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Al momento in cui si scrive, il reato di false comunicazioni sociali dell’art. 2622 c.c. presenta la fisionomia da ultimo conferitagli dall’art. 11 della già richiamata l. 69/2015, la quale reca una più ampia gamma di disposizioni «in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio». Volendo compiere un giro di orizzonte delle principali novità introdotte dalla novella, occorre anzitutto rilevare come il legislatore abbia mantenuto la scom- posizione della figura criminis delle false comunicazioni sociali nelle due autonome

47 A quanto consta, difatti, la fattispecie de qua è l’unica tra quelle ricomprese nel tradizionale

nucleo del diritto penale societario che nel tempo ha beneficiato costantemente di studi monografici: v. senza pretesa di esaustività, G. Zuccalà, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1954; E. Morselli, Il reato di false comunicazioni sociali, Napoli, 1974; R. Bricchetti-E. Cervio, Il falso in

bilancio ed in altre comunicazioni, Milano, 1999; A. Perini, Il delitto di false comunicazioni sociali,

Padova, 1999; S. Bolognini-E. Busson-A. D’Avirro, I reati di false comunicazioni sociali, Milano, 2002; P. Bartolo, I reati di false comunicazioni sociali, Torino, 2004; A. D’Avirro, Il nuovo falso in

fattispecie degli artt. 2621 e 2622 c.c., mutandone tuttavia radicalmente il criterio discriminante. Ed invero, in precedenza tali ipotesi criminose si distinguevano a seconda che la condotta mendace avesse o meno cagionato un danno patrimoniale alla stessa società, ai soci od ai creditori, il che di fatto funzionalizzava ognuna di esse alla tutela di un diverso bene giuridico e ne determinava, al contempo, sia la natura contravvenzionale o delittuosa che il regime di procedibilità. Gli attuali conditores, invece, hanno imperniato la distinzione applicativa tra le fattispecie degli artt. 2621 e 2622 c.c., entrambe peraltro delittuose, sulla “diffusione tra il pubblico” dei titoli della società il cui amministratore, direttore generale, dirigente preposto alla redazio- ne dei documenti contabili, sindaco o liquidatore abbia commesso il falso. In parti- colare, mentre l’art. 2621 c.c. si rivolge a tutte gli organismi societari ai quali risulti- no applicabili le disposizioni previste dal Titolo XI°, Libro V° del codice civile, l’art. 2622 c.c. ha di mira, precipuamente, le società «emittenti strumenti finanziari am- messi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’U- nione europea», quelle «emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea», quelle «emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano», le società «che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea», nonché, infi- ne, quelle che «fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono». Tale sorta di “doppio binario” della tutela non costituisce, peraltro, una novità assoluta in seno alla costellazione dei reati societari contemplata dal codice civile. Invero, il comma 3 dell’art. 2622 c.c., come risultante dalla riforma del duemiladue, già prevedeva una più severa cornice edittale per i falsi commessi nell’ambito delle «società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II del decreto legisla- tivo 24.2.1998, n. 58». Successivamente, tale “specializzazione” della tutela divenne ancora più pronunciata, posto che la l. 262/2005 provvide, da un lato, e come già ricordato, ad incrementare la reazione sanzionatoria nei riguardi di quelle condotte di falso, commesse nell’ambito di società quotate, che avessero cagionato «un grave nocumento ai risparmiatori» (abr. art. 2622, comma 4, c.c.); dall’altro, ad introdurre un apposito delitto, collocato nell’art. 2629-bis c.c., teso a punire l’omessa comuni- cazione del conflitto di interessi da parte dell’amministratore o del componente del consiglio di gestione operanti in tali tipologie societarie.

L’esigenza di distinguere agli effetti penali le condotte di falso in base all’ambien- tazione societaria nella quale esse si collocano, emarginando il caso degli emittenti strumenti finanziari “diffusi”, risponde in effetti ad una esigenza politico-criminale

largamente avvertita 48. Ed invero, non v’è dubbio, anzitutto, che istituzionalmente

48 Per tale sottolineatura, v. tra gli altri A. Abbagnano Trione, Il nuovo volto delle false comunica-

zioni sociali, in Studium iuris, 2015, 1251; A. D’Avirro, Il nuovo falso, cit., 13 s.; V. Manes, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, in www.penalecontemporaneo.it.

