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Le regole del gioco alle quali sopra si è fatto cenno risultano presidiate dalla sanzione penale in quanto esse, a loro volta, sono espressione di specifiche esigenze di tutela, che convergono, come detto, verso il fine ultimo di ritagliare al risparmio investito nel mercato degli strumenti finanziari una zona di “rischio controllato”, “fi- siologico”. Ed invero, già da tempo la dottrina auspicava che l’intervento del legisla- tore penale si focalizzasse su poche e specifiche direttrici, che di tali esigenze di tutela fossero le più dirette interpreti. Si è così detto che la sanzione più afflittiva che l’ordi- namento contempla avrebbe dovuto presidiare, ad esempio, la corretta gestione e la stabilità delle imprese di intermediazione mobiliare, l’accesso ai mercati soltanto di operatori aventi determinate caratteristiche professionali, la trasparenza dell’attività informativa che gli attori del mercato rivolgono ai potenziali investitori, nonché che essa avrebbe dovuto mettere al riparo il sistema finanziario da eventuali infiltrazioni

della criminalità organizzata 44: esigenze, tutte queste, che in effetti paiono trovare

risposta – non importa qui valutare se adeguata o meno – anzitutto nelle numerose fattispecie di illecito contemplate dagli artt. 166 e seguenti del t.u.f.

Tuttavia, una volta rinvenuta nel contenimento entro il rischio “fisiologico” (per l’investitore) la finalità ultima perseguita dall’intera disciplina del mercato finanzia- rio, inclusa quella penale, sembra difficile non condividere l’opinione di chi, già da tempo, evidenzia come il «tema della conoscenza» diventi allora fondamentale, non fosse altro perché, intuitivamente, «sapere è la necessaria premessa per valutare il ri-

schio e decidere di conseguenza, in questo caso se investire o meno» 45. A ben vedere,

anzi, proprio la garanzia della correttezza dell’informazione che emittenti ed inter- mediari riversano sul mercato finanziario – ossia, in una parola, la loro “trasparenza” – costituisce probabilmente il cardine di tutto il sistema di tutele posto a difesa del risparmiatore-investitore, sebbene, come già rilevato, le “regole del gioco” tutelate penalmente siano ben più numerose. Volendo estremizzare il discorso, si potrebbe

43 Per tale interpretazione, cfr. N. Pecchioli, Incoraggiamento, cit., 66 s.

44 Cfr. in questi termini C. Pedrazzi, La riforma, cit., 388 s., nonché A. Alessandri, Offerta, cit.,

205 s.

ad esempio immaginare di non colpire con la pena l’abusivismo finanziario (v. ad es. l’art. 166 t.u.f.), ma ciò solo a condizione che, in ipotesi, fosse garantita l’osservanza dell’obbligo, imposto all’operatore, di specificare l’avvenuta o meno sua iscrizione nell’apposito Albo degli intermediari; parimenti, si potrebbe ipotizzare la rinuncia a colpire “a valle” condotte che l’operatore pone in essere versando in conflitto di interessi (v. ad es. gli artt. 167 t.u.f. e 2634 c.c.), ma ciò solo nella misura in cui fosse garantito “a monte” il presidio dell’obbligo di questi di informare i terzi dell’esisten- za di una siffatta situazione conflittuale; allo stesso modo, infine, immaginare di prescindere da una precipua repressione penale di quelle operazioni che, ad esempio, minano l’integrità o l’effettività del capitale di una certa società (v. ad es. gli artt. 172 t.u.f. e 2626, 2627, 2632 c.c.) sarebbe concepibile soltanto ove fosse garantita la cogenza di un sistema di informazione continua che avvisasse i terzi dell’avvenuto

compimento di untali operazioni 46: in tutti questi casi, infatti, il risparmiatore sa-

rebbe comunque messo nelle condizioni di percepire il rischio “anomalo” che egli va ad assumere nel momento in cui intrattiene rapporti con quel determinato operatore piuttosto che con un altro o con quella società dotata di quel certo capitale sociale piuttosto che con un’altra.

