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Gianfranco Martiello

1.1. L’origine del concetto: il risparmio-patrimonio

Proprio all’indomani del varo del codice penale, Francesco Carnelutti tenne a Venezia un corso eloquentemente dedicato alla «Tutela penale della ricchezza», del

quale offrì poi un ampio sunto pubblicato su di una nota rivista penalistica 1. Lo

scopo che l’eclettico Autore si prefiggeva in modo esplicito era quello di «costruire [ ] una sintesi di quelle sue norme [del codice penale] che più strettamente presidiano l’economia, pubblica e privata», e ciò «mette[ndo] insieme una quantità di norme e di figure, che di solito non cadono sotto un’osservazione sintetica». Tale visione d’insieme avrebbe consentito di verificare come la protezione accordata dal giure penale alla ricchezza coprisse sostanzialmente l’intero ciclo vitale della stessa, che l’insigne Autore articolava in tre fasi: quella della sua «formazione», quella della sua

«conservazione» e, infine, quella della sua «circolazione» 2. In particolare, il proces-

so di «formazione» della ricchezza veniva ulteriormente distinto da Carnelutti nei due momenti della «produzione» della stessa e – ciò che qui più interessa – del suo «risparmio», che venivano accostati in quanto «La ricchezza cresce in ragione della

1 Cfr. F. Carnelutti, La tutela penale della ricchezza, in Riv. it. dir. pen., 1931, 7 s. 2 Cfr. F. Carnelutti, op cit., 10.

differenza tra la produzione e il consumo, onde per essere ricchi non è sufficiente

produrre, ma è necessario consumare meno di quanto si è prodotto» 3. Sul presup-

posto, poi, che «Lo strumento giuridico più importante per ottenere il risparmio è, nel nostro ordinamento, il diritto di proprietà», e che quindi «I reati contro il rispar-

mio sono dunque i reati contro la proprietà», l’illustre Autore riconduceva alla tutela

penale del risparmio così definito un’ampia selezione di fattispecie criminose, distin- te in base al tipo di aggressione sanzionata, che egli attingeva interamente dalla classe dei «Delitti contro il patrimonio» di cui al Titolo XIII°, Libro II° del codice penale e da quella «Delle contravvenzioni concernenti la prevenzione dei delitti contro il

patrimonio» contemplate dagli artt. 705 ss. del medesimo codice 4.

Orbene, non è difficile trarre dalla costruzione teorica sopra sommariamente rias- sunta l’idea di risparmio e della relativa tutela penale che ne sta a fondamento. Sotto il profilo concettuale, appare infatti chiaro come il risparmio risulti inteso essenzial- mente secondo la classica definizione che di esso hanno offerto le scienze economi- che, ovverosia come quota del reddito prodotto da un certo soggetto che non viene spesa nel periodo in cui il reddito stesso è maturato, ma che è invece accantonata per

un suo futuro utilizzo 5. Quale oggetto di salvaguardia penale, tuttavia, il risparmio

sembra assumere una connotazione più specifica, parendo esso riferirsi a quella parte di ricchezza che sia stata materializzata in «cose», ossia in entità fisiche dotate di valore economico. A tale conclusione conduce, infatti, la stessa rassegna delle fatti- specie incriminatrici che si assumono poste a suo presidio, le quali individuano nella «cosa», mobile o immobile che sia, l’oggetto materiale su cui si avventa la condotta illecita, che notoriamente costituisce un prezioso indice per ricostruire l’entità giuri- dica tutelata. Così infatti espressamente è, rimanendo nell’ambito delle esemplifica- zioni richiamate da Carnelutti, per i reati di furto (art. 624 c.p.), di rapina (art. 628 c.p.), di estorsione (art. 629 c.p.), di truffa (art. 640 c.p.), di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), di ricettazione (art. 648 c.p.), di acquisto non autorizzato di cose pre- ziose (art. 705 c.p.) o di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.), ma anche, a ben vedere, per i delitti di deviazione di acque e modifica dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.) o di ingresso abusivo nel fondo altrui (art. 637 c.p.). Il che, del resto, non deve stupire più di tanto, visto che, una volta sostanzialmente assimilato il risparmio al patrimonio, non può non valere anche per il primo quella che una felice espressione

definisce come «dimensione cosale» del secondo 6, la quale icasticamente allude alla

3 Cfr. F. Carnelutti, op cit., 11.

4 Cfr. F. Carnelutti, op cit., 11 s., che poi distingueva (13 s.) i reati di sottrazione senza il con-

senso (es.: artt. 624, 625, 626, 628, 631, 632, 636, 637 c.p.) o con il consenso altrui (es.: artt. 640, 642, 643, 629, 630 c.p.), quelli di appropriazione (es.: artt. 646-647 c.p.), quelli di ricettazione (648 c.p.), quelli di «contegno pericoloso per la proprietà» (es.: artt. da 705 a 712 c.p.) e quelli di «sperpero» (artt. da 718 a 721 c.p.).

