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Lorenzo Gai – Federica Ielasi*

1.2. Il bail-in: profilo normativo

La direttiva BRRD ha istituito un quadro completo di strumenti per il risana- mento e la risoluzione delle aziende bancarie in crisi, volto a perseguire i seguenti obiettivi (European Parliament and European Council, 2014 a; 2014 b; Visco I., 2015):

- armonizzazione a livello europeo delle modalità di mitigazione e soluzione dei dissesti bancari;

- contrazione del rischio di instabilità del sistema finanziario nel suo complesso, Consiglio. La direttiva istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Il quadro regolamentare europeo in materia si completa con le linee guida emanate dalla Commissione europea sul tema degli aiuti di Stato al settore bancario, in vigore dal 1° agosto 2013.

3 In attuazione della BRRD, il Testo Unico Bancario è stato modificato per a) introdurre la disci-

plina dei piani di risanamento, del sostegno finanziario infragruppo, delle misure di intervento pre- coce, allineando l’amministrazione straordinaria delle banche alla disciplina europea; b) modificare la disciplina della liquidazione coatta amministrativa per adeguarla al nuovo quadro normativo previsto dalla BRRD e apportare alcune innovazioni alla luce della prassi applicativa.

mediante una gestione pronta e ordinata delle crisi, finalizzata a garantire la continuità dell’attività bancaria;

- forte limitazione del ricorso all’intervento pubblico e ad azioni che amplifichi- no gli effetti e i costi sociali degli squilibri delle aziende bancarie.

Al fine di raggiungere tali obiettivi, la nuova normativa ha introdotto (Querci F., 2014; European Commission, 2015; Presti G., 2015):

- strumenti di prevenzione, per risolvere crisi solo potenziali;

- strumenti di intervento precoce, per gestire i primi segnali di instabilità; - strumenti di risoluzione delle crisi, al manifestarsi del dissesto vero e proprio.

In particolare, le procedure di risoluzione prevedono che le Autorità preposte 4

godano di una serie di poteri, al fine di “traghettare” la banca in dissesto fuori dalla crisi. Le autorità di risoluzione elaborano quindi piani di ristrutturazione volti a definire le strategie e le azioni fondamentali necessarie per raggiungere la migliore resolvability della banca, ossia la ricostruzione di un assetto di governo e di un pa- trimonio idoneo al mantenimento della continuità aziendale, evitando interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali e ripristinando le condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca (Mayes D.G., 2014; Gai L., 2017).

Tra le misure di risoluzione che gli organi preposti possono attivare, cumulativa-

mente o alternativamente, sono inclusi 5:

- il trasferimento di tutto o parte del business bancario in dissesto ad un altro

intermediario finanziario 6. In questo caso le attività e le passività della banca

sono scambiate contro un corrispettivo, che il terzo potrà corrispondere ai titolari delle azioni o partecipazioni oppure all’ente sottoposto a risoluzione; - il trasferimento temporaneo delle attività e delle passività ad un “ente ponte”,

il quale avrà il compito di proseguire le funzioni bancarie essenziali, nell’ottica

di una successiva vendita della banca 7. L’ente-ponte viene quindi costitui-

to con una funzione meramente strumentale di gestione di beni e rapporti giuridici e di mantenimento della continuità delle funzioni essenziali prece- dentemente svolte dall’ente sottoposto a risoluzione, al fine di consentire la successiva collocazione sul mercato dell’azienda bancaria. L’ente-ponte assolve quindi alla funzione di separare e distinguere l’originario ente sottoposto a risoluzione dal soggetto da cedere poi a terzi;

4 Single Resolution Board e singole Banche Centrali Nazionali. 5 Art. 39 d.lgs. n.180/2015.

6 L’art. 40 d.lgs. n.180/2015 prevede “La cessione, in una o più soluzioni, a un soggetto terzo,

diverso da un ente-ponte o da una società veicolo per la gestione delle attività, ha ad oggetto: a) tutte le azioni o le altre partecipazioni emesse da un ente sottoposto a risoluzione, o parte di esse; b) tutti i diritti, le attività o le passività, anche individuabili in blocco, di un ente sottoposto a risoluzione, o parte di essi”.

