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Zona pubblica, dai 360 cm in poi È quella distanza a cui ci teniamo per sentirci a nostro agio in mezzo a una folla o gruppo di persone (Pease, 2014, p 188).

UNA RICERCA A CAVALLO DI DUE CULTURE

Area 4 Social commerce, per descrivere canali il cui utilizzo favorisce la vendita e l’acquisto online di prodotti e servizi Recensioni e valutazion

4) Zona pubblica, dai 360 cm in poi È quella distanza a cui ci teniamo per sentirci a nostro agio in mezzo a una folla o gruppo di persone (Pease, 2014, p 188).

Quando però avviene che qualcuno invade inavvertitamente lo spazio reputato personale, la maggior parte delle persone non reagisce come se venisse aggredite ma mette in atto un “mascheramento” cercando di nascondere i propri sentimenti. Infatti, si reclama fisicamente solo ciò che si ritiene di possedere e i segnali che si rilasciano sono diversi, ad esempio si toccano gli oggetti o le persone per affermare il proprio diritto di proprietà. Nel caso degli Hikikomori, probabilmente, la violenza che a volte emerge è una reazione all’invasione del proprio spazio personale o al toccare qualcosa che ritengono proprio. Soprattutto quando questa avviene da parte dei genitori che bisogna non dimenticare che inconsciamente incolpano per tutto quello che gli sta accadendo. In queste situazioni di estrema rabbia si può: lasciare lo spazio personale invaso; incurvare lievemente le spalle in modo da sembrare meno minacciosi; sminuire il proprio ruolo o categoria di appartenenza; infine, mostrare i palmi chiedendo scusa o dispiacendosi.

Come viene visto e approcciato il fenomeno dai media

5.3

Visione esterna del fenomeno che dipende maggiormente dai media tradizionali e non è realizzata da Hikikomori o presunti tali ma sono tentativi di spiegazione e racconto. Secondo questo modo di vedere, i giovani reclusi spesso appaiono come persone fuori posto rispetto alla società, quasi dei reietti che rappresentano sofferenza ed emarginazione. Sono tentativi di spiegazione e racconto ad opera di persone estranee di questo fenomeno sociale.

Non è un caso se diversi esperti del fenomeno notano che all’interno dell’opinione pubblica e dei principali mass media ci sia la tendenza a considerare questo fenomeno sociale come una malattia o una forma di dipendenza. Quindi finendo per portare a trattarli come malati, magari da evitare e isolare ulteriormente, poiché non è concepibile che una persona in buona salute voglia allontanarsi dalla famiglia e dal proprio gruppo di conoscenze.

In Giappone ad occuparsi di fornire una corretta informazione è il giornalista Masaki Ikegami, un ex Hikikomori, professionista stimato e molto conosciuto diventato l’angelo degli Hikikomori. Esso gestisce una rubrica online molto seguita che esce due volte al mese sul sito “Diamond on line” e che si occupa di informare sugli interventi del governo atti ad aiutare chi decide di isolarsi dalla società. Inoltre, a lui scrivono moltissime e-mail, sembra che tramite contatto indiretto riescano ad esprimersi facilmente. A queste non risponde immediatamente, anzi ringrazia in modo privato per essersi rivolti a lui, in modo da far sentire chi gli ha scritto libero di replicare per parlare dei loro problemi ma senza essere obbligati. Lui stesso evidenzia che è importante creare con loro una base di solida fiducia e sottolineare gli aspetti positivi degli sforzi fatti. A lui stesso fa piacere aiutarli e cercare di instaurare con loro una solida relazione per fargli realizzare i propri sogni. A riguardo va evidenziato quanto in queste situazioni egli sostenga il dialogo e non mosse improvvise, frutto di assenza di comunicazione.

La tv e programmi televisivi spesso modificano la realtà e verità a scopo di lucro, per fare audience, e alcuni credono a quello mostrato senza opporsi. Per questo molte notizie vengono esagerate o messi in evidenza solo certi aspetti truci, generalisti, e non tutta la storia che magari ha i suoi retroscena ben diversi da quelli messi in luce per far notizia.

Soprattutto nell’ultimo anno, in Italia si sta riuscendo a mettere chiarezza alla visione distorta di Hikikomori come malattia o legata esclusivamente alla dipendenza dalla rete o videogiochi. Questo grazie all’Associazione Nazionale Hikikomori Italia e molti esperti che hanno rilasciato interviste su canali di portata nazione (TG Nazionali e Regionali) e spiegazioni valide sull’argomento recentemente o in tempi non troppo lontani (su testate giornalistiche).

