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Giambattista Bufalino Università degli Studi di Catania

3. Memoria e tecnologie digital

Per il suo sostanziale aspetto di luogo di archiviazione, lo strato digitale as- sume di conseguenza le caratteristiche temporali proprie di una memoria

epifilogenetica (Stiegler 2001), un passato che si conserva simultaneo al pre-

sente, molteplicità informatica metastabile e aperta, il cui rapporto con il presente può essere riassunto con le parole di Bergson: “Il nostro passato è […] ciò che non agisce più, ma potrebbe agire, ciò che agirà inserendosi in una sensazione presente da cui trarrà vitalità. È vero che, nel momento in cui il ricordo si attualizza così, agendo, cesserà di essere ricordo, ridiventa presente” (Bergson 1996, p. 201).

Le tecnologie digitali della tracciabilità rappresentano lo stadio più avan- zato di un processo di grammatizzazione4che incomincia alla fine del Pa- leolitico superiore, a partire dal quale l’umanità apprende a discretizzare e a riprodurre secondo diversi tipi di tracce e memorie i flussi che la attraver- sano e che la generano: immagini mentali (iscrizioni rupestri), discorsi (scritture), gesti (automatizzazione della produzione), frequenze sonore e luminose (tecnologie analogiche di registrazione) e adesso comportamenti individuali, relazioni sociali e processi di transidividuazione (algoritmi di scrittura reticolare). La storia umana si sviluppa, pertanto, attraverso pro- cessi di processi di apprendimento basati su memorie incise su selci, libri, chiavi USB, social media al fine di creare “circuiti” che, grazie a quei pro- cessi di trans-individuazione richiamati in precedenza, si pongono a fon- damento della trasmissione culturale e del sapere. Senza memoria non vi è, quindi, cultura. Lo sviluppo dell’attenzione è, perciò, legato allo sviluppo delle tecnologie (le ritenzioni terziarie).

Eppure, affinché vi sia progresso sociale, l’esternalizzazione della memo- ria (ritenzioni terziarie) deve essere sempre accompagnata da un processo

4 Stiegler adopera il termine grammatizzazione per indicare la costruzione dell’umano attraverso la tecnica (in particolare tecniche di discretizzazione e di esteriorizzazione della memoria).

di “reinteriorizzazione” – o di riapprendimento – delle norme e dei valori culturali immagazzinati dalle ritenzioni.

Tuttavia, per Stiegler gli effetti della logica del consumo indotti dalla fase attuale del capitalismo e la velocità dell’innovazione tecnologica inter- rompono questo processo di re-interiorizzazione e spezzano quei circuiti trans-individuali alla base della formazione della conoscenza. Gli effetti di tale processo sono assimilabili ad un’intossicazione psichica che è caratte- rizzata da fenomeni di saturazione che coinvolgono alcuni funzioni impor- tanti come la concentrazione, la comprensione, la sensibilità e l’immaginazione, ovvero la vita affettiva, estetica ed intellettuale. In tal modo, le nuove industrie culturali digitali possano distruggere l’attenzione e “proletarizzare” l’uomo, ovvero privarlo del sapere e quindi renderlo essere non pensante.

L’uso dei media digitali si accompagna, quindi, a un nuovo regime at- tenzionale: cambia la nostra capacità di relazionarci con la vita, in termini di temporalità; non siamo più in grado di aspettare e quindi di attendere, da cui deriva etimologicamente la stessa parola attenzione. Un’attenzione alterata dai media digitali fa correre il rischio di distruggere i processi edu- cativi, di trasmissione generazionale (ad esempio, l’attenzione che fa zap-

ping, il bisogno di essere continuamente iper-stimolati). L’erosione della deep attention che si trasforma in hyper attention5cambia l’apprendimento; la fantasia viene trasformata in entertainment, divertimento continuo, sol- leticata da continue spinte pulsionali, indotte dai sempre nuovi bisogni.

Impegnato costantemente in una denuncia degli effetti tossici delle tec- nologie sulla vita sociale, Stiegler potrebbe apparire un oppositore dell’uso delle tecnologie digitali. È vero, tuttavia, l’esatto contrario: le tecnologie digitali, sostiene Stiegler, come tutte le tecnologie, sono dei pharmaka (Stie- gler, 2013). A tal riguardo, Stiegler introduce un altro concetto, ambiguo, molto più vicino al terreno dei processi formativi.