5 V. per tutti P.A. Samuelson-W.D. Nordhaus, Economia, XIVª ed., Bologna, 1993, 830. 6 Così, tra gli altri, A. Carmona, Tutela penale del patrimonio individuale e collettivo, Bologna,

visione spiccatamente materialistica che del patrimonio ebbero i codificatori, che nel

rapporto diretto tra la «cosa», quale entità fisico-materiale spazialmente definita 7, ed

il soggetto videro la componente costitutiva fondamentale del concetto penalistico di «patrimonio».

Ancora, la suddetta “patrimonializzazione” del risparmio, se così vogliamo defi- nirla, relega quest’ultimo in una dimensione prettamente individualistica e privati-

stica 8, peraltro del tutto coerente con la suddetta concezione materiale della ricchez-

za in esso cristallizzata. Non è difatti un caso che proprio in tale caratterizzazione la dottrina abbia rinvenuto il fondamentale discrimine tra i reati contro il patrimonio e quelli contro la «Economia pubblica, l’industria ed il commercio» contemplati dal Titolo VIII°, Libro II° del codice penale, che pure presentano fortissime analogie strutturali con i primi. A tale ultimo riguardo, infatti, non è difficile cogliere ad esempio nei delitti di «Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o indu- striali ovvero di mezzi di produzione» (art. 499 c.p.) o di «Diffusione di una malattia delle piante o degli animali» (art. 500 c.p.) altro se non peculiari ipotesi di dan-

neggiamento (art. 635 c.p.) 9; nel delitto di «Arbitraria invasione o occupazione di

aziende agricole o industriali» (art. 508, comma 1, c.p.) nulla di diverso da una pre-

cipua declinazione di quello di «Invasione di terreni o edifici» (art. 633 c.p.) 10; così

come non può sfuggire il fatto che le frodi descritte dagli artt. 515, 516 e 517 c.p.

si atteggino, sostanzialmente, a truffe consumate o tentate in incertam personam 11.

Ebbene, di fronte a rassomiglianze così evidenti, che mettevano logicamente in dubbio l’effettiva autonomia concettuale delle incriminazioni racchiuse nel citato Titolo VIII° rispetto a quelle del richiamato Titolo XIII°, la dottrina più accorta ha dovuto mettere in adeguato rilievo come la differenza fondamentale tra queste due categorie di reati fosse da ricercarsi, sostanzialmente, nella diversa prospettiva dalla quale il legislatore avrebbe guardato appunto alla ricchezza: quella «incorporata essenzialmente in beni materiali» nei reati contro il patrimonio, la cui capacità of- fensiva non travalicherebbe perciò l’ambito dei titolari di quei medesimi beni; quella

7 In questi termini, sul concetto penalistico di «cosa», v. F. Sgubbi, voce Patrimonio (reati contro il),

in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 368 s., nonché più di recente, e per tutti, F. Mantovani, Diritto

penale, Delitti contro il patrimonio, Vª ed., Padova, 2014, 23 s.

8 Su tali connotati del patrimonio quale oggetto di tutela, v. per tutti F. Sgubbi, voce Patrimonio,

cit., 337.

9 Cfr. G. Fornasari, Il concetto di economia pubblica nel diritto penale. Spunti esegetici e prospettive

di riforma, Milano, 1990, 35-36 e 38, nonché F. Giunta, Lineamenti di diritto penale dell’economia,

IIª ed., Torino, 2004, 80.

10 Cfr. G. Fornasari, Il concetto, cit., 98-99.

11 V. tra gli altri G. Fornasari, Il concetto, cit., 116, 126 s., F. Giunta, op ult. cit., 99-100, 109,

nonché, con particolare riferimento al reato di frode in commercio, L. Conti, voce Economia pub-

blica, industria e commercio (delitti contro), in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 199, e, da ultimo N.

Mazzacuva, Introduzione, in G. Fornasari (a cura di), Delitti contro l’economia pubblica, l’industria

«rappresentata da beni immateriali» nei reati contro l’economia pubblica – da in- tendersi come «l’insieme delle attività economiche che si svolgono nell’ambito della nazione, fatte oggetto di una considerazione globale, colte nel loro reciproco coor-

dinamento e condizionamento, in quanto confluiscono in un sistema unitario» 12 –,

i quali minaccerebbero invece una cerchia indeterminata di soggetti, le cui ragioni prevarrebbero, nella considerazione del legislatore, su quelle di coloro sui quali di-

rettamente può abbattersi il pregiudizio patrimoniale 13. In breve: mentre i delitti

contro il patrimonio del Titolo XIII° tutelerebbero «la ricchezza nella dimensione per così dire statica», quelli contro l’economia pubblica di cui al Titolo VIII° vor- rebbero invece salvaguardare «la ricchezza nella dimensione, per così dire, dinamica,

ossia nelle su potenzialità di ulteriore crescita» 14.