Anche se tutt’ora succede spesso che Marco Crepaldi, attraverso uno o più canali gestiti dall’Associazione cui fa capo, denunci artetti mediatici che ne parlano in modo non esatto. Come è successo ad esempio con un articolo appartenente alla testa “Il Giornale”, all’interno della sezione dedicata all’aiuto di

“La sindrome Hikikomori, di per sé, ha vissuto una sorta di trasmutazione semantica, passando da fenomeno misconosciuto ad

argomento di massa” (Parsi, 2017, p. 191)

“Il grande problema [...] è la misura in cui i media e i loro messaggi cambiano idee e la mentalità delle persone.”

5.3 Come viene visto e approcciato il fenomeno dai media 101

genitori in difficoltà a domande inerenti ad esempio il comportamento dei propri figli scritto da Paolo Crepet, che fornisce risposte poco idonee per trattare chi decide di autoescludersi dalla società, Di fatti, lo psichiatra che si occupa della rubrica fornisce una risposta totalmente non in linea su quello che dovrebbe essere l’atteggiamento corretto verso chi si isola. Alla madre di una figlia isolata sociale consiglia senza aver mai visitato il soggetto di adottare soluzioni drastiche, requisendogli il computer.

Diversamente dall’Italia, in Giappone si è iniziato a parlare di Hikikomori in maniera soprattutto negativa a partire dal 2000, dopo diversi fatti di cronaca nera avvenuti nel tempo e imputati a queste persone che si sono isolate dalla società.

Quindi in terra nipponica a far vedere di mal occhio questa problematica sono stati rari casi di violenza terminati con crimini atroci. Bisogna ricordare che questi crimini sono davvero rari anche se è vero che chi è Hikikomori è spesso pieno di rabbia ma non è detto che questa divenga violenza diretta a perfetti sconosciuti e nel caso succede questa è rivolta a se stessi o,purtroppo, verso i membri della propria famiglia. Quando succede che l’opinione pubblica ridossi delle colpe a un soggetto in particolare, ecco che la macchia dilaga e a prescindere dal contesto tutti, o la maggior parte, vedranno quella persona come un pericolo per la società e Hikikomori una malattia.

Così facendo si danneggia in primis la famiglia degli autoreclusi che si sente così additata e allo stesso tempo impotente. Provocando più isolamento all’interno della società nei confronti del soggetto Hikikomori e delle persone a lui legate. Questo lo sa bene una coppia che lavora ai piani alti della Nhk, radio televisione pubblica giapponese situata a Tokyo. Nello specifico Masato Kashima e la moglie Kayoko Kumada, rispettivamente: il regista che si occupa di far interviste per i

Fig 5.3 Screen della denuncia all’articolo di “Il giornale” da parte dell’Associazione

“Si faceva notare che entrambi gli autori degli ultimi due casi di cronaca erano ritirati sociali, salvo poi commentare che <<comunque i crimini commessi da giovani hikikomori sono rari>> e che <<il legame tra hikikomori e attività criminali è vago>>.”

(Caresta, 2018, p. 25)

Si parlava dei ritirati sociali come di chi è pronto a commettere un crimine da un momento all’altro perché quella

suoi programmi e girare firmati; la direttrice che progetta le puntate, ricerca su internet e organizza raccolte fondi destinate alla realizzazione dei vari progetti. Come esperti della comunicazione sanno bene quanto il mondo dei ritirati sociali sia mutevole, che per le famiglie è difficile parlarne e che difficilmente c’è speranza di ritornare a una vita sociale per chi è Hikikomori da 40 anni e più; e per questo bisogna saper trattare l’argomento al meglio soprattutto sui Mass Media tradizionali ma non solo, oggi più che mai sono necessarie misure di sicurezza anche all’interno dei New Media.

In italia non ci sono molti casi di cronaca nera collegati a Hikikomori a fomentare in negativo l’opinione pubblica; eppure accade che nei programmi televisivi vengano additati come “dipendenti da internet” o “dipendenti dai

videogames”, entrambe mezze verità poiché non sono queste a portare in Hikikomori contando che, spesso chi vi entra nemmeno utilizza internet e se lo fa è per cercare contatto, passare il tempo e rimanere aggiornato rispetto ad una realtà cui non si sente di appartenere.