tali enti collettivi si rivolgano ad una platea di soggetti, ossia quella dei risparmia- tori e degli investitori che operano in Borsa, assai ampia e comunque senz’altro più numerosa rispetto a quella a cui possono attingere, al medesimo scopo di finanzia- mento, le società non “quotate”: da qui, la maggiore amplificazione che la carica offensiva propria del falso societario è destinata a subire. Inoltre, e sempre a livello empirico, più volte il mercato finanziario si è dimostrato sensibile non soltanto alle notizie trasfuse nei documenti informativi tipizzati dalla legge, in primis i prospetti di bilancio, ma anche a quelle contenute in veicoli informativi atipici, per non dire dei meri rumors di Borsa, che non di rado sono riusciti ad orientare cospicui flussi finanziari di investimento e disinvestimento. Sotto il profilo teorico, non può igno- rarsi che quella medesima “trasparenza societaria” che anzitutto l’art. 2621 c.c. tende a tutelare presenta uno consistenza in parte diversa allorquando la condotta crimi- nosa si ambienti in società quotate sui mercati finanziari. Occorre infatti ricordare che gli interessi economici sottostanti a siffatto bene istituzionale tendono, in quel caso, ad aggregarsi a loro volta attorno alla salvaguardia della stabilità e del regolare funzionamento dello stesso mercato finanziario, nel quale trova massima espressione quell’esigenza di «tutela del risparmio» diffuso consacrata nell’art. 47, comma 1,

Cost. 49, del quale più volte si è detto.

Entrando più nel dettaglio, non certo trascurabili appaiono le differenze che, rispetto all’immediato precedente plasmato dalle riforme del duemiladue e del due- milacinque, l’attuale fattispecie dell’art. 2622 c.c. presenta in tema di requisiti costi- tutivi, di portata applicativa e di risposta sanzionatoria: elementi, questi, che peraltro presentano alcune differenze anche rispetto all’archetipo dell’artt. 2621 c.c., sul qua- le il delitto qui in rilievo appare ritagliato. Volendo schematizzare:

a) quanto ai veicoli informativi nei quali il falso può annidarsi, l’attuale art.

2622 c.c. parrebbe operare un ritorno all’antico, posto che esso, diversa- mente dal suo immediato precedente, non circoscrive più il novero delle «al- tre comunicazioni sociali» penalmente rilevanti solo a quelle «previste dalla legge», pur confermando che esse debbano comunque continuare ad essere «dirette ai soci o al pubblico». In ciò, peraltro, sta anche la prima significativa differenza con la figura-prototipo dell’art. 2621 c.c., che invece tale limite richiama;

b) quanto all’oggetto materiale della condotta, risulta che il legislatore ha eli-

minato la precisazione, contenuta invece nella fattispecie abrogata, secondo la quale i «fatti materiali» sui quali il mendacio può cadere possono essere anche quelli «oggetto di valutazioni»; analogamente, ma con specifico ri- guardo alla condotta omissiva, il precedente riferimento alle «informazio- ni» che dovevano essere per legge comunicate è stato sostituito da quello ai «fatti materiali rilevanti», che debbono tuttavia continuare ad essere oggetto

49 Così, A. D’Avirro, Il nuovo falso, cit., 14 e S. Seminara, La riforma dei reati di false comunica-

di un obbligo comunicativo ex lege. Tuttavia, mentre nella figura delittuosa dell’art. 2621 c.c. tale “rilevanza” riguarda sia il fatto oggetto della condotta attiva (la «esposizione» di fatti falsi) sia quello oggetto della condotta omissi- va (la «omissione» di fatti che si sarebbero dovuto esporre), nel caso dell’art. 2622 c.c., invece, tale caratteristica è riferita esclusivamente ai fatti omessi, e non già anche a quelli oggetto della condotta attiva;

c) quanto alla capacità decettiva della condotta, il legislatore attuale ha ritenuto

di specificare che il mendacio punibile non è semplicemente quello com- messo «in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari» dello stesso, così come risultava dai previgenti artt. 2621 e 2622 c.c., bensì quello perpetrato in modo «concretamente» idoneo a sortire quel medesimo effetto;

d) quanto ai possibili limiti di rilevanza del falso penalmente rilevante, ancora

una volta il legislatore del duemilaquindici sembra aver voluto tornare al

more antiquo, se è vero che la novella non ha previsto alcuna soglia quantita-

tiva o qualitativa di rilievo penale del mendacio, che di conseguenza risulta punibile di per sé;

e) quanto all’elemento soggettivo, risulta confermata la necessità per il reo di

aver agito con il dolo specifico di «conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto», mentre il precedente riferimento all’ulteriore previsione del dolo intenzionale di inganno dei soci o del pubblico è oggi scomparso, sostituito da un (più criptico) richiamo alla necessità che il soggetto agente abbia «con- sapevolmente» commesso la condotta di falso;

f ) quanto, infine, alla risposta sanzionatoria, quella edittale si attesta tra il limi-

te minimo dei tre e quello massimo degli otto anni di reclusione, ovverosia ad un livello significativamente più alto sia dell’abrogato art. 2622 c.c., sia dell’odierno delitto dell’art. 2621 c.c.

