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Ritiro sociale in cui gioca online instaurando rapporti con coetanei e persone all’interno della rete (Caresta, 2018, p 75).

G. I Generation, età 95+, nati tra 1901 e 1924 Considerata “la generazione d

3) Ritiro sociale in cui gioca online instaurando rapporti con coetanei e persone all’interno della rete (Caresta, 2018, p 75).

Quindi se da un lato sono presenti soggetti che sono restii anche solo a collegarsi ad internet, dall’altro il fatto che molti di loro giochino a videogiochi può offrire un ottimo metodo terapeutico per potersi affacciare al mondo dei reclusi sociali. Lo stesso avatar può dare una mano a chi vuole aiutarli, perché questo essendo

3.2.2 Patologie associate

“Molti ragazzi sono dediti a costruire la propria immagine corporea virtuale con un’attenzione che appare esagerata agli occhi di un adulto; scelgono proprio quelle caratteristiche che possono rendere pieno di fascino il loro personaggio.”

una rappresentazione creata dagli adolescenti può rappresentare delle loro caratteristiche peculiari.

Tralasciando la dipendenza, si verificano anche casi di regressione infantile con un ritorno ad uno stato infantile, cercando sempre la presenza della madre che a sua volta favorisce la prosecuzione di questo atteggiamento, non impedendo un’emancipazione vera e propria. La stessa figura materna vorrebbe trasformarlo in un individuo perfetto, socialmente adeguato e competente, senza dover patire esperienze dolorose o negative. Così facendo però finisce per proteggerlo troppo e non permettere al figlio di superare momenti di sconfitta e dolore. Contando che l’adolescenza è attraversata da momenti di confronto e sfida con gli altri, che servono non solamente alla crescita fisica ma anche a quella emotiva.

Va evidenziato che non è solo la madre ma anche il figlio che decide di dipendere ancora da essa, malgrado l’età e il tempo che impongono di affrontare il processo di individualizzazione e separazione dai genitori. Succede anche che se il genitore si oppone ai suoi desideri, così come capita ai bambini, anche loro reagiscano con classiche reazioni capricciose. Il soggetto ritirato sembrerebbe rimandare quello che molti coetanei tentano già di fare, così da posticipare il problema della separazione. Ma quando accade che il figlio capisce che per lui è arrivato il momento di prendere atto del rapporto di attaccamento che lo ha accompagnato negli anni: si innesca nel ragazzo una lotta per l’indipendenza cercando di espellere chiunque anche la madre dai confini, provando ad emanciparsi. Fa quello che fanno i coetanei, iniziando una guerra per l’indipendenza e la casa materna diventa il luogo di una guerra. La sola stanza o “cameretta” personale rimane “neutrale”, dove per entrare occorre procurarsi le chiavi.

Spesso questo tipo di tendenza sfocia in violenza domestica che va oltre l’urlo ad alta voce, sbattere contro le pareti e rompere oggetti, tramutandosi in vera e propria violenza fisica del figlio nei confronti dei genitori. Soprattutto con quella materna, che si occupa quasi totalmente del figlio portandogli cibo e informandosi sui bisogni fisici. È colei che vede il corpo e smaschera l’identità virtuale costruita dal figlio. La sua comparsa infrange l’immaginario del ragazzo, come fosse un brusco richiamo alla vita reale. Attraverso questa violenza Hikikomori esprime il suo risentimento e attribuisce ai genitori la colpa dello stato da cui non riesce ad uscire.

Molte volte questi attacchi violenti sono una reazione a un comportamento considerato scorretto nei loro confronti da parte dei genitori, come quando: tolgono il pc, vari device tecnologici, staccano internet o costringono a far qualcosa che non si sentono di fare come andare a scuola, dal medico o uscire di casa.

Si possono verificare anche malattie legate ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, come anoressia23 o bulimia24. Spesso come per Hikikomori

“Gli Hikikomori vogliono sentirsi autonomi e indipendenti, ma, nello stesso tempo, cercano continuamente la presenza della madre che, a sua volta non scoraggiando questo atteggiamento determina una dipendenza cronica e disfunzionale.”

