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Non è un ritiro di tipo spirituale ma una decisione presa per sfuggire dal proprio malessere personale causato dal contesto sociale o altre

G. I Generation, età 95+, nati tra 1901 e 1924 Considerata “la generazione d

3) Non è un ritiro di tipo spirituale ma una decisione presa per sfuggire dal proprio malessere personale causato dal contesto sociale o altre

problematiche.

In Italia per la prima volta si parla di questa disfunzione sociopatica nel 2008 quando presso il Minotauro18, durante una riunione informale si è accorti che

il problema degli Hikikomori era presente anche all’interno del nostro paese.

Fig 3.4 Frame dal video “Hikikomori Loveless” realizzato da RT Documentary

“In cameretta gli eremiti sembrano isolati tra quattro mura, ma in realtà lo schermo del PC è una finestra che li mette in contatto con milioni di utenti anche di diversi Paesi [...].”

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3.1.2 Il significato del termine Hikikomori

Di fatti molti esperti psicologi e terapisti hanno conosciuto questa dinamica di ritiro sociale soltanto da pochi anni. Fino al 2008 alcuni casi misteriosi e inspiegabili venivano inclusi all’interno di altri quadri clinici anche se ne differivano in maniera evidente: non presentavano i tratti tipici del pensiero psicotico come deliro, fenomeni allucinatori, ecc.

Inizialmente era opinione comune che si trattasse solo di un disturbo le cui peculiarità fossero connesse strettamente al contesto sociale e culturale Giapponese e non derivante da altri fattori esterni, peculiari di una specifica persona. Fortunatamente a partire da quell’anno si è potuta riscontrare l’effettiva presenza del fenomeno sul territorio italiano, seppur rimane difficile una quantificazione precisa. Dopo il 2008 e l’accettazione della presenza di Hikikomori in Italia, i casi sono diventati sempre più numerosi e provenienti da più parti del paese, dal Nord fino al Sud.

Nel 2019 a livello mondiale non esiste una definizione ufficiale ed esaustiva. Marco Crepaldi nel suo libro “Hikikomori: I giovani che non escono di casa”, mettendo insieme tutto ciò scritto e detto sull’argomento fino ad ora, prova a proporre una definizione del fenomeno, favorendone una che si avvicina di più al concetto di disagio sociale, indice di una chiara difficoltà di adattarsi all’ambiente circostante o affrontare determinate situazioni.

Il termine “pulsione”, utilizzato nella citazione, sottointende il graduale processo di allontanamento dalla società, il cui atto di chiudersi nella propria stanza è l’ultima fase e la più estrema. Di fatti Hikikomori non è solo quel soggetto che non esce mai di casa, può esserlo anche chi: esce a fatica, in stato di disagio e sofferenza; chi lo fa solo per consuetudine e obbligo; chi esce ma non socializza, rimanendo isolato anche all’interno di un contesto sociale. Ma non tutti coloro che si isolano lo sono.

“[...] una decina di colleghi hanno riferito di almeno una dozzina di casi che per molti aspetti, se non integralmente, rispondevano alle caratteristiche richieste per definire la discesa in hikikomori: ritiro sociale da almeno sei mesi, fobia scolare precedente, talvolta internet addiction con

inversione del ritmo circadiano” (Piotti, p. 10)

“L’Hikikomori può essere allora interpretato come una pulsione all’isolamento fisico, continuativa nel tempo, che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate.” (Crepaldi, 2019, p. 10)

Hikikomori: Dal disagio sociale alla patologia

3.2

La reclusione sociale volontaria è una scelta, consapevole o inconsapevole, sicuramente dolorosa e istintiva che porta a fuggire da pressioni interne, di causa molteplice tra malessere e disagio, che determinati soggetti non sono in grado di sostenere. Secondo diversi esperti i giovani Hikikomori si isolano dalla società per segregarsi nel proprio immaginario in un contesto narcisistico fragile. Viene meno l’interesse per le persone e il mondo; non si riescono a costruire relazioni interpersonali e si presenta un egocentrismo dominano da sentimenti negativi, come vergogna o paura del giudizio altrui. Spesso i soggetti che ne soffrono sono giovani maschi, anche se la percentuale femminile è in aumento.

Tendono a invertire il ritmo giorno-notte, ad addormentarsi al mattino dopo ore trascorse a guardare la TV, a leggere, a giocare al computer o a chattare on line. Succede però che, man mano, il soggetto scivoli lentamente verso il vuoto tra esistenza e negazione.