Anche all’interno di riviste online e cartacee si parla spesso di autoreclusione ma ugualmente a loro interno questa può venire fraintesa, confusa con una malattia e dati consigli sbagliati su come affrontare o trattare chi inizia ad allontanarsi dalla vita sociale.

Se da un lato quindi c’è una comunicazione scorretta da parte della maggior parte dei media tradizionali, da un altro lato fortunatamente vengono organizzati da professionisti, medici e terapeuti diversi convegni e seminari che cercano di coinvolgere oltre che far conoscere il mondo Hikikomori.

Anche in Giappone vengono svolti ma oltre a questi esiste un Magazine che parla di Hikikomori e cerca di trattare al meglio l’argomento, sia sul lato informativo che preventivo. Questo fa parte della testata giornalistica “The Yomiuri

Shimbun”54 e si chiama “Hikikomori Shimbun”, tradotto vuol dire Hikikomori News

ed è realizzato da ex reclusi sociali o attuali che hanno deciso di raccontare la loro esperienza condividendola creando e pubblicando articoli scritti da loro stessi. L’editoriale è stato fondato da Naohiro Kimura, che è stato Hikikomori per ben 10 anni, e viene pubblicato ogni due mesi. Molte delle pubblicazioni possono essere lette online ma il team che si occupa dell’editoriale ha sempre scelto di stamparlo così da poter essere comprato da genitori ed essere messo in posti dove i figli possono vederlo, poiché l’obiettivo principale della rivista è quello di dar spazio alle voci delle persone che realmente hanno sofferto di reclusione sociale, così da poter offrire un aiuto concreto e poter ragionare con chi sta affrontando lo stesso problema.

“Il mondo dell’informazione, poi, per catturare lettori e audience, non fa che riproporre le tre S di Soldi, Sesso e Sangue. Basta guardare come giornali e telegiornali si accaniscono a sottolineare, anzitutto e soprattutto, morte e disperazione, guerre e violenze, stupri, femminicidi e delitti per, poi, finire nel “gossip” [...].” (Parsi, 2017, p. 33)

“Chi lavora a questo progetto lo fa perché crede che l’informazione veicolata dai mass media circa l’isolamento sociale non sia veritiera e dipinga spesso gli Hikikomori come dei soggetti pigri, incompetenti oppure violenti. L’intento è allora che siano gli stessi Hikikomori a prendere la parola attraverso la scrittura, raccontando tutto quello che ritengono essere utile per cambiare la concezione pubblica esistente sul problema e per mettere in guardia dalle possibili

103

Il magazine infatti punta ad un’analisi approfondita delle dinamiche spesso trattate approssivamente dai media come: pressione delle famiglie, bullismo, lavoro, internet con la sua importanza e molto altro. La rivista “Hikikomori News” nel caso giapponese, è fondamentale per aiutare i reclusi sociali a rapportarsi col mondo esterno. Considerato che l’opinione pubblica giapponese considera i ritirati sociali, se non malati, come dei dei Neet, Freeter o Otaku:

- Neet (Not in Employment, Education or Training), giovani viziati che rifiutano il sistema sociale non lavorando o non studiando e vivendo sulle spalle della famiglia che hanno abbandonato il senso del dovere. Amano la comunicazione, fanno uso di internet del cellulare e trascorrono la maggior parte della giornata fuori casa con persone che condividono il loro stesso stile di vita.

- Freeter (Free Arbeiter), che fanno un lavoro libero, saltuario o part-time. Non vogliono un lavoro stabile, rifiutano ruoli fissi e categorizzati in una classica azienda giapponese. Anche loro amano la comunicazione multimediale e vengono spesso aiutati economicamente dalla famiglia.

- Otaku, termine che lingua giapponese significa “la sua casa”, a indicare quelle persone rimangono rinchiuse in casa a leggere fumetti manga quasi azzerando la loro vita sociale. Non a caso i ritirati sociali vengono paragonati dai media a questi soggetti ossessionati da fumetti, anime e che a furia di aver a che fare con serie tv e videogiochi finiscono per rinunciare alla socialità. Tutte queste categorie non sono altro che espressione di disagio e ribellione alla collettività ma rispetto a chi pratica hikikomori si differenziano poiché il rifiuto di quest’ultimi è totale, evitano qualsiasi tipo di comunicazione, non vogliono relazionarsi con nessuno, abbandonano gli amici e spesso non utilizzano né internet né il cellulare e il loro ritiro li porta persino ad annientare se stessi.

