rappresentano il tentativo di siste- matizzare una teoria educativa sull’infanzia sulla quale Tommaseo stava già riflettendo da tempo, mostrandola in atto. Tanto più che il dalmata pub- blica a più riprese narrazioni di questo tipo, utilizzando lettere ad amici magari appena divenuti padri oppure ancora pubblicando interi brani di diari di giovani madri9. L’educazione narrata assume allora il valore della carne immanente della storia, che non può essere sclerotizzata nella tratta- tistica, nella convinzione che “la teoria, se non è docile, non è occhio che indirizza i passi, è catena” (Tommaseo, 1916, Vol. 1, p. 51).

Il pensiero del dalmata, quindi, si configura come non occasionale, ma sostanziato da studi e frequentazioni quotidiane con i più importanti in- tellettuali dell’epoca (Bacchetti, 1997, pp. 15-16), volto a porre il fanciullo al centro del progetto educativo “in linea con il riconoscimento del ruolo dell’esperienza come prima maestra di vita presente in diversi autori dell’età moderna” (Scaglia, 2020, p. 97). Un progetto in cui la figura dell’educatore,

6 Sulla pedagogia intesa come vita vissuta cfr. Bertagna 2018, pp. 89-90.

7 “Anche con le metodologie teoreticamente più complete che possiamo mettere in campo non riusciremo mai a trovare negli altri le condizioni delle azioni umane, ma saremo sempre obbligati a inferirle dalle sue manifestazioni empiriche e ad attribuir- gliele kantianamente per rispetto, a partire dal fatto che si è sicuri di possederle per sé” (Bertagna, 2010, p. 320).

8 Stralci del diario di Caterina furono già editi a puntate in varie riviste, fra cui soprattutto «L’Istitutore», durante la seconda metà degli anni ‘50 del XIX secolo. Cfr. supra, n. 4. 9 Ad esempio, si veda il caso della lettera ad Emilio de’ Tipaldo sulla di lui figlia Eloisia,

pubblicata in Tommaseo, 1834, pp. 22-50, con il titolo Di quella educazione che inco-

mincia con la vita. Lettera al professore Emilio Tipaldo. Sul rapporto tra i due amici cfr.

in questo caso anche genitore, non scompare, nella consapevolezza che il processo educativo esiste perché esiste chi conduce coscientemente ad un fine le esperienze dell’educando, liberandole così dal caso e dalla contin- genza (Bertagna, 2018, pp. 120-125): infatti, secondo Tommaseo (citato in Bacchetti, 1980, p. 232) “il buon maestro cammina co’ teneri alunni”.

Ed è importante sottolineare che il dalmata non produce fictiones lette- rarie sul modello rousseauiano: il suo obiettivo è fare leva su una narrazione concreta, su eventi reali. Questa è una differenza significativa nei confronti di altri autori e per certi versi dello stesso Rousseau, che sceglie con il suo romanzo di “soffermarsi sugli aspetti teorici dell’educazione e di costruire un progetto che gli permette, in qualche modo, di oltrepassare i limiti della concretezza, le specificità dei casi particolari e le difficoltà presenti nelle in- finite sfumature della realtà” (Potestio, 2016, p. 8). Tommaseo, narrando eventi reali, sceglie invece di rimanere all’interno della concretezza e nella specificità dei casi particolari, accettando le sfumature della realtà. Come giustamente è stato affermato, infatti,

L’incalcolabile e l’indicibile dell’esperienza devono essere raccontati, non possono che essere raccontati, poiché è solo nella parola ch’essi possono essere fermati e così affermati […]. La parola ed il racconto costituiscono infatti il luogo per eccellenza all’interno del quale l’esperienza del sog- getto si costituisce e prende forma come tale (Petrosino, 2013, p. 103).

Caterina, con le contraddizioni e le ingenuità di una qualsiasi bambina di pochi anni, è dunque il soggetto reale di uno specifico progetto educa- tivo. Quest’ultimo trae dalla persona vigore e linfa vitale: non esisterebbe senza il suo soggetto in quel dato momento ed in quella data situazione. Questa inscindibilità lega a doppio filo osservatore, osservato ed atto del- l’osservazione, sancendo ad un certo punto la fine della pratica stessa. Nel 1860 Tommaseo posa la penna, quando Caterina ha otto anni (Bacchetti, 1980, p. 227). Ammette che arrivati a quell’età non riuscirebbe più a na- scondere gli appunti del diario alla figlia, la quale potrebbe conseguente- mente alterare i suoi comportamenti. Continuando, quindi, l’educazione si staccherebbe dalla vita, diventerebbe quella teoria che “è catena”, cedendo il passo all’astrattismo e disincarnandosi da una situazione concreta. Cate- rina smetterebbe di essere Caterina, per diventare un escamotage letterario. O, peggio, potrebbe scegliere di comportarsi diversamente, e allora non si entrerebbe addirittura nell’ambito della menzogna.

L’educazione, dunque, non può astrarsi dalla singola persona, nella sua libertà ed unicità. Non può ritirarsi in una trattazione asettica ed imperso- nale, erigendosi a legge di comportamento universale, quasi fosse una sorta di prontuario adattabile a chiunque, ma può solo essere raccontata legan- dola a chi ne è il soggetto in un determinato momento. D’altra parte, dalle azioni umane “si possono formulare massime e principi di azione, ma non leggi e deduzioni scientifiche e tecniche di comportamento” (Bertagna, 2010, p. 325). Il singolo atto, la singola esperienza, è e rimane un exemplum del quale si possono giovare altri soggetti, altrimenti non si spiegherebbe da parte di Tommaseo la pubblicazione degli stralci di diario, delle lettere e degli appunti riguardanti la crescita di sua figlia e, si è visto, di altri bam- bini suoi conoscenti. Tuttavia, questo esempio si configura come un exem-

plum unicum, qualcosa di non immediatamente replicabile seppur portatore

di significati a carattere universale. Non dunque gesti o parole ripetibili, ma messaggi da astrarre. È su questa base che va letto l’exemplum unicum di Caterina, e più in generale la visione pedagogica di Tommaseo sulla prima infanzia.

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