(Bagnato, 2017, p. 29)

“In Hikikomori, a volte - circa il 46% dei casi - è presente anche un desiderio di morte e una pianificazione del suicidio; in realtà anche se esiste il progetto, il suicidio non viene quasi mai realizzato: il ragazzo in hikikomori vuole vivere,

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non esiste una causa generatrice di questi comportamenti autodistruttivi ma magari piccoli avvenimenti che creano ossessioni, modificando la visione della realtà. Nel caso femminile, si tratta di ragazze che inizialmente desiderano rientrare negli standard di bellezza sociali, riuscendo ad avere un corpo sottile e risultando quindi più carina e perfetta agli occhi degli altri. Quando una bambina diventa adolescente prevede strategie per adattare e migliorare il proprio corpo, fra cui quelle inerenti l’alimentazione, così da non poter essere giudicate da apparire in carne o lontane da certi canoni. Se per i maschi l’uso di internet diventa una palestra per allenarsi virtualmente ad essere forti e virili; per le ragazze il ritiro si esplicita in un altro modo che spesso coincide con la comparsa di specifiche condotte alimentari.

Hikikomori e disturbi alimentari sono fatti complementari perché il rifiuto del cibo in coloro che lo praticano, e ancora di più nelle anoressiche, racchiude diverse implicazioni: non si sente riconoscente e degno di poter mangiare il cibo preparato oppure non importa più sopravvivere, la vita ha perso valore e se c’è del cibo da mangiare è solo grazie ad una persona che se ne occupa. Questa figura per la maggior parte dei casi è quella materna, che percepisce il figlio come ancora una parte di sé da alimentare e far rimanere in forze. Ma il digiuno anch’esso spesso è un atto di silenziosa protesta, che deriva dalla rabbia che si prova verso la propria situazione e condizione familiare oppure scolastica o lavorativa. Indipendentemente dal tipo di reclusione o sostegno alimentare, i soggetti Hikikomori finiscono per non sentire stimoli di fame e mangiano pochissimo, forse anche a causa del poco movimento che fanno.

Molto comune è la depressione25, spesso antecedente alla chiusura, che

blocca chi ne soffre in uno stato di tristezza e angoscia totale, facendogli vivere un’esistenza conflittuale tra un sentirsi intimidito e combattuto interiormente da pensieri negativi.

In Hikikomori l’iniziale sentimento di sollievo può mutare col tempo in sentimenti depressivi collegati al timore di non riuscire ad uscire dalla situazione in cui si sono andati a cacciare. Successivamente durante la fase del ritiro possono sembrare depressi, dormendo moltissimo, apparendo annoiati e apatici, risultando pessimisti e senza speranza. L’apparire depressi è probabilmente causato dal loro apparire tristi e al loro essere fragili, oltre che molto sensibili. Non esiste nessuna malinconia o depressione senza la solitudine. Quest’ultima può essere provocata come conseguenza o a causa di una depressione ed essere accompagnata da elementi interiori come la fragilità, il dolore e la sofferenza. Il sentimento di malinconia è presente in ognuno di noi come parte fondamentale dell’esistenza ma nonostante la si viva, sta a ciascuno la capacità di superarla.

Può anche accadere che il soggetto possa soffrire di alexithymia26, non riuscendo ad esprimere le proprie emozioni. Quasi come se gli stati d’animo diventassero qualcosa da evitare e rappresentino un pericolo, soprattutto quelli legati all’amore o al sesso, che diventano quasi totalmente tabù.

Bisogna considerare anche l’apatia27, intesa abituale o prolungata perdita

d’interesse e indifferenza nei confronti della realtà esterna. Questa si distingue dalla depressione poiché non include necessariamente ansia e repentini cambi d’umore. Solitamente una persona apatica è qualcuno che non mostra emozioni e perde l’interesse nel svolgere attività di qualsiasi tipo.

Fra tutte queste patologie che si possono presentare a seguito della reclusione,

3.2.2 Patologie associate

“Ogni depressione, ogni malinconia, [...] si accompagna dal desiderio, e alla disperata ricerca, della solitudine: [...] che distacca dal mondo della distrazione e della routine, e che induce a riflettere sulle mete della nostra interiorità: della

o essere insite nel soggetto precedentemente, c’è anche un forte interesse per il mondo immaginario che va a ricoprire il forte interesse nei loro confronti di social online, giochi virtuali, l’universo di anime e manga. Aderire a modelli immaginari evita di venire in contatto col mondo reale ma permette di relazionarsi con altre persone virtualmente. Le esperienze, seppure non vere, risultano essere fortemente coinvolgenti e consentono di far maturare emozioni in vie secondarie rispetto a quelle tradizionali. Si finisce così per trascorrere l’adolescenza online e crescere, senza sopperire a gravi mancanze emotive o affettive. A mancare in questo caso è solamente il corpo, utilizzando l’immaginazione si può far tutto, rinunciando all’uso concreto della fisicità.