Equiparare la ricchezza che confluisce nel risparmio a quella che si cristallizza nel patrimonio significa chiaramente, sotto il versante del quomodo della tutela penale, proteggere la prima con le medesime tecniche che sono proprie della seconda. Sul punto, sarà allora sufficiente ricordare come la salvaguardia penale del patrimonio propriamente detto si presenti come volutamente frammentaria e disponibile. Non è infatti un caso, sotto il primo aspetto, che le figure delittuose ricomprese nel più volte richiamato Titolo XIII°, ossia quelle che dovrebbero esprimere la reazione più energica avverso l’offesa inferta al bene giuridico, presentino in abbondanza elemen- ti di selezione – e quindi contenimento – della tipicità penale: si pensi, ad esempio, alla ricorrente previsione dell’evento di danno (patrimoniale), al diffuso riferimento ad una specifica modalità di condotta che deve produrre quest’ultimo, alla richiesta necessità, non certo infrequente in quella classe di reati, che il soggetto attivo abbia agito in quanto psicologicamente animato da una specifica finalità di lucro, ecc. Sot- to il secondo profilo, il pensiero non va soltanto al meccanismo della procedibilità a querela, ma anche all’indiscussa applicabilità in tale ambito normativo della scrimi- nante recata dall’art. 50 c.p., considerato che, per pacifica opinione, i diritti patrimo- niali costituiscono il prototipo di quelle situazioni giuridiche “disponibili” alle quali la richiamata norma codicistica espressamente autolimita il proprio campo d’azione.

Tali tratti caratterizzanti la disciplina dei delitti contro il patrimonio, invero pre-

12 È, questa, la notissima definizione di C. Pedrazzi, voce Economia pubblica (delitti contro la), in

Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 279.

13 Fondamentale, ancora, l’impostazione sistematica di C. Pedrazzi, voce Economia, cit., 280 s.,

seguita dalla maggioranza della dottrina successiva: v., tra gli altri, C.F. Grosso, Interessi protetti e tec-

niche di tutela, in AA.VV., Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per la riforma del codice, Milano,

1987, 164 s. e 172 s.; F. Giunta, Lineamenti, cit., 59 e 64; L. Foffani, Tra patrimonio ed economia:

la riforma dei reati d’impresa, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 752 s. Non sono mancati, per vero,

Autori che in alcuni reati collocati nel Titolo XIII° (ad esempio quelle degli artt. 644, 648 e 648-bis c.p.) hanno visto, in realtà, la lesione di una più ampia fascia di interessi, alcuni anche di coloritura pubblicistica: v. infatti A. Carmona, Tutela, cit., 235 s. e V. Plantamura, Diritto penale ed economia

pubblica: tra esigenze di determinatezza e nuove prospettive di tutela, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007,

spec. 880, ed ivi ulteriori riferimenti dottrinali.

senti già dal suo esordio nel codice del 1930, sono stati ritenuti ex post non incompa- tibili con la collocazione che tale bene giuridico ha assunto nella gerarchia dei valori desumibile dalla Costituzione. Basterà qui difatti ricordare, da un lato, come nella propria sistematica la Carta chiaramente anteponga i diritti della personalità umana a quelli di natura economica, e, dall’altro, come lo stesso art. 42, comma 2, Cost., che pure espressamente riconosce e garantisce il principale tra i diritti patrimoniali, ossia quello di proprietà, nondimeno ponga a quest’ultimo dei «limiti» aventi l’i-

nequivoco scopo di porlo in bilanciamento con ulteriori valori di natura sociale 15.

Né, a giudizio di chi scrive, una tale visione “patrimonialistica” del risparmio po- trebbe contare su di una più forte legittimazione laddove se ne cercasse un ulteriore o più consono accreditamento in seno all’art. 47 Cost. Pur trascurando che proprio quest’ultima disposizione meglio fa comprendere che «risparmio» e «proprietà» – e quindi, per estensione, «patrimonio» – sono entità non coincidenti nel linguaggio del costituente, l’interprete non potrebbe infatti che rivolgersi al secondo comma del citato art. 47 Cost., che in effetti allude a quelle specifiche forme di cristalliz- zazione del risparmio («popolare») su beni corporali come indubbiamente sono la proprietà diretta coltivatrice e quella dell’abitazione. Tuttavia, il peso specifico di un tale addentellato normativo parrebbe scarso nella prospettiva di cui si diceva, consi- derato che la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza costituzionale sono concordi nel riconoscere all’art. 47, comma 2, Cost. una funzione meramente promozionale, di indirizzo di politica economica e sociale, al più utile a legittimare l’esistenza di provvedimenti di incentivo o premiali rivolti appunto a «favorire» l’instradamento

del risparmio verso la proprietà diretta coltivatrice o l’acquisto dell’abitazione 16: il

che, tuttavia, è cosa ben diversa dall’accreditare un sistema di tutela penale che ruoti attorno ad un ibrido oggetto come è quello del risparmio-patrimonio.

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