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risparmio accantonato in depositi sicuri e investito in strumenti finanzia ri comportanti un diverso grado di rischio

Esauriti, senza successo, i ricorsi interni, il risparmiatore potrebbe agire davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per lamentare la violazione del diritto di proprietà; il ricorso sarebbe ammissibile ratione materie. Alla Corte sono giunti negli anni passati non pochi ricorsi avverso misure statali che incidevano sulla disponibi- lità dei risparmi detenuti in conti correnti bancari o sull’entità dei risparmi investiti in strumenti finanziari (azioni o obbligazioni) nei quali i ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 1 del I Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei dirit-

ti dell’uomo 11. Esso, come noto, tutela il diritto di proprietà ammettendo comun-

que limitazioni se giustificate da causa di pubblica utilità e nei termini previsti dalla

legge e dai principi generali del diritto internazionale 12. La Corte ha generalmente

per primi le perdite, mentre gli altri creditori dell’ente sostengono le perdite dopo gli azionisti, secondo l’ordine di priorità delle loro pretese stabilito con procedura ordinaria di insolvenza come regolata dal diritto fallimentare nazionale. Inoltre, come già detto, i titolari di depositi superiori ai 100.000 sono coinvolti nel salvataggio solo per l’importo eccedente la suddetta cifra. Inoltre l’art. 44, par. 3, lett. c), prevede che le autorità di risoluzione possono, in circostanze eccezionali, escludere, integralmente o parzialmente, l’applicazione della regola del bail-in nei confronti dei depositi ammissibili detenuti da persone fisiche e da micro, piccole e medie imprese. Va però ricordato che tale possibilità è subordi- nata al fatto che tale esclusione sia strettamente necessaria per evitare di provocare un ampio contagio che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari, in modo da determinare una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro o dell’Unione. Inoltre, ai sensi del medesimo articolo (par. 12), la Commissione può, qualora l’esclusione richieda un contributo del meccanismo di finanziamento della risoluzione o di una fonte di finanziamento alternativa, vietare o chiedere di modificare l’esclusione proposta al fine di preservare l’integrità del mercato interno.

10 Ma si v. anche L. GAI-F. IELASI, Il rischio bail-in per correntisti e obbligazionisti delle

banche italiane, in questo Volume.

11 Cfr., in generale, S. Bartole, P. De Sena, V. ZagrebeLsky (a cura di), Commentario breve alla

Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, p. 791 ss. Cfr. anche M. Frigo, Le operazioni di ristrutturazione del debito obbligazionario alla luce delle norme Cedu in materia di diritto di proprietà, in M. Vellano, G. Adinolfi (a cura di), La crisi del debito sovrano degli Stati dell’area euro. Profili giuridici, Torino, 2013, 135-140.

12 Oltre ai casi discussi nel testo di questo contributo, la questione della violazione dell’art. 1 del I

ritenuto ricevibili tali ricorsi, qualificando il risparmio accantonato o investito come un “bene” ai sensi dell’art. 1 del I Protocollo, escludendo comunque che da tale disposizione derivi sia l’obbligo dello Stato contraente di indennizzare privati

investitori che hanno subito perdite connesse alle loro decisioni d’investimento13

sia quello di mantenere invariato il valore delle somme depositate in conti correnti

bancari attraverso un meccanismo di indicizzazione14. L’analisi che la Corte ha

condotto si è sviluppata sulla base della constatazione che gli Stati dispongono di un ampio margine di apprezzamento ai fini della determinazione della politica economica nazionale, libertà che la Corte ha rispettato, limitandosi ad indagare

che non si traducesse nell’adozione di decisioni manifestamente irragionevoli15.