Ecco perché finiscono per dipendere dalla rete o videogames, questi preservano la loro autostima: trovano uno spazio immaginario in cui simbolizzare le caratteristiche standard del genere maschile o femminile. Gli stessi giochi di combattimento e guerra servono a simulare un’identità virile o sensuale, creando visioni di sé alternative. Si arriva a generare una situazione in cui il corpo immaginario, forte e sontuoso, contrasta quello reale, magari fragile e goffo.

Pertanto succede che il soggetto Hikikomori si abbandoni senza incontrare ostacoli al mondo delle sue fantasie, rimanendo così diviso tra un’identità potente e una fragile, indipendenti l’una dall’altra. Fino a quando queste si mantengono separate i soggetti non entrano in crisi ma quando accade che vengono smascherati o l’identità virtuale annullata, ecco che compaiono i problemi derivati come: attacchi di panico, crisi infantili, comportamenti di rifiuto, pianti isterici, ecc.

A connettere tutti questi disagi e patologie un sentimento specifico che è quello della solitudine, fortemente legata al contesto digitale e all’utilizzo dei dispositivi tecnologici. Ben analizzata nel libro “La solitudine dell’anima” di Eugenio Borgna, famoso psichiatra e docente italiano. Nel suo testo fa una distinzione netta tra quella che è una solitudine interiore e una dolorosa: la prima dell’anima o creatrice che porta a riflessione e meditazione; la seconda è negativa o di isolamento che conduce a malattia e perdita delle relazioni.

Non è facile distinguerle se presenti, anche se si tratta di persone familiari e che si conoscono perfettamente perché è facile oscurarla sotto a varie maschere. Apparentemente ci si allontana dagli altri e dal mondo, con conseguente

Fig 3.1 Frame dal video animato “The Social Media Generation” di Marc Maron

“C’è una solitudine che, come stato dell’anima, nasce, e rinasce, in noi di giorno in giorno, di ora in ora, sgorgando dalle

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dissolvenza delle relazioni, arrivando ad essere davvero soli o a sentirsi soli indipendentemente dal contesto che sia deserto o folla.

Per analizzare la solitudine è necessaria l’introspezione, analizzando interiormente cosa accade quando si affrontano determinate esperienze durante il corso della vita. Questa si distingue dall’isolamento poiché con questo ci si chiude in se stessi, allontanandosi dal mondo, mente stare in solitudine vuol dire che qualcosa da dire lo si ha ma si preferisce tacere. Bisogna distinguere se la condizione di isolamento è causata da malattia, come la depressione, o conflitti personali che non hanno a che fare con sofferenza psichica ma con emozioni interiori che impediscono di affrontare certe situazioni. La solitudine permette di comunicare nel silenzio ed è la base fondamentale in ogni relazione, ad esempio in chi ascolta qualcuno non solo mentre parla ma nei gesti e azioni. Il tempo interiore si modifica diventando immobile e i momenti che dividono la vita umana vengono considerati in un altro modo, non è più l’orologio che scandisce le ore.

Anche l’angoscia e la paura sono strutture fondamentali dell’esistenza che si presentano nel corso di grandi svolte e in ogni età della vita: non esiste storia personale che non sia segnata da manifestazioni di tutte queste emozioni. In età adolescenziale le paure sono accompagnate da inquietudini e insicurezza che si possono accentuare o diminuire in ambienti scolastici o familiari, soprattutto se non sono presenti dialogo e ascolto queste crescono.

Secondo il professore Eugenio Borgna l’amore, inteso come voler bene a una persona, unito a una buona riflessione sui motivi del dolore e della sofferenza possono abbattere le mura che separano dagli altri da cui da soli non si riesce più ad uscire. La psichiatria, assieme a una buona dose di filosofia, permette di comprendere le emozioni: i loro contenuti e i modi in cui si esprimono. Importante è richiamarsi sempre al linguaggio delle metafore come strutture altamente comunicative perché permettono di cogliere i princìpi delle emozioni e l’area sconfinata dell’interiorità. Le emozioni si possono arginare ma non spegnere o cancellare: prima o poi emergeranno o causeranno gravi problemi se non affiorano. Le ragioni e le forme collegate alla paura, al dolore e alla sofferenza, possono essere molteplici ma la risposta varia da persona a persona, ad esempio questa in Hikikomori porta ad un comune ripiegamento su se stessi, fuga dagli altri e in un isolamento sociale, caratterizzato dalla chiusura in casa. Scuole e famiglie sono coinvolte in maniera eguale in questa situazione.