In questo senso un ragazzo Neet o Freeter viene socialmente accettato poiché appartiene ad un gruppo con cui interagisce, anche se non visto di buon occhio; mentre chi entra in Hikikomori non è accettato dalla società, dato che sta da solo ed evita il gruppo.

Fig 5.4 Articolo sugli Hikikomori Italiani pubblicato sul magazine “Hikikomori News” 5.3 Come viene visto e approcciato il fenomeno dai media

Film 5.3.1

All’interno di questo capitolosi vuole indagare la comunicazione proposta da persone esterne che avviene all’interno dei principali Mass Media, a tale scopo si è deciso di proporre solo alcuni di quei prodotti filmici che trattano al loro interno la tematica delicata degli Hikikomori, della reclusione sociale e della dipendenza da internet. Attraverso un’analisi approfondita delle dinamiche presentate all’interno dei prodotti filmici, si è cercato di capire quale fosse lo scopo e obiettivo di tali artefatti comunicativi. Se vicolo di un’informazione o piuttosto strumentalizzazione di una problematica. Indagando come viene rappresentata questo tipo di problematica all’interno dei film, cortometraggi e programmi televisivi. Analizzandone le trame e soprattutto lo scopo comunicativo.

A Silent Voice (Koe No Katachi) è un film d’animazione giapponese drammatico/romantico, del 2016 diretto da Naoko Yamada, adattamento del manga “A Silent Voice” di Yoshitoki Oima. Distribuito in Italia da Nexo Digital e ora presente su Netflix, canale online usufruibile tramite abbonamento. La durata è di 130 minuti e rivolto ad un pubblico composto sia da giovani che adulti.

I protagonisti di questo cartone sono un ragazzo e una ragazza: Shoya Ishida che inizialmente è un bullo per poi diventare egli stesso bullizzato oltre che evitato dagli altri; Shoko Nishimiya invece è sorda ed è inizialmente bullizzata dal protagonista maschile. La vicenda parte alle elementari per poi protrarsi fino al liceo. Il film in pochi minuti rende partecipe il pubblico di quello che sta alla base della cultura nipponica: mostra un po’ come funzionano le istituzioni scolastiche giapponesi, il volersi sentire all’interno di un gruppo e l’atto di scusarsi o dispiacersi per ogni avvenimento. Inoltre tratta il tema dell’isolamento sociale e del panico causato dallo stare in mezzo alle persone. Infatti il protagonista maschile, dopo esser passato da bullo a bullizzato, rimane da solo e inizia a non riuscire più a stare in mezzo agli altri: non riesce più né a sentirli e né a vederli, fatto che viene evidenziato nel film dalla “X” sempre sul volto di persone a lui estranee, che non riesce nemmeno a guardare negli occhi.

L’espediente degli adesivi a forma di “X” rende perfettamente la condizione d’isolamento e cecità di Shoya, che ormai non si riconosce più da nessuna parte e si sente inadeguato oltre che in difficoltà difficoltà a stare in mezzo ad altre persone.

Altro importante tema affrontato è quello del mutamento sia della condizione del protagonista, sia degli altri personaggi all’interno del film. Proprio nel finale si comprende che oltre i due protagonisti anche gli altri hanno capito come cambiare o non poterlo fare. Alla fine si ritrovano tutti a possedere un animo diverso: più consapevoli e temprati dagli eventi. Lo stesso protagonista non è più sordo né cieco: riesce piano piano ad alzare la testa, aprire gli occhi e a liberare le mani dal coprirsi le orecchie. Ha imparato prima a parlare, poi a vedere e sentire.

TITOLO A Silent Voice (Koe No Katachi)

FORMAT Film d’animazione drammatico/romantico

LUOGO, ANNO Giappone, 2016

AUTORE Naoko Yamada

DISTRIBUITO DURATA

Nexo Digital 130 minuti

PUBBLICO Giovani e adulti

105

5.3.1 Film

Castaway On the Moon (Kim-ssi pyo-ryu-gi) è un film drammatico/ sentimentale del 2009 della Corea del Sud diretto da Lee Hae-jun. Distribuito in Italia da Tucker Film e trasmesso in Italia nel 2013 su Rai 4, canale di trasmissione pubblico. La durata è di 116 minuti ed è rivolto ad un pubblico adulto. Il film tratta tematiche importanti, tra l’ironico e il drammatico, quali: fallimento, sia economico che personale; reclusione; fragilità dell’animo.

