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UNA RICERCA A CAVALLO DI DUE CULTURE

4.7 Ruoli e categorie

Ai fini di ottenere una corretta analisi sul fenomeno Hikikomori, è risultato necessario indagare le maggiori differenze culturali e sociali presenti tra Italia e Giappone. Va ricordato che Hikikomori nasce, si sviluppa e si diffonde a partire dalla terra del Sol levante. Un tempo infatti era opinione comune degli specialisti e ricercatori, ritenere che le caratteristiche del ritiro sociale fossero fortemente connesse soltanto al contesto Giapponese, con le sue particolari tradizioni. Ma andando ad indagare bene tali peculiarità nazionali, sono emerse alcune caratteristiche che accomunano non solo l’Italia ma tutto il globo, seppure alcune presenti con minor vigore.

Basti pensare come il mondo dei manga e degli anime giapponesi sia diffuso in tutto il globo, infatti è frequente che ragazzi reclusi si appassionino all’universo estremamente coinvolgente e ricchissimo dell’animazione e fumetti giapponesi, che sembra avvicinarli ai coetanei del Sol Levante. È sufficiente soffermarsi alla larga diffusione in Occidente degli eventi di Cosplay34, come il Lucca Comics35 in Italia, che permettono a molti giovani di atteggiarsi e indossare i costumi dei personaggi dei loro manga, anime o videogiochi preferiti.

Per quanto riguarda invece le differenze sostanziali tra Italia e Giappone, occorre soffermarsi sulla distinzione sociologica tra i due tipi di società: una individualistica, italiana, e una collettivista, giapponese. Nel primo caso viene data più importanza al singolo individuo con i suoi interessi personali e indipendente dal gruppo di appartenenza, in tal senso la persona si impegna a mantenere relazioni interpersonali solo se queste portano a vantaggi concreti. Modo di fare che viene insegnato fin dalla tenera età, portando il bambino a soddisfare i propri bisogni oltre che perseguire i propri obiettivi a dispetto degli altri.

In Italia non è presente una categorizzazione molto forte all’interno della società. Anche se oggi si pretende sempre di più dai propri giovani affinché soddisfino gli standard richiesti, rischiando così di creare un forte squilibrio tra le abilità del soggetto e i suoi desideri.

Questa circostanza potrebbe essere un forte punto d’incontro: in entrambi i casi si convincono di non essere in grado di assolvere quelle che sono le aspettative richieste dalla società, finendo così per recludersi per sopravvivere. Gli Hikikomori giapponesi e italiani sembrano quindi accomunati da situazioni sociali e scolastiche fallimentari che favoriscono in loro la comparsa di bassa autostima, demotivazione, pensieri disfunzionali e condotte di evitamento.

Diversità tra Italia e Giappone

4.1

“Gli hikikomori giapponesi e quelli italiani sembrano allora essere legati da misteriose connessioni psicosociali [...]”

(Spiniello, Piotti, Comazzi, 2015, p. 29)

“[...] in Italia l’obiettivo che ciascun individuo si pone è quello di affermarsi sugli altri attraverso le proprie idee e di convincerli della loro validità. [...] si dà valore prima di tutto all’affermazione individuale e solo successivamente a quella sociale.” (Bagnato, 2017, p. 51)

“Nel momento in cui il giovane si sente soffocato dalle pressanti aspettative della società, poiché non è in grado di soddisfarle, potrebbe percepire [...] incertezza, insicurezza, disorientamento, spaesamento e incapacità di gestire le

4.2 Forti aspettative e vergogna 79

La struttura scolastica Italiana ha delle aspettative sociali e un criterio di selezione molto flessibile. Questa si divide in scuole pubbliche e in scuole private, è obbligatoria fino al compimento dei 18 anni ed è composta da cinque cicli:

- Scuola materna, dai 3 ai 6 anni; - Scuola primaria, dai 6 ai 11 anni; - Scuole medie, dai 11 ai 14 anni; - Scuole superiori, dai 14 fino ai 19 anni.

- Università, dai 19 fino ai 24 anni se si scelgono facoltà quinquennali. In Italia la sfida per poter essere ammessi agli istituti scolastici è quasi assente, anche l’ammissione universitaria è più semplice perché esistono atenei a cui si può accedere senza dover superare un test d’ingresso e se presenti non incidono sulla possibilità di iscriversi.