In effetti, non sono poche le fattispecie incriminatrici che, sebbene da prospetti- ve diverse, mirano unitariamente a garantire la trasparenza informativa dei soggetti che, a vario titolo, agiscono nel mercato economico, e più specificamente in quello finanziario. Con riferimento anzitutto al t.u.f., si pensi, ad esempio al reato previ- sto dall’art. 169, che, a dispetto dell’equivoca rubrica («Partecipazione al capitale»), punisce chi «fornisce informazioni false» inserite in specifiche comunicazioni richia- mate dalla stessa disposizione incriminatrice; al delitto dell’art. 170, che appunta lo stigma della pena su colui che «attesta falsamente fatti» nell’ambito del sistema di gestione accentrata degli strumenti finanziari; all’evocativa figura criminis del «Falso in prospetto» descritta dall’art. 173-bis, ecc. Allargando la visuale, si potrebbero inol- tre richiamare l’espressiva fattispecie di «Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale», contemplata dall’art. 27 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisione legale dei conti, oppure quella di «Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza», che, nella precipua ipotesi ritagliata dall’art. 2638, comma 1, c.c., sanziona penalmente l’avvenuta espo- sizione di «fatti materiali non corrispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazio- ni» diretta alle medesime «Autorità». A riprova del ruolo fondamentale che il tema della informazione occupa nelle moderne economie “finanziarizzate” stanno, inol- tre, quelle figure di reato che nell’uso distorto delle informazioni rinvengono una

46 Chi scrive aveva avanzato l’ipotesi di un arretramento della tutela penale del capitale sociale a

vantaggio di un sistema cogente di informazione societaria, che, entro certi limiti, avrebbe potuto svol- gere una funzione surrogatoria delle garanzie offerte ai terzi dal Legal capital system: sia permesso infatti rinviare a G. Martiello, La tutela penale del capitale sociale nelle società per azioni, Firenze, 2007, 250 s. Peraltro, la parziale perdita della funzione di garanzia tradizionalmente riconosciuta al capitale sociale sembra oggi essere confermata dall’introduzione della s.r.l. “semplificata” dell’art. 2463-bis c.c.

specifica modalità della condotta criminale, come è chiaramente il caso dei delitti di «Abuso di informazioni privilegiate» (così detto Insider Trading) e di «Manipolazione del mercato» (o “aggiotaggio”, che trova consimili espressioni anche negli artt. 501 c.p. e 2637 c.c.) previsti dagli artt. 184 e 185 t.u.f.

Non v’è dubbio, però, che la tutela della trasparenza informativa evochi più di tutte la fattispecie di reato delle «False comunicazioni sociali» prevista dal codice ci- vile, e ciò per evidenti ragioni. Basterà qui infatti ricordare che non solo la figura cri- minosa del “falso societario” è tra le più antiche del diritto penale societario italiano, essendovene traccia già nel codice di commercio del 1882 (v. art. 247, 1°), ma, ancor più, che essa è anche quella che in tale microcosmo penale ha avuto la più ampia e costante applicazione giurisprudenziale, il che probabilmente ha contribuito a farne,

nel tempo, l’oggetto di non poche novelle e di specifici studi 47. Non è esagerato dire

– complice anche, per la verità, una prassi applicativa non sempre ortodossa – che tale fattispecie di reato riveste nei fatti un ruolo assolutamente centrale in seno al sistema di tutela penale delle ragioni di quanti, soci, creditori, possibili finanziatori, si trovino ad avere rapporti patrimoniali con le società commerciali, quali sono, tra l’altro, gli emittenti strumenti finanziari. Peraltro, l’attinenza della figura criminosa in parola all’ambito che qui precipuamente interessa è divenuta ancora più evidente con l’entrata in vigore della l. 27 maggio 2015, n. 69, che tra le altre cose ha “spe- cializzato” il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’art. 2622 c.c. proprio nella tutela della trasparenza informativa di quelle società che risultino avere titoli quotati o diffusi nei mercati finanziari.

1.5. La recente riforma del reato di «False comunicazioni sociali»: in partico-

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