- il trasferimento delle attività deteriorate della banca ad un veicolo di gestione (“bad-bank”), che ne gestirà la successiva cessione o liquidazione. A differenza dell’ente-ponte, la sua funzione è massimizzare il valore dei beni e dei rapporti

giuridici ad esso ceduti 8. Tale cessione è disposta solo congiuntamente con il

trasferimento della banca ad un terzo, con la costituzione di un ente-ponte o

con l’attivazione della procedura di bail-in 9;

- l’applicazione del bail-in, che consiste nella ricapitalizzazione della banca in crisi mediante il coinvolgimento nelle perdite di alcune classi di creditori della stessa. Tale strumento può essere applicato nei casi in cui le Autorità di ri- soluzione ritengano che l’assorbimento delle perdite costituisca una misura

sufficiente per il risanamento della banca 10. Sulla base di tale valutazione,

l’importo del bail-in deve essere tale da consentire almeno per un anno il rispetto dei requisiti prudenziali sui fondi propri della banca ed idoneo a ri- stabilire sul mercato una fiducia adeguata nei confronti dell’ente sottoposto a

risoluzione 11. A quest’ultima misura è dedicata l’analisi successiva.

Il bail-in risulta riconducibile al concetto di salvataggio interno, in quanto preve- de che le perdite maturate dall’intermediario sottoposto a risoluzione siano coperte dai soggetti privati che hanno investito nel capitale della banca, diventandone azio- nisti, o hanno crediti nei confronti della stessa, in qualità di obbligazionisti o grandi depositanti. Tale strumento, contrapposto al bail-out che prevede invece aiuti esterni da parte dello Stato, consente di ridurre le interrelazioni tra crisi bancarie e crisi so-

vrane (Klimek P. et al., 2015; Halaj G. et al, 2016) 12.

Lo strumento del bail-in è entrato in vigore in Italia il 1° gennaio 2016, rappre- sentando un nuovo meccanismo di soluzione delle crisi, alternativo sia rispetto a quelli previsti dal Testo Unico Bancario (amministrazione straordinaria e liquidazio- ne coatta amministrativa), sia rispetto al fallimento e a qualsiasi altro procedimento

di amministrazione giudiziale o di commissariamento 13.

8 Artt. 45-46 d.lgs. n.180/2015.

9 Art. 39, secondo comma, d.lgs. n.180/2015. 10 Art. 48, primo comma, d.lgs. n.180/2015. 11 Art. 51, primo comma, d.lgs. n.180/2015.

12 Nel caso in cui una banca non si trovi in situazione di insolvenza, il regolamento SRM prevede

comunque la possibilità di concedere aiuti pubblici straordinari, in caso di rischio per la stabilità finanziaria e nel rispetto della normativa sugli aiuti di Stato. Al verificarsi di particolari condizioni, la normativa consente infatti la concessione di aiuti pubblici, nella forma di garanzie per accedere alle linee di liquidità di una banca centrale o per l’emissione di nuovo debito, nonché nella forma di fondi pubblici finalizzati ad una vera e propria ricapitalizzazione, per far fronte alle necessità (capital

shortfall) individuate in seguito a prove di stress o a procedure di revisione della qualità degli attivi

bancari (Asset Quality Review).

13 Nella disciplina nazionale pre-vigente, la crisi bancaria veniva affrontata principalmente con due

strumenti disciplinati dal Testo Unico Bancario, ossia l’amministrazione straordinaria e la liquida- zione coatta amministrativa. L’eventuale salvataggio della banca avveniva prevalentemente attraverso