Inizia con il tentato suicidio del protagonista maschile, Kim Seung-geun, che ridotto al lastrico vede come unica soluzione la propria dipartita ma il suo tentativo fallisce e finisce su un’isola deserta. Dopo funamboliche ed esilaranti avventure, come il provare a nuotare fino all’altra sponda realizzando di non saperlo fare, si rende conto d’essere un naufrago e che deve iniziare a sopravvivere da solo.

L’altra protagonista invece è Kim Jung-yeon, una giovane Hikikomori di cui viene presentata la giornata tipo. Gli unici mezzi che possiede con la quale rimane in contatto col mondo esterno sono: una macchina fotografica dotata di teleobiettivo ed internet. Ed è grazie alla camera fotografica che riesce a notare la scritta “help” fatta con i sassi dall’uomo sull’isola, da quel momento le loro vite si collegano, anche se lui ne è del tutto ignaro.

Infatti la protagonista che un tempo utilizzava la sua macchina fotografica per far foto alla luna e alla città, inizia ad osservare il protagonista maschile e a fargli foto che poi stampa.

Dopo due mesi passati a guardare l’uomo, la ragazzina decide di aiutarlo inviandogli un messaggio su una bottiglia, facendogli capire che c’è qualcuno che lo sta osservando, per far questo una sera compiendo un grande atto di coraggio decide di uscire di casa e combattere le proprie paure. Questa avventura l’affronta armata di casco, quasi fosse un astronauta che dalla Terra, la sua stanza, si sta dirigendo su un pianeta estraneo da esplorare, meraviglioso sotto certi aspetti. Intanto, l’uomo ritrova il messaggio nella bottiglia ma da quel punto in poi la situazione si incasina ulteriormente perché a seguito di una tempesta degli agenti di polizia si dirigono sull’isola per pulirla ma in questo modo notano l’uomo e seguono delle scene molto esilaranti in cui tutti si mettono a rincorrerlo per catturarlo. La protagonista femminile segue tutto con la sua macchina fotografica. Ormai il protagonista viene accompagnato sulla terra ferma e la ragazzina, compiendo quello che è il suo più grande atto di temerarietà, esce di casa perché vuole provare a raggiungerlo. Nel frattempo viene fatto scattare l’allarme della solita esercitazione militare che avviene due volte l’anno, una in primavera e una in autunno, e che costringe i civili a sgombrare la città per dirigersi al centro di raccolta. Sfruttando questa situazione lei arriva al pullman nella quale ha visto salire l’uomo. La scena finale è molto toccante perché finalmente i due si incontrano e capiscono che inconsapevolmente si sono salvati entrambi dai loro problemi: lei è riuscita ad uscire dalla reclusione, da Hikikomori, e lui è riuscito a ritrovare una ragione per vivere.

TITOLO Castaway On the Moon (Kim-ssi pyo-ryu-gi)

FORMAT Film drammatico/sentimentale

LUOGO, ANNO Giappone, 2019 / Italia, 2013

AUTORE Naoko Yamada

DISTRIBUITO DURATA

Italia da Tucker Film 116 minuti

PUBBLICO Principalmente adulti

Cortometraggi 5.3.2

All’interno di questo capitolo, dopo aver ricercato e analizzato diversi video brevi e cortometraggi, di cui alcuni autoprodotti e finanziati da associazioni che si occupano del fenomeno, si è deciso di portare alla luce i prodotti comunicativi più rilevanti realizzati da esterni al mondo degli Hikikomori, analizzandone le parti e capendo lo scopo della loro realizzazione se informativo o strumentale. Cercando di capire quale fosse il messaggio veicolato all’interno dei vari cortometraggi.

Happy Birthday è un breve cortometraggio di tipo drammatico/sentimentale del 2019, diretto da Lorenzo Giovenga, prodotto da One More Pictures con Rai Cinema. Disponibile sul sito RaiPlay, canale online a cui è possibile accedere previa registrazione gratuita. La durata è di circa 14 minuti ed è rivolto sia a giovani che adulti. Alla realizzazione di questo video vi hanno partecipato Jenny De Nucci, Fortunato Cerlino, Filippo Contri, Lorenzo Lazzarini e Achille Lauro. Tutti personaggi molto influenti soprattutto sui social network e seguiti da molti giovani. Nonostante non venga scritto sui titoli di coda, il regista per la realizzazione del filmato è stato aiutato da Marco Crepaldi e l’Associazione Nazionale Hikikomori Italia.

La storia parte raccontando il compleanno della protagonista, Sara, ma non è tutto perfetto come sembra. Nonostante sembra si stia festeggiando all’interno di

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