Spesso la fine delle scuole superiori coincide con la fine di un incubo e la possibilità di intraprendere un nuovo percorso lavorativo o universitario più soddisfacente; mentre per altri corrisponde ad un periodo molto confuso su quale strada intraprendere e questo potrebbe favorire l’insorgere dei meccanismi tipici dell’Hikikomori o peggio aggravare una situazione di isolamento preesistente.

Rispetto alla struttura scolastica italiana, quella giapponese è rigida ed esigente. Gli esami per le selezioni di accesso alle scuole superiori e all’Università sono molto severi. La loro preparazione è lunga ed estenuante, spesso diventa una vera e propria ossessione, tanto che spesso il mancato superamento di un esame porta a seri traumi, drammi e non è raro si verifichino suicidi quando la prova fallisce. In Giappone l’istruzione dai 6 ai 15 anni è gratuita e obbligatoria e si articola in quattro cicli:

- Scuola elementare, che si frequenta dai 6 ai 12 anni; - Scuola media inferiore, che si frequenta dai 12 ai 15 anni; - Scuola media superiore, che si frequenta dai 15 ai 18 anni; - Università, che generalmente dura quattro anni.

L’orario va dalle 8:40 del mattino fino alle 16:00 circa, con il pomeriggio genericamente dedicato alla frequenza di varie tipologie di discipline sportive ma non solo. Inoltre, a partire dalle elementari, gli studenti sono obbligati a dedicare parte del loro tempo alla manutenzione e cura degli stabili scolastici, non esistendo bidelli tocca a loro pulire le aule e gli edifici. Va detto che molti studenti, terminato l’orario scolastico, frequentano corsi in scuole private che si occupano della preparazione al superamento degli esami di ammissione agli anni successivi.

Inoltre il sistema scolastico giapponese è poco tollerante nei confronti delle trasgressioni, a cui è quasi impossibile rimediare. Queste vengono riportate nel curriculum personale e così possono influire sull’accesso a determinate scuole o università. Infatti, per ottenere un buon lavoro è necessario laurearsi presso una delle migliori università e per poterlo fare occorre studiare e superare gli esami.

“[...] da noi il momento più critico per l’insorgenza dell’Hikikomori non sembra coincidere con il post diploma, ma si concentra in particolare nei primi anni delle scuole

superiori [...].” (Crepaldi, 2019, p. 24)

“[...] la maggior parte degli studenti definisce il proprio sistema scolastico come inferno degli esami proprio perché sono sottoposti periodicamente a prove scritte [...].” (Bagnato, 2017, p. 31)

La struttura scolastica giapponese rispecchia quella sociale, quindi fin da bambini bisogna imparare a conformarsi al gruppo, alle regole, oltre che trovare il proprio posto all’interno della collettività. Ma per far questo è necessario nascondere il proprio mondo interiore e allenarsi a mantenere l’autocontrollo.

A causa di questa rigidità se non si rispettano i suoi criteri, si finisce per sentirsi colpevole ma spesso agisce anche la vergogna per non essere in grado di rientrare in un modello relazionale impostato: dalla competenza nel rapporto con i compagni, al successo scolastico fino all’ammirazione dei genitori. In aggiunta la prolungata assenza dei padri porta i genitori a confrontarsi meno tra di loro, magari non accorgendosi della solitudine dei figli, e nonostante questo a continuare ad avere forti aspettative.

Quindi un elemento che sicuramente accomuna le due culture è un sentimento di profonda e straziante vergogna, che non può essere estirpata.

A causa di quest’ultima soprattutto in Giappone, quando il ragazzo si chiude in camera e non esce la famiglia non interpella il medico e non ne fa parola con nessuno. Tendenza che proviene da una tradizione antica che consentiva alla famiglia di isolare un famigliare malato mentalmente in un ambiente della casa separato. Una stanza-prigione che tutti i Giapponesi adulti conosco bene e prende il nome di “Zashikiro”, “La stanza prigione in tatami”: una camera buia, chiusa dall’esterno, dove “il malato” veniva rinchiuso fino alla sua morte. In Occidente un’immagine simile non esiste. Solo dopo la seconda guerra mondiale la detenzione di parenti considerati malati mentalmente viene proibita e vengono attivati ospedali psichiatrici, in cui attualmente il ricovero è ammesso solo a persone cui è stata diagnosticata una malattia mentale. In quel caso il soggetto in questione può entrare in clinica senza il suo consenso ma solo previa approvazione dei suoi custodi legali.