Il bail-in può essere applicato solo al verificarsi delle condizioni di risoluzione. Tra queste occorre in primo luogo includere il dissesto o il rischio di dissesto della banca, riconducibile a un deterioramento del patrimonio oppure ad irregolarità dell’ammini-

strazione 14. Esso si differenzia quindi dal concetto più generico di crisi o da quello di

insolvenza, che prevedono una condizione particolarmente grave. In presenza di uno stato di dissesto l’Autorità di risoluzione deve valutare se attivare le tradizionali proce- dure previste dal Testo Unico Bancario o dalla legge fallimentare o se avviare la proce- dura di risoluzione (Donato L. e Grasso R., 2014; Eliasson E. et al, 2014; Gordon J. N. and Ring W.G., 2014; Chennells L. and Wingfield V., 2015; Chari V.V. and Kehoe P.J., 2016). Il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa, così come gli altri strumenti per la gestione delle crisi, rimangono quindi in vigore quali procedure alter- native alla risoluzione (Perrino M., 2005; Peroni G., 2012; Banca d’Italia, 2015 b)). Anche in caso di attivazione di un procedimento di risoluzione, come nelle ipote- si di applicazione di altre procedure concorsuali, viene completamente

ristrutturata la governance aziendale 15: i commissari assumono la rappresentanza

legale, i poteri dell’assemblea e dell’organo di amministrazione e controllo e attuano le misure ne- cessarie per il conseguimento degli obiettivi disposti nei piani di risoluzione.

All’interno di tali misure, in particolare, la procedura di bail-in implica interventi sul patrimonio dell’ente, mediante l’immediata distribuzione della perdita tra gli azionisti e i creditori della banca, secondo criteri concorsuali. A tal fine, le autorità di risoluzione possono disporre la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti per assorbire le perdite, nonché la conversione di obbligazioni in azioni per ricapita- lizzare la banca in misura sufficiente a ripristinare un’adeguata patrimonializzazione e a mantenere la fiducia del mercato (Banca d’Italia, 2015 a; Halaj G. et al., 2016).

Il bail-in, in altri termini, è lo strumento che consente l’esercizio, da parte dell’au- torità di risoluzione, dei poteri di svalutazione (wipeout e writedown) e di

conversio- ne delle passività dell’ente soggetto a risoluzione 16.

L’attivazione del bail-in prevede che agli azionisti e ai creditori della banca venga richiesto un contributo pari almeno all’8% del passivo della banca in crisi, prima di poter attivare ulteriori meccanismi di intervento, tra cui in primo luogo il Fondo Unico di Risoluzione delle banche in crisi, costituito mediante versamenti annuali processi di acquisizione e assorbimento dell’azienda in crisi da parte di altre banche, anche mediante l’erogazione di aiuti pubblici. Tuttavia, già la normativa in vigore fino alla fine del 2015, con il «bur- den sharing» prevedeva che in caso di dissesto di una banca fossero le azioni e obbligazioni subordinate a sanare le perdite con la rispettiva riduzione del valore nominale e conversione in capitale, prima di un eventuale coinvolgimento di fondi pubblici. Il bail-in prevede tuttavia che anche altri creditori, quali gli obbligazionisti ordinari e i grandi depositanti, possano essere chiamati ad intervenire per il salvataggio delle banche prima del ricorso ad altre forme di aiuto esterne.

14 Art. 17, d.lgs. n. 180/2015.

15 Art. 37 primo comma d.lgs. n.180/2015. 16 Art. 2 BRRD.

degli intermediari finanziariassoggettati alla normativa in esame 17. Qualora il capi-

tale e il debito subordinato della banca sottoposta a risoluzione risultino superiori all’8% del totale passivo, il Fondo Unico di Risoluzione potrà essere attivato solo dopo aver assoggettato per intero a bail-in tali strumenti finanziari. Il Fondo, poi, potrà intervenire per coprire il fabbisogno di capitale della banca con una contribu- zione che non potrà eccedere il 5% del relativo passivo totale (Laviola et al., 2015; Gai L., 2017).

La procedura di risoluzione provoca quindi la liquidazione delle passività della banca e non delle attività come nelle tradizionali procedure fallimentari. Tale liqui- dazione, tuttavia, prevede un meccanismo di funzionamento simile a queste ultime, in quanto si realizza con la distribuzione delle perdite secondo un criterio concor- suale 18.

In altri termini, così come nelle altre procedure concorsuali, anche il bail-in pre- vede che le misure della riduzione e della conversione delle passività della banca vengano applicate sulla base di un preciso ordinamento delle diverse posizioni (ge- rarchia bail-in). La distribuzione delle perdite avviene infatti in modo sequenziale sui titoli e sui crediti appartenenti a diverse categorie, tenuto conto delle relative

clausole di subordinazione 19.