Questa impostazione non le ha impedito di ritenere che provvedimenti statali contraente si è presentata in più occasioni. Numerosi i ricorsi giunti alla Corte concernenti i cd. Har-

vest-90 bonds. L’URSS durante la presidenza di Gorbačëv, nel tentativo di incentivare gli agricoltori

russi a vendere allo Stato la propria produzione, corrispondeva loro, oltre al valore dei beni venduti, dei documenti che garantivano un dritto di precedenza sull’acquisto di beni di largo consumo. Tali documenti furono poi trasformati in veri e propri titoli di Stato, ma le autorità russe per anni tarda- rono a legiferare sulle condizioni del loro rimborso, così impedendo, in fatto, ai loro possessori, di chiederne la riscossione. Cfr., fra i tanti, Tronin c. Russia, ricorso n. 24461/02, sent. 18 marzo 2010;

Yuriy Lobanov c. Russia, ricorso n. 15578/03, sent. 2 dicembre 2010. Numerosi anche i ricorsi connes-

si a titoli di Stato russi emessi fra il 1860 e il 1914, acquistati da cittadini francesi, e non rimborsati a scadenza, che furono oggetto di un accordo (concluso nel 1997) fra la Francia e l’Unione Sovietica, per effetto del quale la seconda si impegnava a versare una somma forfettaria pari a 400 milioni di dollari americani alla Francia, che successivamente decideva di ripartirli in misura eguale fra tutti i possessori di titoli, e non in proporzione all’entità dei titoli posseduti: cfr., fra gli altri, Thivet c. Francia, ricorso n. 570171/00, decisione sull’ammissibilità 24 ottobre 2000.

13 Grainger e altri c. Regno Unito, ricorso n. 34940/10, decisione 10 luglio 2012, par. 42. 14 Frequenti i ricorsi nei quali i titolari di depositi bancari hanno lamentato la violazione dell’art.

1 del I Protocollo in conseguenza della mancata applicazione da parte di uno Stato contraente di leggi per effetto delle quali le autorità nazionali si erano, sotto varie forme, impegnate a rivalutare alcune categorie di depositi. Tali ricorsi sono sempre stati dichiarati dalla Corte inammissibili ratione materie: cfr., fra gli altri, Appolonov c. Russia, ricorso n. 67578/01, decisione sull’ammissibilità 29 agosto 2002;

Rudzinska c. Polonia, ricorso n. 45223/99, decisione sull’ammissibilità 7 settembre 1999; Gayduk e altri c. Ucraina, ricorso n. 45526/99, decisione sull’ammissibilità 2 luglio 2002. Su quest’ultimo pro-

filo, in dottrina, A. Viterbo, Il diritto di proprietà come salvaguardia del singolo contro gli effetti negativi

dell’inflazione nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in I. Papanicolopulu (a

cura di), Atti del V Incontro di studio tra giovani cultori delle materie internazionalistiche, Milano, 2008, p. 57 ss.

15 Cfr., ex multis, Koufaki e Adedi c. Grecia, ricorsi n. 57665/12 e n. 57657/12, decisione sull’am-

missibilità 7 maggio 2013, par. 31; da Silva Carvalho Rico c. Portogallo, ricorso n. 13341/14, decisione sull’ammissibilità 1° settembre 2015, par. 37; Grainger e altri, cit., par. 36; Mamatas e altri c. Grecia, ricorsi n. 63066/14, 64297/14 e 66106/14, sent. 21 luglio 2016, par. 26. Circa il criterio della ma- nifesta irragionevolezza la Corte, ad esempio, ha escluso che fosse tale la decisione delle autorità del Regno Unito di nazionalizzare l’istituto di credito Northern Rock senza corrispondere agli azionisti il valore che le loro azioni – grazie agli aiuti di stato ad esso forniti in precedenza – avevano mantenuto in considerazione del fatto che tale decisione era finalizzata ad evitare che gli operatori finanziari, facendo affidamento sulla possibilità di beneficiare di aiuti di stato, adottassero politiche d’investimento non oculate, a scapito dell’economia nazionale: Grainger et. al., cit., par. 42.

comportanti una limitazione nel godimento delle risorse finanziarie individuali costituissero una violazione dell’art. 1 del I Protocollo. Un tale giudizio ha riguardato, ad esempio, i provvedimenti attraverso i quali il governo macedone, poco dopo la proclamazione dell’indipendenza, aveva limitato l’accesso ai risparmi in valuta straniera detenuti in conti correnti bancari di istituti di credito nazionali con il fine di controllare la circolazione di valuta straniera e di garantire la liquidità dei fondi statali in una fase di difficoltà economica marcata, conseguente

all’indipendenza ed agli impegni assunti con il Fondo monetario internazionale16.