Non è certo questa la sede per esaminare pedissequamente il contenuto e la por- tata di ognuno di questi nova legislativi, ma vale tuttavia qui la pena intrattenersi brevemente almeno sull’elemento probabilmente di più forte discontinuità tra la versione previgente e quella attuale dell’art. 2622 c.c., nonché sulle specificità che la fattispecie scolpita da quest’ultima disposizione incriminatrice mostra rispetto a quella più generale recata dall’art. 2621 c.c.: fattori, questi, che, salvo quanto diremo in seguito (v. infra, § 1.6), dovrebbero complessivamente dare il segno dell’intensità della tutela che alla trasparenza informativa delle società con titoli quotati o diffusi – e quindi, in ultima analisi, al risparmio modernamente inteso – il legislatore del duemilaquindici ha inteso accordare.

1.5.1. L’abolizione delle soglie di rilevanza penale del falso societario

Dopo la suddetta “specializzazione” della fattispecie recata dall’odierno art. 2622 c.c., non v’è dubbio che l’elemento differenziale tra questo e la sua previgente versio- ne destinato ad avere le più immediate ripercussioni applicative sia la mancata ripro-

posizione, nel primo, delle soglie di rilevanza penale del falso. Per la verità, attraverso siffatti argini, peraltro comuni anche all’allora introdotto art. 2621 c.c., il legislatore del duemiladue aveva cercato a suo modo di appagare un’esigenza da tempo avvertita sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, ossia quella di conferire una particolare pregnanza offensiva al reato di false comunicazioni sociali, tale da impedire che il mendacio penalmente illecito si appiattisse su quello rilevante sotto il profilo civili- stico e tributario; il che – si sosteneva – avrebbe potuto ottenersi attraendo alla pena le sole falsità «rilevanti», cioè quelle che avrebbero potuto produrre una “significativa alterazione”, nella rappresentazione all’esterno, della situazione economica, finan- ziaria o patrimoniale della società, posto che la norma penale non avrebbe dovuto reprimere ogni e qualsiasi falso in nome di un astratto quanto formalistico “amor

di verità” 50. La questione che diveniva allora urgente era quella di individuare un

parametro sufficientemente preciso che consentisse di riconoscere il falso meritevole di repressione penale. Ed a tale riguardo, la risposta offerta dal legislatore del due- miladue era stata netta, avendo questi tradotto il succitato requisito della “rilevanza” (informativa) del falso nella previsione di specifiche soglie numeriche e qualitative, il

cui superamento avrebbe determinato la reazione penale 51.

Non v’è dubbio che, attraverso il sistema delle soglie, i conditores del tempo avesse- ro raggiunto alcuni obiettivi: in primo luogo, accentuato il profilo offensivo del falso in bilancio penalmente sanzionato rispetto a quello civilmente rilevante; in secondo luogo, soddisfatto in buona parte l’esigenza di certezza della fattispecie incriminatri- ce, specie in considerazione degli inevitabili margini di elasticità ed opinabilità che le stime di rilevanza del falso presentano; in terzo ed ultimo luogo, reso penalmente irrilevante la figura del così detto “falso qualitativo”, che ricorre allorquando il men- dacio abbia ad oggetto la sola causale – e non l’ammontare – di un costo o di un rica- vo realmente sostenuto, come accade nel tipico caso dell’amministratore che iscrive a bilancio le somme erogate illecitamente a partiti politici, appostandole tuttavia

50 Cfr. tra gli altri C. Pedrazzi, voce Società commerciali (disciplina penale), in Dig. disc. pen., XIII,

Torino, 1997, 358; F. Mantovani, Sul diritto penale dell’informazione societaria e dell’impresa (1987), ora in Id., Umanità e razionalità del diritto penale, Padova, 2008, 615; L. Foffani, Reati societari, in C. Pedrazzi-A. Alessandri-L. Foffani-S. Seminara-G. Spagnolo, Manuale, cit., 242 s.; A. Perini,

Il delitto, cit., 616 s. In senso contrario, per tutti, E. Musco, Diritto penale societario, Milano, 1999,

110 s. Quanto alla giurisprudenza, per dichiarazioni di principio conformi v. tra le altre Cass. pen., Sez. V, 11.12.1991, Scibetta, in Cass. pen., 1993, 2117; Id., 21.1.1998, Cusani, in Guida dir., 1998, n. 8, spec. 96; Id., 9.10.2000, Mattioli e altro, in Riv. pen., 2001, spec. 380 s.