In Giappone la camera non era chiusa a chiave perché non esistevano porte ma linee di confine permeabili stabilite dall’uso di tatami37 e pareti leggere,

scorrevoli. Attualmente va molto di moda, per chi può permetterselo, adottare camere in “stile occidentale” con letti e porte con serrature; così futon e porte scorrevoli vengono sostituiti, gli spazi finiscono per essere nettamente più separati rispetto al passato, e l’eventualità che ci si possa chiudere in Hikikomori finisce per avvantaggiarsi. Aumentando la forza del gesto di rinchiudersi in una stanza. Questo perché per loro ciò che viene utilizzato come divisorio è lo scorrevole, che

“La severità e la rigidità della scuola giapponese giocano un ruolo chiave nel ritiro in hikikomori perché un soggetto potrebbe non sentirsi in grado di soddisfare tutte le

performance richieste [...].” (Bagnato, 2017, p. 32)

“Ma in una società fondata sulla competizione economica che esige dalle persone un costante atteggiamento di attacco non è tutto così lineare; timidezza e vergogna spesso infatti si trasformano in ostacoli sociali perché generano nell’individuo conflitti e frustrazioni che lo indeboliscono e avviliscono.”

(Ricci, 2009, p. 51)

“[...] se un famigliare dava segni di squilibrio psichico, la famiglia era infatti autorizzata a segregrarlo in una camera chiusa dall’esterno dalla quale non usciva più fino alla morte [...]” (Ibidem, p. 25)

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trasforma gli ambienti in funzione dei momenti della giornata e delle necessità. Ma chiudere una porta invece è considerato un atto “sgarbato” non rispettoso delle regole sociali. Se per gli Occidentali la porta rappresenta una conquista di autonomia e delimitazione di uno spazio personale, in Giappone non possiede alcun valore positivo anzi simboleggia qualcosa di disarmonico ed eccessivo. Chiudersi diventa un atto sgarbato davanti al quale chi sta dall’altra parte non sa come comportarsi.

4.3 Significato insito nelle parole

Una delle principali differenze culturali tra Giappone e Occidente è insita nel linguaggio, poiché nella cultura giapponese anche solo le parole producono atti sociali che modificano l’individuo e il suo essere nel mondo. Come ad esempio “uchi”38, dentro, e “soto”39, fuori:

- Lo stato privato, il dentro, appartiene al “uchi”. Si sta in famiglia dove non si è mai rifiutati, dove si può provare vergogna senza essere biasimato;

- L’esterno, il fuori, appartiene al “soto”. Si è tra gli altri con cui non si ha nessun legame profondo ma con le quali per il benessere ed efficienza della società, è necessario conformarsi.

I gesti e le parole che sottolineano il valore simbolico del “dentro”, sono tanti: togliersi le scarpe ogni volta si sta per entrare in casa o un luogo d’incontro; salutare sempre prima di uscire di casa e una volta ritornati; immergersi in una vasca da bagno di legno colma d’acqua calda. tutte le sere dopo la doccia40.

A implementare la portata di questi termini è la differenza tra i due vocaboli “Ura”, ciò che è dentro, e “Omote”, cioè che è fuori:

- “Ura”, descrive il mondo ombra che non può comparire in superficie e di cui non si può parlare. Questo termine che significava “cuore” a simboleggiare l’interno.

- “Omote”, è ciò che viene mostrato, quello di cui si può parlare. Letteralmente questa parola voleva dire “faccia” a indicare la superficie esterna.

Come se queste due parole volessero sottolineare la duplice natura degli eventi e dell’essere umano, entrambi fatti sia di ombra che di luce, di silenzio e di parole, di intimo e di pubblico. Rappresentano quindi i due stati dell’essere: due modi differenti ma complementari di porsi verso la vita e i suoi avvenimenti.

Il giovane Hikikomori sembrerebbe aver perso questo equilibrio, non riuscendo ad adattare la sua vita fra questa ambiguità: tra quello che si deve mostrare e quello che non si deve mostrare. L’unica cosa che gli rimane è il non fare, rinchiudendosi, aspettando succeda qualcosa che gli permetta di vivere in equilibrio.