Inoltre, durante l’applicazione del bail-in, l’Autorità di risoluzione dovrà assicu- rarsi che nessun creditore subisca perdite superiori a quelle che avrebbe registrato se la banca fosse stata liquidata con procedura ordinaria di insolvenza nel momento in cui è stata accertata la sussistenza dei presupposti per l’avvio della risoluzione (prin- cipio del «no creditor worse off than in insolvency»).

Sono in ogni caso completamente escluse dalle procedure di risoluzione interna le diverse forme di deposito nominativo (conto corrente di corrispondenza, libretto

di deposito, certificato di deposito…) di importo fino a centomila euro 20, le passi-

vità garantite (quali i covered bond), le passività della banca derivanti dalla deten- zione di beni della clientela (quali le cassette di sicurezza) o in virtù di una relazione fiduciaria; le passività interbancarie e/o derivanti dai sistemi di pagamento; i debiti

17 Tale fondo è costituito dai versamenti annuali a carico di tutte le banche incluse nell’ambito di

applicazione del regolamento SRM. Alla fine del previsto periodo transitorio, tale fondo disporrà di una consistenza pari all’1% dei depositi protetti dai sistemi di garanzia (Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, 2016).

18 Per la natura dell’attività bancaria e le esigenze di stabilità del mercato, la distruzione di valore

che può discendere dalla liquidazione del patrimonio è superiore all’utilità che può derivare ai credi- tori dal riparto del ricavato, il cui ammontare potrebbe risultare del tutto esiguo (o essere pressoché assente) e comunque essere distribuito con le modalità e con i tempi non brevi della liquidazione concorsuale. La procedura di risoluzione invece interviene sulle passività e ne determina la riduzione nella misura necessaria per assicurare la continuazione dell’attività bancaria.

19 Art. 52, secondo comma, d.lgs. n. 180/2015.

20 Tali strumenti sono tutelati dai fondi interbancari di garanzia dei depositi istituiti dai singoli

verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali a condizione che questi siano privilegiati dalla normativa fallimentare. Possono inoltre essere escluse ulteriori e diverse passività, al fine di preservare la continuità dell’ente sottoposto a risoluzione

ed evitare il contagio o gravi ricadute sull’economia e la stabilità finanziaria 21.

Per tutti i creditori non esclusi, l’ordinamento gerarchico previsto dalla norma- tiva impone l’applicazione delle misure di risoluzione prima di tutto sui fondi pro-

pri 22 della banca, suddivisi nelle diverse componenti definite dalla regolamentazione

prudenziale di vigilanza.

La procedura del bail-in, quindi, colpisce in ordine successivo 23:

- il capitale primario di classe 1 (Common Equity Tier 1 Capital, CET 1). Esso include: azioni ordinarie emesse dalla banca che soddisfano determinati requi- siti; sovrapprezzi di emissione delle azioni ordinarie; utili non distribuiti; altre riserve palesi di utile iscritte in bilancio; azioni ordinarie emesse da sussidiarie consolidate che soddisfano i criteri per l’inclusione nel CET1;

- il capitale aggiuntivo di classe 1 (Additional Tier 1 Capital, AT1), composto da alcune categorie di preference share (purchè non cumulative, non postergate e prive di privilegio sul valore di recupero in liquidazione) e il cosiddetto capi- tale contingente, ossia titoli di debito perpetui, convertibili obbligatoriamente in azioni a partire da una certa data, o su imposizione della autorità di vigilan- za o comunque quando il rapporto tra CET1 e attivo ponderato per il rischio scende al di sotto di una soglia fissata dalla regolamentazione. Sono strumenti di qualità peggiore del CET1, ma migliore di quelli appartenenti alla classe successiva. Nel contesto italiano, tale componente del capitale spesso include le azioni di risparmio e i sovrapprezzi di emissione sulle stesse;

- il capitale di classe 2 (Tier 2, T2), all’interno del quale sono inclusi i debiti subordinati a media-lunga scadenza (non meno di 5 anni) e gli strumenti del cosiddetto capitale contingente con basso trigger, ossia convertibili obbligato- riamente in azioni ad una soglia dei coefficienti di solvibilità minore di quella prevista per gli strumenti inclusi nell’AT1.