Essenziale rimane non stancarsi mai di ascoltare nel silenzio, analizzare e interpretare le emozioni che esso trasmette, perché è la comunicazione essenziale in quegli adolescenti reclusi che si sono staccati dal mondo esterno. Analizzare le emozioni e riconoscere le sorgenti può essere un passo fondamentale per immedesimarsi in quello che vive una persona e fornirgli un aiuto concreto. Anche se non sembra, chi si isola dal mondo in Hikikomori è probabilmente solo alla ricerca di un’altra emozione esistenziale: la felicità. Questa non può essere

3.2.2 Patologie associate

“E, nell’isolamento, si diviene estranei a se stessi e agli altri: non si riconoscono più i nostri volti, e nemmeno quelli degli altri, finendo con l’essere, in qualche modo, stranieri non

solo in patria ma in famiglia.” (Ibidem, p. 37)

“Il dolore dell’anima è una esperienza che fa parte della vita, insomma, e che non può essere considerata come esclusiva conseguenza di una patologia. Il dolore dell’anima è anche sorgente di riflessione e di interiorizzazione degli

raggiunta aspirando a mete effimere quali successo o fama ma cercando le fonti di una vera felicità adatta alla propria persona che va quindi oltre gli “standard”. Ma quando la solitudine diventa totalizzante in isolamento negativo o isolamento, arrivando ad essere infelici, si finisce per non desiderare niente, tra cui nemmeno la felicità, e perciò si resta chiusi nella propria solitudine senza speranze.

Per concludere il discorso riguardo la solitudine Eugenio Borgna, egli afferma che non ci sono confini sulla riflessione riguardo la solitudine e le sue metamorfosi, è una tematica vasta e problematica che fa parte della vita ma non può essere negata nei suoi significati profondi. Questa può anche essere un tentativo di trovare un rimedio a qualche cosa, bisogna indagare nelle profondità interiori della persona e capire le esperienze e aspirazioni.

Dopo aver affrontato tutte queste problematiche, che possono presentarsi o insorgere in Hikikomori, è bene ribadire che non si tratta di ragazzi malati, o almeno inizialmente, ma solo di persone che hanno bisogno di più aiuto per riuscire a sopravvivere nel mondo reale rispetto ad altre. Per lo più si tratta di ragazzi intrappolati dai loro troppi timori, non si tratta di adolescenti viziati ma fragili, che dopo aver vissuto determinate situazioni, si isolano dal mondo con sbarre apparentemente infrangibili che li separano dagli altri.

Spesso è possibile risalire al percorso e alle cause che hanno portato alla reclusione, anche se molte altre volte no poiché il ragazzo non le riconosce più soprattutto se sono passati anni. Un intervento tempestivo con efficace aiuto terapeutico potrebbe produrre esiti inaspettati risolvendo magari la crisi. Anche se tutto questo risulta molto difficile. In moltissimi casi la teoria viene spazzata via e a contare è l’empatia che permette di andare oltre il visibile composto di parole, silenzi ed espressioni. Perché a risultare importante non è dare un nome ai suoi disagi ma piuttosto diventa indispensabile, sostenere, dare supporto, aiutare e soprattutto saper ascoltare anche i silenzi. La premessa ad ogni cura è da collocare all’interno di una buona base empatica che va dall’ascolto fino alla ricerca delle cause che hanno portato a determinate problematiche o comportamenti.

“Il discorso sulle solitudini, sulle diverse figure della solitudine come struttura portante della vita, e come struttura originaria dalla quale sgorgano diverse solitudini non può non farsi doloroso e straziante quando, [...] si confronta con

la malattia [...]” (Borgna, p. 121)

“[...] non ci sembra cauto affrontare il fenomeno del ritiro adolescenziale utilizzando con forza i parametri della psicopatologia. Essi ci appaiono eccessivamente vincolanti e [...] fuorvianti. Dopo diversi anni di lavoro con i ragazzi ritirati, ci sentiamo oggi più sicuri nel rispondere al primo

quesito: no, non si tratta di ragazzi malati.” (Spiniello,

Piotti, Comazzi, 2015, p. 211)

“Conoscere [...] gli stati d’animo, le emozioni, le speranze e i timori, non è una cosa facile, e non è una cosa semplice, ma è una cosa possibile se si è capaci di ascoltare e di stabilire una relazione che ci metta in contatto con gli altri in una disposizione d’animo aperta e spontanea.”