Più recentemente pregiudizievoli del diritto di disporre dei beni sono stati giudicati i provvedimenti normativi che prevedevano l’offerta di scambio di alcune categorie di titoli del debito pubblico non ancora scaduti (elegible titles) con titoli di nuova emis- sione aventi valore nominale inferiore (pari al 31,5% del valore dei titoli originari),

cedole più basse e scadenze più lunghe17 ed hanno imposto lo scambio a coloro che

non vi avevano acconsentito qualora all’offerta avessero comunque aderito una

certa percentuale di obbligazionisti18. La Corte ha anche qualificato come

un’interferenza nel diritto di disporre dei propri beni una legislazione che prevedeva il trasferimento a favore dello Stato del denaro accumulato in depositi cd. dormienti (vale a dire sui quali, escluso il versamento degli interessi dovuti per

il deposito, non era avvenuta negli ultimi venti anni alcuna transazione) 19.

Dopo aver accertato la violazione dell’art. 1 del I Protocollo, la Corte ha poi inda- gato se i provvedimenti normativi contestati fossero comunque giustificabili ai sensi della Convenzione poiché adottati per realizzare un interesse pubblico o

generale20. Sul punto, il giudice di Strasburgo ha ritenuto che l’interesse a

prevenire effetti negativi sulle politiche di bilancio e monetarie in conseguenza di una crisi di liquidità

16 Cfr. in questo senso Trajkovski c. Macedonia, ricorso n. 53320/99, decisione sull’ammissibilità 7

marzo 2002. La Corte ha accertato che la misura in questione limitava il diritto individuale di disporre delle proprie risorse, ma ha ritenuto che venisse in rilievo il secondo paragrafo dell’art. 1, nella parte in cui riconosce il diritto degli Stati contraenti di adottare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale.

17 Ai sensi della legislazione greca i possessori di titoli eleggibili avrebbero ottenuto in cambio

anche GDP-linked securities e strumenti equivalenti a promesse di pagamento (Private sector Involve-

ment Payment Notes) che il Fondo europeo di stabilità finanziaria si era impegnato a versare alla Grecia,

la quale a sua volta li avrebbe destinati ai possessori di titoli eleggibili: cfr. in dottrina, F. C. Villata,

La ristrutturazione del debito pubblico greco del 2012: nuove prospettive per l’optio iuris, in M. Vellano,

G. Adinolfi (a cura di), cit., 107 ss., in particolare 113 s.

18 Ai sensi della legge n. 4050 del febbraio 2012 l’offerta di scambio veniva imposta a tutti gli ob-

bligazionisti se ad essa avessero aderito i detentori di titoli eleggibili in possesso, complessivamente, di un ammontare pari ad almeno due terzi del valore nominale complessivo dei medesimi.

19 Zolotas c. Grecia, ricorso n. 66610/09, sent. 29 gennaio 2013, par. 47.

20 L’art. 1 fa riferimento alla nozione di interesse pubblico nel par. 1 e a quella di interesse generale

nel par. 2. La Corte non ha però fino ad ora mai distinto fra le due nozioni, considerandole come sinonimi: cfr. S. Bartole, P. De Sena, V. ZagrebeLsky (a cura di), cit., 796.

del sistema bancario 21, di salvaguardare lo Stato dal default 22 e, infine, quello di evi-

tare comportamenti opportunistici del sistema bancario (quale l’incameramento di

risorse depositate da correntisti defunti e non reclamate dagli eredi) 23 costituissero

interessi pubblici o generali che potevano giustificare limitazioni al diritto tutelato dall’art. 1 del I Protocollo.

In considerazione di tale constatazione ha poi proceduto ad accertare se nei casi specifici si fosse anche trattato di limitazioni proporzionate.