51 Sia la contravvenzione dell’art. 2621 c.c. (commi 3 e 4) che il delitto dell’art. 2622 c.c. (commi

7 e 8) prevedevano infatti che la punibilità fosse esclusa: «se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene»; «se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del pa- trimonio netto non superiore all’1%»; se il fatto fosse risultato «conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta».

tra le spese di pubblicità 52: secondo l’interpretazione prevalente, infatti, l’avvenuta

subordinazione, tramite il sistema delle soglie percentuali, della rilevanza penale del mendacio alla sua influenza quantitativa sul risultato economico d’esercizio o sul pa- trimonio della società sarebbe stata incompatibile con la figura del falso qualitativo, che per definizione, come detto, lascia impregiudicata la consistenza numerica di

tali grandezze di bilancio 53. Proprio la previsione di soglie percentuali di irrilevanza

(quantitativa) del falso societario, unitamente all’equivoco loro rapporto con l’argine (qualitativo) della “sensibile alterazione”, aveva tuttavia attirato le puntute critiche della dottrina. In proposito, basterà qui ricordare che tale scelta politico-criminale era apparsa ai più come espressione della maliziosa volontà del legislatore di creare una sorta di “zona franca” consegnata al malcostume degli amministratori, che tanto più avrebbero dovuto agire con dolo di inganno, la quale, specie nelle società di grandi dimensioni, può sostanziarsi in cifre assolute di grande rilievo; e ciò senza contare che proprio nei confronti del mendacio societario più diffuso, ossia quello quantitativo, il sistema delle soglie percentuali sembrava precludere al giudice ogni vaglio sulla dimensione – assai più rilevante – qualitativa dell’informazione falsifica-

ta od omessa 54, visto che, almeno a prestare fede alle parole del legislatore storico,

il limite della “sensibile alterazione” avrebbe dovuto applicarsi solo in via alternativa

«per tutte le ipotesi in cui in cui non è possibile utilizzare tali soglie» 55.

Orbene, siffatti rilievi critici devono essere stati tenuti in massima considerazio- ne dal legislatore del duemilaquindici, se è vero che proprio la cancellazione delle predette soglie di rilevanza penale del falso societario è stata definita dagli stessi con-

ditores come il «punto centrale» della nuova disciplina 56, la quale, come già detto, si

limita a richiamare il solo requisito della «rilevanza» del fatto oggetto di mendacio. Anche a ritenere comunque salvaguardata la pregnanza offensiva delle nuove fatti-

52 Su tale figura di mendacio, v. più ampiamente E. Zigiotti, Il falso in bilancio nei suoi fondamenti

di ragioneria, Padova, 2000, 123 s.

53 In questo senso, ad esempio, E. Musco, I nuovi reati, cit., 75; F. Giunta, Lineamenti cit., 218

s.; N. Mazzacuva-E. Amati, Diritto penale dell’economia. Problemi e casi, IIª ed., Padova, 2013, 134 s.

54 Tra i numerosi critici del sistema delle soglie, v. A. Crespi, Le false comunicazioni sociali: una

riforma faceta, in Riv. soc., 2001, 1348 s.; B. Tinti, La legge “forza ladri”, in Micromega, 2001, n. 4,

176 s.; G. Marinucci, “Depenalizzazione del falso in bilancio con l’avallo della SEC: ma è proprio così?, in Dir. pen. proc., 2002, 137 s.; E. Filippi, Le soglie di non punibilità, in A. Alessandri (a cura di),

Il nuovo diritto penale delle società, Padova, 2002, 271 s.; L. Foffani, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622), in A. Giarda-S. Seminara (a cura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, Padova, 2002, 288 s.; S. Seminara, False comunicazioni, falso in prospetto e nella revi- sione contabile e ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza, in Dir. pen. proc., 2002, 678 s.