La maggior parte vengono sopraffatti dalla paura di deludere le aspettative della famiglia. Chi entra in questo stato non conosce un linguaggio per definire la sua sofferenza e per non pensarci adotta qualsiasi tecnica per distogliersi da qualsiasi riflessione. Mediamente si tratta di ragazzi molto intelligenti, che leggono molto ma la cui immagine che hanno del mondo è molto dura. Alla base rimane il rifiuto a partecipare ad una società strutturata, che li vede come rifiuti sociali.

Le famiglie spesso non sanno a chi rivolgersi oppure sperano che il figlio possa uscire spontaneamente o non vogliono attirare l’attenzione su di loro. Non ne parlano perché gli altri potrebbero non capire, così si genera un circolo di incomprensione e pressione fra i giovani hikikomori con la famiglia e quest’ultima coi parenti, visto che per tutti rappresenta un fatto nuovo e sconosciuto.

Questo soprattutto avviene a causa della mancanza di un riconoscimento sociale del problema e poiché da sempre hanno un modo completamente diverso di considerare il malessere psichico. Diventa così complesso gestire individualmente il problema e si finisce per accettare passivamente la situazione. Infatti, la famiglia non possiede nessuno strumento autonomo per gestire il fenomeno che soprattutto all’inizio rimane confuso e incomprensibile, quindi può accadere che il clima familiare diventi pervaso da una rabbia perenne: il padre la mostra allontanandosi sempre di più; la madre la sfoggia disperandosi e proteggendo il figlio dal padre. In questo modo la famiglia si frantuma.

Si tratta di un fenomeno comportamentale che spesso può sottintendere situazioni differenti con quadri clinici ben diversi. Attualmente gli Hikikomori si dividono in 3 tipi in base alla pulsione all’isolamento sociale e, poiché questo è un processo in continua evoluzione, spesso questi corrispondono ai 3 stadi che contraddistinguono la gravità:

1) Quasi isolamento sociale: continua a frequentare la scuola ma in modo saltuario e se spinto ad uscire allora lo fa ma mai di sua iniziativa. Corrisponde alla prima fase nella quale il soggetto comincia inconsciamente a isolarsi ma continua a mantenere alcune attività sociali. Atteggiamenti tipici di

“Gli Hikikomori si isolano per fuggire dalla sofferenza che provoca loro la socialità e all’interno della propria abitazione riescono a ritrovare, seppur momentaneamente, quell’equilibrio che invece non sono stati in grado di

raggiungere nella società esterna.” (Crepaldi, 2019, p. 5)

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questo stadio sono: rifiuto saltuario di recarsi a scuola o lavoro; progressivo abbandono di attività che richiedono di relazionarsi con altri e preferire quelle solitarie legate a nuove tecnologie come videogames o video; graduale inversione ritmo dormiveglia.

2) Semi isolamento sociale: l’istituzione scolastica è stata abbandonata ed escono di casa solo se accompagnati dai genitori. Corrisponde alla seconda fase nella quale il soggetto si rende conto in modo cosciente della sua pulsione all’isolamento: abbandona scuola o lavoro; rifiuta di uscire con gli amici; si limita a contatti sociali virtuali tramite chat, forum e giochi online. In questo stadio si può assistere all’aumento di atteggiamenti aggressivi, fisici o verbali, causati dalla sensazione di aver perso il pieno controllo sulla propria vita. 3) Totale isolamento sociale: stanno sempre chiusi in camera, senza uscire e non utilizzando alcun mezzo comunicativo, stando in uno stato di isolamento silenzioso. oppure rimanendo in contatto col mondo esterno solo utilizzando il virtuale. Corrisponde alla terza fase, quella più grave, nella quale il soggetto cede totalmente alla pulsione ad isolarsi dalla società: si allontana completamente dalla famiglia e dalle relazioni sviluppate online. Se già erano presenti nella seconda fase, in questa, aumentano i pensieri suicidi e istinti autolesionistici. Durante questo stadio lo stato di malessere si intensifica e si rischia di sviluppare psicopatologie varie.

Quando cominciano il ritiro, tutti loro, sono accomunati dal desiderio di interrompere i rapporti col mondo reale, anche se col tempo molti vorrebbero ripristinare certe comunicazioni fallendo. Nel caso degli Hikikomori in ritiro parziale, assenti da scuola ma che continuano a mantenere una vita sociale seppure molto ridotta con la tendenza all’isolamento, il crescente numero di assenze sono imputabili alla crescita di uno stato emotivo di vergogna sociale e timore dell’altrui giudizio. Mentre per quanto riguarda il totale isolamento, in cui il malessere emotivo risulta più acuto e grave, i soggetti arrivano solo a pensare di togliersi la vita ma quasi mai arrivano a farlo.