Una parola che apre un mondo di comprensione, verso il due binomi sopracitati, è “himitsu” che sta per “segreto” e sottintende verso qualcosa che non può essere svelato se non in un contesto amichevole e consono a un certo parlare. Infatti, nessuno parla apertamente di ciò che a che fare con la propria interiorità. Anche per questo le persone non sono invogliate a indagare quello che succede agli Hikikomori, poiché è un mondo considerato nascosto e inviolabile che non può essere rivelato.

“Questa dicotomia dentro-fuori che sottintende la distinzione fra “dentro/pulito - fuori/sporco”, e fra “dentro/sicuro - fuori/pericoloso” è in stretta relazione al luogo scelto per la pratica di Hikikomori che sarà sempre soltanto “uchi/dentro” e

non potrebbe essere diversamente.” (Ricci, 2008, p. 45)

Nel caso specifico degli Hikikomori un altro dei termini importanti da indagare è quello di “kokoronoyami”, ossia “Buio del Cuore”:

- La parola Cuore conduce a significati nascosti poiché per i Giapponesi questo rappresenta il luogo del vero;

- La parola Buio identifica la chiusura emotiva dominata dall’ansia che fa isolare nella propria stanza e spalanca le porte al dolore.

In questo caso il “Buio del Cuore”, è inteso quasi fosse un ombra che accomuna tutte le storie personali, narrazioni e racconti degli Hikikomori che ne subiscono l’influsso oscuro. A volte può trattarsi di un’angoscia evidente che finisce per trasformarsi in malattia. Spesso può assumere la forma di un male oscuro e silenzioso che consuma lentamente senza manifestazioni lampanti.

È anche comune nella lingua giapponese utilizzare la parola “Mi dispiace” come forma di ringraziamento anziché “grazie”; questo perché la lingua giapponese richiede l’uso di una serie vastissima di formule di cortesia la cui trasgressione implica maleducazione o un’errata identificazione del rapporto col proprio interlocutore. Cosa che Italia invece non avviene basti pensare che dispiacersi e ringraziare sono considerate due ben distinte.

La vita quotidiana Giapponese è permeata da parole come “Mi scusi” o “Mi perdoni”. Perché solo attraverso questo atto di scuse, si può ripristinare equilibrio e armonia soprattutto dopo aver infranto regole morali o sociali.

“[...] un giapponese ascoltando il vostro pensiero non vi contraddirà anche se non è d’accordo o mostrerà sempre un profondo senso di gentilezza anche quando non vede l’ora di tornarsene a casa [...]”

(Ricci, 2008, p. 44)

“[...] c’è infatti un flusso di Ki fra terra e cielo che penetra negli organi del corpo umano e non solo: gli animali, le piante, i minerali e anche la terra hanno i loro Ki, tutta la natura ha il suo ki.[...] tutto ciò che ha a che fare con la percezione del sé e dell’intero universo ha un forte legame

con il Ki, l’energia vitale.” (Ibidem, 2009, p. 41)

Il termine Ki41 deriva dal cinese, dal Taoismo, ma nelle varie espressioni

idiomatiche giapponesi questo termine ha una stretta relazione con l’emozione, il comportamento o temperamento, pertanto è collegato alla sfera delle emozioni, della coscienza e della volontà. Senza di esso non succede niente. Viene considerato come un qualcosa di fluido che entra nel corpo e vi esce perché circola nello spazio cosmico, in modo continuo.

Esso è il responsabile dello stato di salute dei Giapponesi, tanto che se nel mondo si chiede per sapere lo stato di salute di qualcuno “Come va? Come stai?”, loro invece chiedono “Com’è la tua energia cosmica originale” oppure “Hai recuperato

la tua energia cosmica originale?”. Il Ki in questo mondo prende il posto del soggetto,

poiché alle suddette domande risponderanno sempre “Il mio chi è/era…”. Quindi sempre secondo questa concezione è il Ki che non si sente bene o è depresso, quasi agisse come qualcosa di esterno indipendente dalla volontà individuale.

Non è difficile comprendere come stati d’animo negativi vengono considerati parti inevitabili della vita umana. Questo spiega la volontà giapponese di armonizzarsi con il tutto, contrariamente alla tendenza occidentale a rafforzare

Vita permeata dal Ki

4.4

83

4.5 Lo spirito del Bushido

Fig 4.1 Illustrazione dal titolo “Guerriero senza guerra” dell’artista Losing You - LY

il proprio sé individuale distaccandosi dall’universo. Lo scorrere della vita ruota attorno al Ki e nei dizionari di lingua giapponese ci sono centinaia di espressioni in cui esso è la parola chiave; inoltre se usato in coppia con un altro ideogramma i significati assume circa 60 ulteriori significati.