21 Art. 49, secondo comma, d.lgs. n. 180/2015. Le autorità di risoluzione possono escludere, inte-

gralmente o parzialmente, in specifiche circostanze, alcune categorie di passività, quando ad esempio non sia possibile applicare il bail-in in tempi ragionevoli, o qualora quando questo vada a coinvolgere categorie di investitori che si intende tutelare per la salvaguardia della stabilità del sistema. La Com- missione europea è chiamata ad adottare atti delegati volti a specificare le circostanze che giustificano le esenzioni dall’applicazione del bail-in.

22 Così come definiti dalla legislazione europea sui requisiti di capitale ed in particolare dall’ar-

ticolo 4, paragrafo 1, punto 118), del regolamento (Ue) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento. Tale normativa (regolamento CRR), insieme alla Direttiva 2013/36/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio europeo del 26 giugno 2013 (Direttiva CRD IV), ha introdotto nell’ordina- mento comunitario l’ultima versione dell’Accordo di Basilea (cosiddetta Basilea 3).

Come è possibile evincere dalla descrizione delle diverse classi di capitale, parti- colari tipologie di titoli obbligazionari, in virtù di clausole contrattuali o di norme regolamentari, possono rientrare nel calcolo dei fondi propri della banca. Si tratta infatti di strumenti ibridi, ossia obbligazioni che oltre a presentare alcuni connotati tipici dei titoli di debito, sono caratterizzati anche da un più o meno elevato “equity

content”, ossia da clausole tipiche dei titoli azionari. I possessori di tali strumenti

hanno quindi accettato di rischiare, in determinate condizioni, di non recuperare anche per intero il loro investimento (pur in assenza di fallimento o liquidazione della banca), compartecipando al rischio di impresa. Si tratta di obbligazioni junior o subordinate che, in caso di attivazione della procedura di bail-in, interverranno per prime, dopo le azioni, nella copertura delle perdite. La seniority di questi titoli è infatti inferiore rispetto a quella delle obbligazioni ordinarie, quindi più elevata risulta la loro qualità ai fini della copertura delle perdite. A titolo di esempio, tali titoli possono presentare una scadenza protratta (fino ad arrivare a titoli ibridi irre- dimibili), un’elevata flessibilità nella remunerazione (a discrezione dell’emittente, o differibile obbligatoriamente se ciò è richiesto dalle autorità di vigilanza), l’obbligo di conversione in azioni al verificarsi di condizioni predeterminate (trigger events).

La disciplina del bail-in, comunque, prevede che la copertura delle perdite della banca possa avvenire non solo attraverso i fondi propri, ma anche assoggettando alle perdite, pro-quota e progressivamente, altre passività della banca, secondo il seguente ordine:

- altri debiti subordinati non ammessi al computo del Tier 2, per mancanza di idonei requisiti;

- le passività non garantite (obbligazioni senior), i depositi interbancari la cui scadenza originaria risulta superiore a sette giorni, le passività derivanti dalla partecipazione a sistemi di pagamento con una durata residua superiore a sette giorni, i depositi delle grandi imprese che eccedono il livello di copertura del Fondo di garanzia dei depositi (100.000 euro) e le passività in derivati; - i depositi delle piccole e medie imprese e delle persone fisiche superiori al

livello di copertura del Fondo di garanzia dei depositi.

Obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare gli elementi che il titolare di una delle suddette passività, non incluse nei fondi propri della banca, dovrebbe verificare per comprendere il rischio bail-in assunto con l’acquisto e la detenzione della stessa.

Al pari di ogni rischio, la valutazione prevede due fasi distinte: la prima consiste nella misurazione della probabilità attesa di manifestazione dell’evento bail-in; la seconda nella valutazione dell’impatto che può generarsi da tale evento, ossia della potenziale severità delle perdite.

Il rischio complessivo per il creditore della banca può quindi essere così misurato:

Rischio bail-in = Probabilità dell’evento bail-in * Perdita al manifestarsi del bail-in

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