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L’educazione alla memoria: unificazione, sintesi, raccoglimento dell’Identità e apertura ospitale all’Alterità

dell’identità e della diversità

A. Daniela Savino Socio Junior

1.2 L’educazione alla memoria: unificazione, sintesi, raccoglimento dell’Identità e apertura ospitale all’Alterità

Ogni immagine, ogni sensazione legata ad ogni immagine, ogni significa- tività per la vita umana si può richiamare con e all’interno della memoria: il richiamo, lungi dall’essere una semplice recordatio è una pratica che ap- partiene allo spazio interiore capace di solidificare l’Identità, riunire ciò che sembra frammentato e dare luogo ad un raccoglimento e ad una vera co- noscenza. Guardini, scrivendo dello spazio interiore (Guardini, 2009, pp. 51-56) riferendosi esplicitamente e talvolta implicitamente ad Agostino, dice “Questo spazio interiore esiste (…) sono, da solo a solo, con me stesso;

là vengon prese le decisioni vitali […] e questo spazio esiste e può diventare più ampio, più profondo, più vivo, più tranquillo, più sicuro”(Guardini, 2009, p. 52).

L’ospitalità, allora, è la natura ontologica evidente della memoria poiché essa contiene una sorta di spazio infinito: la “traccia” dell’ospitalità della ra- gione, infatti, e della capacità di ospitalità della memoria risiede nella ce- leberrima “Inquietudine” agostiniana; essa si configura infatti come l’initium di tutto, l’inizio della conoscenza e scoperta della trascendenza e della relazione reciproca tra l’io e l’altro che abita l’io.

“Quaestio mihi factus sum”(Conf. X, 5,6). “Io sono una domanda a me stesso” afferma Agostino, con la sua prosa superba, poiché l’uomo è in- nanzitutto sconosciuto a se stesso, ciò che gli è più intimo contemporanea- mente gli è più sconosciuto. E da questa domanda inizia il suo persorso.

La domanda dell’uomo di conoscenza, di sé e del mondo, si traduce in uno stupore ma anche in uno sbigottimento di fronte alla immensità e al mistero dello “spazio interiore”: “Grande è questa potenza della memoria, troppo grande Dio mio, un santuario, vasto, infinito. Chi giunse mai al suo fondo?” (Conf. X,8,15) e in modo paradossale Agostino afferma “E tuttavia è una facoltà del mio spirito, connessa alla mia natura” (Conf. X,8,15).

È attraverso uno sguardo attento a questa “magna ista vis est memoriae, penetrale amplum et infinitum” (Conf. X,8,15) che si può accedere alla vita intera, alla percezione di essa come vita interiore ed esteriore; per questo egli la definisce come un abisso, l’Abissus humanae coscientiae. Ma come può aver inizio una tale conoscenza?

“Tu excitas ut laudari te delectet, quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec in te requiescat” (Conf.,1,1): “il nostro cuore è inquieto finché non trova posa in Te” poiché se da una parte l’uomo è domanda a se stesso, dall’altra, proprio quell’abisso che suscita tremendo stupore e do- manda, sembra, allo stesso tempo, “venire incontro”, sembra suggerire una traccia verso un’apertura di senso, una chiarificazione. Quella trascendenza, scoperta proprio nella semplice attestazione del quaestio mini factum sum, per Agostino è l’Eterno, l’Infinito che l’abisso della coscienza umana è ca-

pace di concepire e contenere, pur nella sua finitezza.

L’inquietudo è dunque ciò che permette l’inizio della conoscenza: lo stesso inizio delle Confessioni è un vero e proprio Anfang (Guardini, 1975) come “principio”, “fondamento”, “origine”, è interrogativo sulla origine di

ogni cosa che emerge in filigrana proprio nel carattere dell’inquietudine umana. Essa è, dunque, quella tensione orientata, connaturata all’uomo, che rivela una “intenzionalità”: l’inquietudine è fatta per conoscere, e con- temporaneamente per riposare nella conoscenza delle cose, del loro senso ultimo e l’intenzionalità la caratterizza: essa si mostra come una dinamica, un movimento presente nel “cor” direzionata a quella conoscenza e beati- tudine che l’uomo stesso non può porre in essere pur desiderandola; e quest’ultima è la stessa ragione per cui esiste l’inquietudo. Il cor avverte que- sta primordiale presenza del riposo nella conoscenza, ma pur presentendola, ancora non la possiede: “Inquietus est cor nostrum donec in te requiescat” (Conf.,1,1): il donec rivela il destino del moto dell’inquietudine, rivela ch’essa non è appunto orfana, bensì “promessa”; il donec sembra essere uno spartiacque tra un moto che lo precede (inquietus) e un certo riposo che lo segue (requiescat): per Agostino è quella stessa Trascendenza che “ha eccitato le lodi”, è Dio stesso, che orienta il cuore dell’uomo verso di sé e lo renderà inquieto finchè non si lascerà trovare. (Gilson, 1983).

Non un vano dibattersi o un moto condannato a restare senza risposta, l’inquietudine rivela piuttosto una “parentela” ontologica: “qui va ricercato il nucleo metafisico più profondo del pensiero agostiniano che riconosce l’esistere come modalità creaturale di essere, indelebilmente segnata da un debito ontologico; nella creatura umana le tracce di tale debito assumono il volto dell’inquietudine e della nostalgia”. (Alici, 1999, p. 64).