55 V. la Relazione governativa al d.lgs. 11.4..2002, n. 61, che può leggersi in Guida dir., 2002, n.

16, 28 s., spec. § 2. Era questa peraltro la conclusione cui perveniva ampia parte della dottrina: per un quadro del dibattito, sia permesso rinviare a G. Martiello, Precisazioni giurisprudenziali sulla natura

ed il modus operandi delle soglie di rilevanza penale del “falso in bilancio”, in Giust. pen., 2014, II, 23 s.

56 Cfr. il d.d.l. di iniziativa del Sen. Grasso ed altri recante «Disposizioni in materia di corruzione,

specie, garantita dal carattere ingannevole del mendacio, preme segnalare quanto meno due ricadute applicative che l’avvenuta eliminazione delle soglie verosimil- mente produrrà. La prima appare evidente: unico arbitro del carattere necessaria- mente «rilevante» del falso societario tornerà ad essere, come nel primigenio art.

2621, n. 1, c.c., il giudice 57, al quale però la legge non affida alcun criterio valutativo

di riferimento 58, e ciò anche a cercare entro la normativa comunitaria, che un tale

parametro ha introdotto nella disciplina civilistica di bilancio 59. È perciò immagina-

bile che alla perdita di precisione della fattispecie sotto questo profilo, prontamente

segnalata da qualcuno 60, corrisponderà la riemersione di quel medesimo problema

di commisurazione della rilevanza penale del falso societario già insorto nella vigenza dell’originario art. 2621, n. 1, c.c.

La seconda non è difficile da prevedere. Sia la più parte dei commentatori della riforma che la più autorevole giurisprudenza, infatti, non hanno mancato di os- servare come, salvo il rispetto degli anzidetti caratteri di rilevanza e di insidiosità del mendacio, l’avvenuta eliminazione del sistema delle soglie quantitative rende indiscutibile la rilevanza penale del falso qualitativo, sempreché esso risulti appun- to «rilevante» ed attenga alla condizioni economiche, patrimoniale e finanziarie

della società 61. Si pensi, a tacer d’altro, al possibile falso contenuto nella «nota

integrativa», la quale, come noto, nel contribuire a comporre il «bilancio» (art.

57 Circostanza, questa, non a caso prontamente segnalata dalla prima giurisprudenza: v. Cass. pen.,

Sez. V, 12.11.2015, Giovagnoli, che può leggersi, tra gli altre, in Guida dir., 2016, n. 7, spec. 88 e Cass. pen., SS.UU., 30.3.2016, Passarelli, in Cass. pen., 2016, 2748, con nota di F. D’alessandro, spec. § 10.2.

58 Nel già citato d.d.l. di iniziativa del Sen. Grasso ed altri si parla genericamente, ed al contrario, di

difformità irrilevanti in quanto «inidonee a generare nel destinatario della comunicazione un inganno in ordine alla situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società» (v. punto n. 7, 5).

59 Il riferimento è all’art. 2, n. 16, della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Con-

siglio, recepita in Italia dal già richiamato d.lgs. 136/2015, che definisce rilevante l’informazione «quando la sua omissione o errata indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli utilizzatori, sulla base del bilancio dell’impresa».

60 Di «pericolosa genericità» della formula legislativa parlano infatti R. Bricchetti-L. Pistorelli,

Per le “non quotate” la tenuità del fatto salva dalla condanna, in Guida dir., 2016, n. 26, 64. Preoccu-

pazioni simili sono espresse anche da A. D’Avirro, Il nuovo falso, cit., 118 e S. Seminara, La riforma, cit., 816.

61 Cfr. F. D’Alessandro, La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del Giudice di legit-

timità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?, in Giur. it., 2015, 2212; A. D’Avirro, Il nuovo falso, cit., 118 s.; M. Gambardella, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, 1732 s.;

V. Manes, La nuova disciplina, cit., 19 del PDF; M. Scoletta, Tutela dell’informazione societaria e

vincoli di legalità nei nuovi delitti di false comunicazioni sociali, in Riv. soc., 2015, 1307; S. Seminara, La riforma, cit., 816; F. Superti Furga, Riflessioni sulla novella legislativa concernente il falso in bilancio in una prospettiva economico-aziendalistica, in Le società, 2015, 1296; A. Rossi, Il falso valutativo nella sistematica delle false comunicazioni sociali: problemi e percorsi interpretativi, in Dir. pen. proc., 2016,

2423, comma 1, c.c.), ha il compito di fornire una nutrita serie di informazioni relative ai valori numerici espressi nello «stato patrimoniale» e nel «conto econo- mico» (v. l’art. 2427 c.c.), le quali, specie ove assumano la natura di indicazioni

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