Secondo una pubblicazione del 2014, dalla sociologa francese Maïa Fansten e dei suoi colleghi, alla base della reclusione possono essere prese in considerazione ben quattro motivazioni e secondo quelle provare a classificare Hikikomori:

1) Ritiro alternativo: in cui il soggetto non accetta la società contemporanea e decide di isolarsi per non adeguarsi. Quasi fosse una ribellione silenziosa nei confronti delle dinamiche tipiche del sistema sociale moderno.

2) Ritiro reazionale: in cui l’isolamento è frutto di una difficoltà ad adattarsi ai contesti sociali, soprattutto quelli scolastici e familiari che provocano forti reazioni emotive come ansia, stress e vergogna. In tal senso la reclusione sembra essere una reazione sintomatica a contesti sfavorevoli che contribuiscono ad aggravare la tendenza preesistente ad isolarsi.

3) Ritiro dimissionario: in cui ritirarsi viene considerato un modo per fuggire dalle pressioni sociali e aspettative altrui. Abbandonando la competizione sociale si evita così il giudizio e sguardo altrui.

4) Ritiro a crisalide: in cui la chiusura sembra essere causata dalla paura di crescere e diventare autonomi. L’isolamento rappresenta un’evasione a quelle che sono le responsabilità dell’età adulta. Non si ritiene abbastanza competente e cerca quindi di evitarle, aggirando e ignorando il problema.

3.2 Hikikomori: Dal disagio sociale alla patologia

“In ogni caso, si tratta di una classificazione più utile da un punto di vista teorico che pratico, importante soprattutto in quanto rafforza l’idea che si tratti di un fenomeno multifattoriale ed estremamente eterogeneo. Generalizzare quando si parla di Hikikomori è sempre molto complesso e andrebbe fatto con cautela.”

Queste tipologie possono essere interpretate in modo flessibile, poiché può accadere che nella scelta, conscia o inconscia, queste motivazioni possono anche coesistere. Bisogna quindi considerare questo disagio sociale come causato da molteplici cause, che può avere diversi livelli di gravità e fasi.

In generale i sentimenti che li accomunano sono vari ma i principali sembrano risalire a diversi stati emozionali:

- Pressione eccessiva che si sentono addosso;

- Timore di fallire e deludere le aspettative, proprie e degli altri; - Forte senso di vergogna e di non esser abbastanza:

- Ribellione implicita nei confronti della società e categorie.

Se da un lato c’è chi si reclude utilizzando in modo eccessivo la Rete e sviluppando dipendenze a questa associate, dall’altro c’è chi pratica un ritiro totale senza usare internet e il computer o mezzi affini. Alcuni soggetti a rischio lo sono anche senza essere utilizzatori massivi della Rete. Inoltre, va precisato che molti di loro non conosco neanche la causa del ritiro, neppure conclusa la terapia.

Il vivere o non vivere di un ritirato sociale coinvolge tutti. Entrando in Hikikomori un figlio distrugge non solo la propria vita ma anche quella di tutti gli altri, soprattutto dei genitori. Venirne fuori da soli è quasi impossibile, c’è bisogno di un aiuto esterno e questo deve partire in primis da chi è vicino al soggetto e spesso rimangono solo i genitori, visto che a causa dell’isolamento chiunque viene allontanato soprattutto amici, compagni o colleghi. Infatti, non si tratta solo di ragazzi esistono inoltre due gruppi:

- Adolescenti che iniziano abbandonando la scuola;

- Adulti che avvertono problemi e disagi sul lavoro finendo per ritirarsi. In entrambi i casi il ritiro sembrerebbe un’aggravante o un’aggiunta di altre problematiche di natura differente. In tal senso assume i connotati di una scelta profonda nei confronti di eventi traumatici oppure tappe fondamentali durante il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta. Nella maggior parte dei casi ha inizio nell’età adolescenziale e si presenta con la volontà di non andare più in determinati luoghi, ad esempio smettendo di frequentare la scuola per poi finire a intaccare tutta la rete sociale cui si faceva parte. La crisi diventa così chiusura e ritiro nella propria stanza non solo come comportamento ma come attitudine. Rappresentano una modalità peculiare di soffrire della nostra realtà odierna, quasi fosse una soluzione rispetto alle difficoltà incontrate durante il percorso di crescita adolescenziale. Ai genitori o alle persone vicine spetta il compito di intervenire cercando aiuto esterno, così che il recupero e uscire dalla propria stanza sia fattibile in tempi più rapidi, evitando una reclusione totalizzante che rischia di protrarsi per mesi se non anni.

“Chi soffre della sindrome da ritiro sociale da più di un anno ha una probabilità di venirne fuori da solo pari a zero.”