Il concetto di pharmakon (φάρμακον) compendia in sé tanto il significato di “rimedio” quanto quello di “veleno”. Le tecnologie, ogni tecnologia è da

5 La deep attention è definita come captazione dell’attenzione da parte di un solo oggetto durante un lungo periodo di tempo (si pensi all’attenzione sperimentata dall’immer- sione nella lettura di un romanzo), mentre l’iper-attenzione predilige più flussi di in- formazione, cerca un livello sempre alto di stimolazione e viene dunque caratterizzata dal passaggio rapido di focus tra diverse attività.

considerarsi come pharmakon. La scrittura, secondo Derrida, è un pharma-

kon e, come tale, possiede sia effetti benefici, sia effetti dannosi: da un canto,

rende più facile la hypòmnesis, cioè la conservazione e la trasmissione del- l’informazione; dall’altro, la disponibilità di informazione in gran quantità non aumenta, di per sé, né la memoria né la “sapienza” degli utenti, che invece funziona come qualcosa di interpersonale e di sovrapersonale (sy-

nousia). Stiegler individua nelle tecnologie informatiche e digitali – i mo-

derni artefatti tecnici – il poison (veleno) con cui il capitalismo contemporaneo tende ad asservire.

Ad ogni modo, Stigler intende abbandonare la lamentatio di molti in- tellettuali impegnati a diagnosticare i mali della civiltà e pone le fondamenta per una effettiva terapeutica sociale.

“Il problema non si risolve facendo di Google una specie di pharmakos, ossia di un capro espiatorio per tutti i mali, bensì incominciando a pensare Google. È quello che ho provato a fare con la scuola di Filosofia di Epineuil, in cui utilizzo molto Google, interrogandolo. Pongo ciò delle domande a Google come i Greci facevano con l’Oracolo di Delfi. La questione essen- ziale, però, è comprendere come fare di Google uno spazio critico e non solo un oggetto della critica” (Stiegler, 2014b, p. 55).

Per il filosofo francese si tratta di considerare le tecnologie digitali come un pharmakon, e quindi combattere il veleno (pharmakon) insito nella rete che è controllo dissociante e depotenziante, con il rimedio (pharmakon) che essa porta con sé, la possibilità di nuove forme di soggettività e nuove forme di relazione. L’obiettivo diviene quello di dar luogo a una farmaco- logia positiva intesa come una pedagogia positiva rivolta cioè all’invenzione di nuove condizioni di possibilità dei processi di individuazione psichica e collettiva. La farmacologia positiva viene intesa come strategia politica e pedagogica di trasformazione delle tecnologie – mediatiche, cognitive, re- lazionali – oggi velenose per i processi di soggettivazione, in autentico ri- medio e fonte di potenziamento. Si tratta di una pedagogia che non è solo decostruttiva, come potrebbe essere appunto quella derridiana, bensì anche costruttiva, propositiva. La “farmacologia positiva” consiste invece nell’ in- ventare, forme e utilizzi delle ritenzioni terziarie capaci di rovesciare quelli oggi all’opera, che producono i “malesseri” delle società di controllo: in chiave terapeutica la stessa tecnologia diviene un “rimedio” per uscire dalla “miseria simbolica” della nostra epoca. Alla terapia e alla pratica pedagogica e politica spetta il compito di re-individualizzare e quindi di re-incantare

un mondo ormai inaridito dal “nichilismo” e incapace di progettare il fu- turo. Alla pedagogia spetta il compito di impadronirsi, “dal di dentro”, delle tecnologie e delle pratiche in modo da poter sviluppare processi tecnologici alternativi a quelli esistenti, e cioè indirizzati alla condivisione dei saperi, alla salvaguardia delle risorse e all’incremento dell’intelligenza sociale. L’edu- cazione diviene custode della memoria, mediatrice tra il passato e futuro e, a tal riguardo, l’attuale crisi del mondo dell’istruzione può essere riletta come una rottura del dialogo tra memoria e aspettativa, un’erosione dei lunghi circuiti di individuazione necessari per ciò che Stiegler ritiene una vita piena di essere vissuta.

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Narrazioni digitali della “generazione zeta”

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