Nell’esercizio di tale giudizio, la Corte, pur non dichiarandolo esplicitamente, ha tenuto conto della destinazione del risparmio, garantendo una maggiore tutela a quello meramente depositato in strumenti di deposito tradizionali, cioè che non costituiscono forme d’investimento, rispetto al risparmio investito in titoli di Stato e in azioni. All’aumentare del rischio è infatti corrisposta una maggiore propensio- ne a considerare la misura limitativa del godimento del diritto di proprietà come proporzionata. Così, nel caso in cui i ricorrenti erano possessori di obbligazioni, la Corte, chiamata a valutare se i provvedimenti normativi nazionali contestati re- alizzavano un giusto equilibrio fra l’interesse pubblico e il diritto individuale, ha dato rilievo non soltanto all’entità della limitazione al diritto di disporre dei propri risparmi – come invece accaduto quando le misure contestate consistevano in un

controllo sull’utilizzo dei risparmi depositati in conti correnti bancari 24 – ma ha

anche tenuto conto del rischio connesso all’investimento in titoli obbligazionari. Lo ha infatti giudicato un investimento di per sé non esente da rischi, specialmente se riguardante titoli con scadenze molto lunghe, dando rilievo al fatto che le condi-

zioni economiche dell’emittente, incluso uno Stato sovrano, possono cambiare 25.

Ciò è servito per qualificare come proporzionali le limitazioni al diritto di proprietà imposte dallo Stato convenuto.

Quando invece le misure statali hanno pregiudicato la disponibilità di risorse detenute in depositi bancari tradizionali, come accaduto ad esempio nel caso in cui una legislazione interna prevedeva il trasferimento allo Stato di somme accantona- te in depositi dormienti, ai fini del giudizio concernente la proporzionalità della misura si è tenuto conto se lo Stato avesse fatto quanto in suo potere per obbligare gli istituti di credito a dare tempestiva comunicazione ai depositanti dell’approssi-

21 Cfr. in questo senso Trajkovski, cit. 22 Mamatas e altri, cit., parr. 103-105.

23 La Grecia aveva sostenuto che questo fosse l’interesse generale che giustificava l’adozione di

provvedimenti quali il trasferimento nelle casse dello Stato di risorse detenute in depositi dormienti: cfr. Zolotas, cit., par. 30. La Corte d’appello greca aveva invece sostenuto che la legislazione statale che predisponeva tale trasferimento avesse quale interesse quello di porre termine ad una relazione fra un istituto di credito e un depositante la cui esistenza era divenuta incerta in considerazione dell’inattività del deposito per un periodo di tempo molto lungo: ibidem, par. 12. La Corte europea ha tenuto conto di entrambe le giustificazioni: ibidem, par. 54.

24 Trajkovski, cit., p. 13 s. 25 Mamatas e altri, cit., par. 117.

marsi del termine ultimo del trasferimento, consentendo loro di compiere le ope- razioni necessarie per scongiurarne il verificarsi. Il mancato adempimento di un tale obbligo è stato giudicato dalla Corte come un fattore in grado di alterare il ragionevole equilibrio fra l’interesse pubblico ad evitare condotte opportunistiche degli istituti di credito e il diritto individuale dei depositanti di godere delle risorse accantonate 26.

Dalla breve analisi che precede emerge che per quanto il risparmio sia qualificato come “bene” ai sensi dell’art. 1 del I Protocollo addizionale, la sua effettiva prote- zione nel sistema della Convenzione è subordinata alla realizzazione degli interessi che lo Stato convenuto ha qualificato come pubblici o generali e sulla cui esistenza la Corte, riconoscendo agli Stati un ampio margine di apprezzamento nelle decisioni di politica economica, non si pronuncia. Il controllo della Corte si esplica, dunque, solo sul carattere proporzionale o meno dell’ingerenza statale limitativa del diritto a godere dei propri risparmi. Su questo versante, sebbene non esista un orientamento consolidato della Corte, si osserva una propensione a considerare non proporzionali, e dunque illeciti, provvedimenti interni pregiudizievoli dei risparmi accantonati in strumenti di deposito tradizionali rispetto a quelli investiti in strumenti finanziari che comportano un certo grado di rischio. Nel giudizio di proporzionalità conta infatti il livello di rischio che il risparmiatore si è formalmente assunto o, in assenza di rischio, la conoscenza da parte del risparmiatore della possibile applicazione di provvedimenti interni che possono privarlo del diritto di godere in tutto o in parte dei risparmi accantonati in strumenti sicuri e il riconoscimento, al medesimo, del diritto di disporne diversamente.

1.3. Bail-in e Cedu: quale possibile esito di un ricorso alla Corte europea dei

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