Uno dei modi di dire, più importanti, collegato ad esso è “Kuuki wo yomu”42, tradotto letteralmente significa “leggere l’aria”. Nel senso di capire quando è bene parlare e quando no, quando un discorso rischia di ferire qualcuno o di insultare qualcun altro, quando è il caso di esprimersi su un argomento e quando è bene piuttosto ritirarsi. Quando la sincerità è troppa ed è giusto sorvolare. Chi pratica Hikikomori non riesce a porsi con gli altri ed affrontare le situazioni: “Non legge l’aria”. Non fa le cose secondo il loro flusso naturale, adattandosi alle regole. L’armonia sociale infatti si basa sull’essere riservati, non far vedere come ci si sente per non creare disarmonia e chi si ritira dalla società esce da questa concezione non riuscendo a far parte del ritmo della società contemporanea.

Uno dei motivi principali della nascita in Giappone di questo fenomeno è il tipo di “cultura spirituale” fortemente legata al Buddismo e all’ideale etico del Bushido, cioè l’Etica del Guerriero o la strada del Guerriero, che aveva lo scopo di preparare il samurai43 al suo destino di morte in battaglia o per suicidio. Quest’ultimi non

sono stati solo una classe di potere, erano dei guerrieri che hanno creato regole etiche senza scriverle, solo attraverso l’azione e il comportamento. Sotto l’influsso del Confucianesimo, è finita per trasformarsi in etica dello studio e del sapere. L’addestramento militare è stato così sostituito con l’ampliamento dei propri saperi, della fedeltà, della saggezza, di un forte senso del dovere e dello spirito del sacrificio oltre che con qualità quali sobrietà, modestia e semplicità.

La realtà del Buddismo invece si manifesta attraverso la rinuncia e la rassegnazione. Importanti quindi in questo tipo di cultura sono: idealismo, spirito di sacrificio e rinuncia.

A riassumere simbolicamente i significati della Strategia del Guerriero, oltre che i suoi vessilli, nei confronto della vita sono gli elementi naturali quali: vento, bosco, fuoco, montagna. Infatti un Samurai è:

- Veloce e improvviso come il vento e come il vento nessuno lo può fermare; - Calmo e impenetrabile come un bosco e qualsiasi cosa accada dentro di lui, come un bosco saprà offrire protezione;

- Si infiamma come il fuoco, e come il fuoco di un vulcano, nessuno sarà capace di spegnere;

- Stabile come le montagne e, come una forte roccia niente e nessuno lo potrà scalfire (Ricci, 2009, p. 48).

Oggi purtroppo succede che chi si chiude in Hikikomori, perda il suo fragile equilibrio e come un Samurai poco abile a cavallo, cade a terra con il suo vessillo, così che per lui la Strada del Guerriero si sia cancellata. Anche per questo vengono visti come persone deboli che non hanno il coraggio di vivere e né di morire. Rinuncia a compiere azioni anche fosse l’ultima, quella per eccellenza dei Samurai: la morte. Anche se per quest’ultimi il suicidio è visto come un atto di sacrificio a favore del proprio gruppo e rappresenta un valore importante.

I moderni Samurai sono oggi i Salaryman44 che con la loro 24 ore al

posto della spada sono pronti a combattere per meglio sostenere il loro ruolo. La maggior parte di loro non ha un ufficio personale ma lavorano in spazi comuni, dove trascorrono un numero infinito di ore.

La Sakura è il Fiore di Ciliegio, ed assieme a moltissime altre fioriture è portatrice di significati profondi, ma essa in particolare incarna splendidamente lo Spirito del Bushido: metafora perfetta del senso effimero della vita e della morte. Quasi a sottolineare il binomio: vita meravigliosa/morte meravigliosa.

L’utilizzo dell’immagine della sakura è stata utilizzata ampiamente durante la seconda guerra mondiale come riferimento al sacrificio dei soldati. Uno dei detti e modi di fare più famosi nipponici, che si può ricollegare allo spirito di sacrificio e all’ideale etico del Samurai oltre che all’atteggiamento classico Giapponese di non far nulla e ignorare questo tipo di avvenimenti, è “Shoganai” oppure “Shikata Ga Nai”45: “non ci si può far niente, non c’è niente da fare”. Forse, in quest’unica frase,

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