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3.2.3 Racconti e testimonianze scritte di casi clinici di Hikikomori

Racconti e testimonianze di casi connessi all’abuso dei new media 3.2.3

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“[...] un ragazzo particolarmente intelligente, anche se di carattere chiuso e perennemente nervoso amava studiare ma l’andare a scuola lo metteva in crisi. Nonostante non avesse subito atti di bullismo, sembrava bloccato da una sempre maggiore apatia scolastica [...] non usciva più dalla stanza e non voleva comunicare con nessuno, la sua reclusione era totale: senza tv, senza telefono, senza internet. [...] puntuali incontri settimanali, che durarono dieci lunghi anni, per complessive 500 ore circa di terapia, alcune delle quali passate davanti alla porta nella speranza di ricevere un cenno di contatto. [...] la posizione che assunse la madre fu determinante [...] perché poteva seguire i ritmi del suo paziente senza forzature, senza parole e atti sbagliati [...] trascorse i primi tre anni in totale segregazione in camera, [...] prima che uscisse da lì e percorresse con il suo terapeuta, in uno stato di totale angoscia, quindici metri fuori dalla porta di casa. Secondo la metafora [...] di sentirsi, rispetto alla sua vita come un funambolo che deve attraversare una valle in equilibrio su una corda. [...] esisteva un filo rosso che teneva uniti terapeuta e paziente e che non si era mai spezzato: era la musica. [...] furono molti i brani che segnarono importanti tappe nel percorso emotivo [...] la forma di espressione preferita non era il parlare bensì l’ascoltare. Era attraverso l’atto dell’ascolto che emergevano le emozioni, esperite in un forte coinvolgimento emotivo per alcune melodie e in maggiore indifferenza per altre. [...] fu l’ascolto di “Nessun Dorma” cantata dal Maestro Pavarotti. Esso rappresentò un vero atto creativo [...] fu la pura essenza della gioia, ciò che suppongo lui provò.” (Ibidem, pp. 103-106)

“[...] senza dare spiegazioni, da lì non è più uscito. Alla moglie [...] dalla porta chiusa [...] rispose che stava bene ma restava lì e non aveva nient’altro da dire. [...] Gli unici messaggi consistevano nel consumare i pasti sul vassoio che [...] la moglie gli sistemava davanti alla porta. [...] Poi un giorno silenziosamente si è suicidato; è stata proprio la cena non consumata a rivelarlo; [...]. Ha lasciato solo un biglietto con su scritto: <<Quest’anno la sakura dev’essere meravigliosa come sempre.>>” (Ricci, 2009, p. 57)

Carla Ricci, nata a Forlì nel 1952, è un antropologa e ricercatrice all’Università di Tokyo, pioniera e massima esperta mondiale sul fenomeno degli Hikikomori. Contattata nel corso degli anni per rilasciare innumerevoli interviste riguardo quanto ha studiato e potuto osservare con i suoi occhi. Il suo percorso di ricerca prende il nome di Antropologia del Sé e ha lo scopo di far luce su quel “Buio

del Cuore” che invade coloro che si ritirano dalla società, chiudendosi nelle loro stanze. Grazie alle sue due opere “Hikikomori: Adolescenti in volontaria reclusione” pubblicato nel 2008 e “Hikikomori: Narrazioni da una porta chiusa” del 2009, è riuscita a far emergere molti casi di giovani Hikikomori italiani, modificando l’opinione comune che tale fenomeno fosse solo straniero.

Affronta la problematica della volontaria reclusione presentando, raccontando, analizzando un insieme di storie personali. Risulta particolarmente interessata alle relazioni interne alla famiglia, ad esempio come avviene la comunicazione tra madri e figli in cui il padre resta un’assenza sullo sfondo. Indaga la volontà di opporsi alla società e alle sue norme. Attraverso le sue opere vuole guidare il lettore ad interpretare quella sensazione di vuoto, legata alla mutevolezza dell’animo umano, stimolando una riflessione sulla società di oggi spesso caratterizzata da disarmonia, dramma e depressione. I motivi che portano all’auto-reclusione sono vari e di diversa natura, spesso sono traumi

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