(Caresta, 2018, p. 51)

“Non si chiudono perché sono arrabbiati col mondo e vogliono ribellarsi - almeno la maggioranza non lo fa per questo - essi, al contrario, vorrebbero essere nella società come tutti gli altri, vorrebbero assolutamente essere attivi, avere il loro posto sociale, fare la strada che i genitori si aspettano da loro, ma non ci riescono, qualcosa improvvisamente si inceppa, succede un fatto oppure non succede apparentemente niente, ma qualcosa, dentro, si spezza.”

Come stilla di comprensione iniziale si può affermare che ciascun essere umano compone la propria vita, emozioni e sentimenti, in modo tutto suo perché plasmato dalla propria cultura fatta anche di esperienze vissute e passato indelebile. Nonostante la reclusione provochi all’interno della famiglia un dolore comune, le cause o i motivi che lo alimentano non sono uguali, per ciascun individuo le ragioni sono diverse e varie. Questo anche perché ogni individuo esperisce in maniera unica sia il presente che passato attraverso pensieri o azioni prettamente personali, come del resto ad essere singolare è il suo cervello.

I principali comportamenti che si possono notare in una persona che inizia a isolarsi che sono stati notati, da molti esperti e in diversi casi, sono i seguenti:

- Avere alti livelli di ansia, legati a diverse cose anche le più banali;

- Valutare sotto forma di pensieri disfunzionali eventi e persone, con propensione alla catastrofizzazione o svalutazione;

- Possedere bassa autostima o tendenza a sminuire il proprio valore e se stessi; - Vedere ogni fallimento come tendenzialmente causato da se stesso, principalmente pretendendo troppo dalle proprie capacità.

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Va evidenziato che secondo gli specialisti alcuni ritiri possono essere:

- Reattivi, riferiti a un evento traumatico specifico, come lutto o abbandono; - Transitori, finalizzati a governare e modificare difficoltà presenti all’interno di contesti sociali, come quello scolastico;

- Secondari, in cui il ritiro è rivelazione di altre problematiche, come depressione, disturbi alimentari o esordi psicotici.

In definitiva, Hikikomori è un problema che riguarda tutto il mondo che sembra destinato a crescere ed espandersi ulteriormente. Infatti, in Italia gli Hikikomori sono in allarmante aumento e questo fenomeno rispecchia tutte le persone rimaste intrappolate da una realtà cui non si sentono più partecipi. Le culture differenti, sistemi sociali e unicità caratteriali plasmano le diverse forme di autoreclusione ma il contenuto rimane simile.

Per chi decide di isolarsi dalla società accedere al mondo virtuale diventa come un rifugio, in cui si entra in un’altra realtà, composta da una serie differente di interazione con le persone: magari alcuni abituali frequentatori della rete ma altri con la stessa dipendenza al medesimo universo digitale. Man mano che questi scompaiono dalla scena sociale, se non tagliano completamente fuori il mondo esterno, arrivano a sviluppare una relazione particolarmente intensa con computer, internet, videogiochi e realtà virtuale. Diventando i strumenti in grado di offrire supporto per relazionarsi con altri al di fuori delle mura e contesto familiare. Inoltre, è da sottolineare quanto la tendenza dei giovani di oggi sia quella di far sentire la propria voce all’interno del Web e questo non esula i ritirati a far diventare questa modalità, quella principale con cui esprimersi. Ma rimane far risaltare che l’associazione non è automatica fra utilizzo eccessivo di Internet, strumenti ad esso correlati e ritiro sociale acuto. Sicuramente non bisogna aspettare che la situazione diventi ingestibile per chiedere una mano, infatti, esistono in Italia associazioni e centri all’interno della quale sono presenti medici specializzati e terapeuiti che si occupano di fornire aiuto.

3.2 Hikikomori: Dal disagio sociale alla patologia

Le molteplici cause e quello che comportano 3.2.1

“Interagire col mondo non è mai un fatto neutro, anzi è soprattutto un fatto emotivo. Le cose non sono semplicemente guardabili o toccabili, ma sono pericoli o opportunità. Il mondo è un luogo fatto di attrazioni e di repulsioni” (Falcinelli, 2011, p. 121)

Tutti questi elementi sopraelencati sembrano creare una sorta di circolo vizioso, da cui poi è difficile uscire. Il ritiro sembrerebbe essere generato, secondo diversi esperti, dalla formulazione continua di pensieri di tipo disfunzionale, quali: eccessive pretese su se stessi; generalizzare che ogni tipo di azione porterà ad un risultato negativo e successivo stato di angoscia; svalutare continuamente se stessi pensando d’essere incapace nel fare qualsivoglia cosa.

In generale tutti gli Hikikomori sembrano seguire un percorso particolare che col corso del tempo sfocia nell’autoreclusione, in cui varie e molteplici cause portano alla medesima conclusione:

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