La Beata Vita agostiniana risiede, dunque, all’origine e paradossalmente al fondo della memoria: origine e fine ultimo di tutta la vita umana. Ed essa non può che essere “in relazione”, non può che suggerire per sua stessa costituzione una convivenza. L’uomo si coglie infatti perennemente insod- disfatto, (Gilson, 1983) poiché sente un ineliminabile e imperituro desi- derio di felicità e compimento, e al medesimo tempo avverte che non è qui la patria della Beata Vita. Il desiderio di giungere ad una felicità in tutto si rivela come una sorta di iscrizione interna, un orientamento che il suo cuore per struttura rivela, ed essa è in un certo senso “preannunciata” all’uomo stesso: l’inquietudo agostiniana vuol proprio descrivere questa iscrizione in- terna al cor, quel “già e non ancora” che dà origine ad ogni moto di cono- scenza e affezione dell’uomo, che caratterizza, di generazione in generazione, la tensione e l’intenzionalità della conoscenza e della vita di ogni uomo.

sin dalla sua origine segreta; quel che occorre fare è proprio “educare alla memoria” per poter scoprirne i tesori.

La coappartenza ontologica, mostrata da Agostino, appare convincente: è per natura d’essere che io sono legato intimamente all’altro. Eppure la questione della con-vivenza è sempre problematica; per giungervi occorre un lavoro, metafisco e metacognitivo: “Come allentare a poco dai loro vin- coli gli strati profondi del mio essere affinchè diventino liberi ed entrino in azione? Qui si tratta dei compiti più importanti dell’educazione” (Guardini, 2009, p. 50). Tutti i maestri della vita interiore parlano dell’esercizio del raccoglimento ed esso si basa sul fatto che il nostro essere, come abbiamo visto, è costruito in due direzioni: dall’interno verso l’esterno e viceversa. Anche in questo assunto emerge la naturale co-presenza dell’Altro per il Sè. “Tutta la formazione morale e spirituale si riassume nell’esercizio del rac- coglimento” (cfr. Guardini, 2009, p. 51) e si tratta di un compito grande, supremo, in quanto l’uomo è incline alla superficialità, alla distrazione ma tale compito decide di un interesse supremo “perciò il compito più urgente sta dalla parte dove maggiore è il pericolo”. Qui, allora, si tratta dello spazio interiore, nel quale posso ritirarmi, nel quale mi posso occupare degli og- getti che vi sono presenti, interrogarli, con sincerità e cercandolo, trovare sempre il bene della situazione che mi trovo a vivere.

Qui si può accedere alla gradazione delle sfumature degli oggetti della realtà esterna e comprenderli nel loro senso e significato allenando una sorta di “vigilanza interiore” e si può avere la sensazione “che tutta la molteplicità delle forze venga energicamente disciplinata da un punto interiore; che tutta l’attività abbia un solo punto di partenza (…) che la vita abbia un centro e perciò un ritmo (…) che in noi si irrobustisca lo spirito”(Guardini, 2009, p. 53). Ecco il centro di Sé, la sintesi, l’unificazione e quindi la solidità della propria identità, e proprio in virtù di tale unità essa è aperta e ospitale al- l’Altro.

Conclusione

Attraverso questa “tacita attenzione rivolta al proprio intimo” che porta alla scoperta della memoria e dei suoi tesori, si può giungere a riconoscere e de- siderare l’Alterità e l’ascolto di essa, attestata come ricchezza e salvezza dal- l’invischiamento narcisistico dell’Io che, al contrario, impoverisce e

ammazza la vita intera privandola della soddisfazione. “L’ospitalità è la più alta espressione della ragione universale pervenuta a se stessa. La ragione non esercita alcun potere omogenizzante. Con la sua gentilezza è in grado di riconoscere l’Altro nella sua alterità e di dargli il benvenuto” (cfr. B. Chul- Han, 2017, p. 28). E per cogliere la capacità di relazione umana occorre “ritornare” a Sé, attraverso la memoria ed esercitando la memoria, “rien- trare” nel proprio spazio interiore per poterne scoprire la potenza: la “pro- fondità interiore” è “stratificazione verso l’intimo, e precisamente in maniera che gli strati, quanto più sono interiori, tanto più diventano preziosi, nostri, delicati, viventi” (Guardini, 2009, p. 52): ed è proprio in virtù di questa “ragione ontologica” tratteggiata nella memoria agostiniana, che si caratte- rizza per capacità sintetica e ospitalità, che si può fondare anche un’etica dell’ospitalità, di apertura all’Altro da sé piena di “spazio interiore” solido, ricco e privo di resistenze.

Riferimenti bibliografici

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Beierwaltes W. (1989). Identità e Differenza, (trad. it. S. Saini). Milano: Vita e Pensiero.

Byung-Chul H. (2017). L’espulsione dell’Altro. Milano: Nottetempo. Guardini R. (2009). La coscienza. Brescia: Morcelliana.

Guardini R. (1975). L’Inizio. Un commento ai primi cinque capitoli delle Confessioni

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Gilson E. (1983). Introduzione allo studio di S. Agostin. Torino: Marietti. Heidegger M. (1976). Saggi e discorsi (a cura di G. Vattimo). Milano: Mursia. Lodovici A., (1979). Dio e Mondo. Relazione, causa, spazio in S.Agostino. Roma:

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