• Non ci sono risultati.

La banalità dell’occupazione

gran parte del discorso tradizionale sulle colonie si fonda su un’interpretazione teleologica del fenomeno, un approccio che guarda alla politica di colonizzazione come al prodotto di un esercizio consapevole e deliberato di ingegneria territoriale e demografica ispirato ai canoni ideologici e alle pratiche del movimento sionista. a valle di questo approccio, la preoccupazione prevalente è stata quella di “misurare” il crescente grado di integrazione tra Israele e la Cisgiordania e determinarne le ricadute sulle prospettive del dialogo israelo-palestinese o sul futuro di Israele come “stato ebraico”. Il modello interpretativo che si è cercato qui di delineare, riassumibile nella formula della “banalità” della colonizzazione, ribalta questo discorso. La colonizzazione deve essere osservata a partire dalle dinamiche concrete che l’hanno originata, piuttosto che dai suoi presupposti ideologici e strategici: lo scopo principale di questo

27 ariel handel, Gated/Gating Community: The Settlement Complex in the West Bank, “Transactions of the Institute of British geographers”, XXXIX, n. 4, 2014; Cédric parizot, stéphanie Latte abdallah, Israelis and Palestinians in the Shadows of the Wall: Spaces

of Separation and Occupation, ashgate, aldershot, 2015; amir paz-Fuchs, Yaël ronen, Occupational Hazards: Labor Rights in the Occupied Territories, “Berkeley Journal

of International Law”, XXX, n. 2, 2012; Integrated or Segregated? Israeli-Palestinian

Employment Relations in the Settlements, in M. allegra, a, handel, e. Maggor, Normalizing Occupation.

approccio non è quello di delineare il perimetro di possibili soluzioni politico-diplomatiche, quanto comprendere come la proliferazione degli insediamenti abbia riformulato le relazioni reciproche tra le varie aree e comunità che vivono oggi nel territorio di Israele/palestina.

per fare ciò è necessario adottare un approccio olistico allo studio delle colonie: le dinamiche della politica di colonizzazione devono essere analizzate come un processo di ciò che stuart elden e neil Brenner (ispirandosi agli studi del filosofo marxista francese henri Lefebvre) hanno definito “produzione sociale del territorio”. In questa ottica, la riconfigurazione della geografia sociale della Cisgiordania non è interpretabile come la pura e semplice imposizione della razionalità astratta della potenza occupante (nella forma di concetti quali “un grande Israele”, “confini difendibili” e via discorrendo) sul territorio indigeno. Questo processo di riconfigurazione è invece avvenuto attraverso una trasformazione multidimensionale dello spazio – un processo in cui il ruolo delle routine che compongono la vita quotidiana dei residenti di Israele/palestina (recarsi al lavoro la mattina, fare la spesa, ottenere un mutuo, scegliere la scuola per i propri figli e così via) e degli artefatti che la rendono possibile è stato altrettanto importante di quello di atti più esplicitamente “politici”.

allo stesso tempo, la creazione delle colonie non ha rappresentato una espansione uniforme del territorio israeliano in Cisgiordania: le colonie non rappresentano i nuovi confini di Israele, quanto piuttosto interfacce territoriali che regolano la interazioni tra individui e gruppi nell’area di Israele/palestina, il cui territorio è stato rimodellato da un insieme di atti amministrativi, investimenti privati, politiche di sviluppo territoriale, campagne politiche, di cui possiamo valutare il significato solo in relazione al più ampio contesto dei trend politici, sociali ed economici che hanno attraversato l’area in questione. senza tracciare la relazione tra la politica di colonizzazione e questo insieme complesso di elementi, la nostra comprensione del passato e del presente della regione resterà necessariamente parziale e incompleto.

per concludere, alcune osservazioni sul concetto di “banalità” della colonizzazione. Il fatto che una componente essenziale del successo della politica di colonizzazione sia da ricercarsi nel carattere, mondano, banale e “apolitico” che l’espansione degli insediamenti ha assunto nel tempo, non significa essere ciechi davanti alle conseguenze che questo processo

ha determinato né, tantomeno, legittimarlo. Le new towns israeliane in Cisgiordania, dove decine di migliaia di coloni vivono vite assolutamente ordinarie, sono state costruite su terreni espropriati alla popolazione palestinese: la loro esistenza rende oggi difficile immaginare la nascita di uno stato palestinese nel prossimo futuro. In realtà, in questo saggio si è cercato di dimostrare come proprio la banalizzazione della colonizzazione sia stata uno degli elementi cruciali che hanno permesso che la creazione di fatti compiuti ad una scala che sarebbe stata altrimenti impensabile. Ancora una volta, il caso di Gerusalemme è particolarmente significativo in questo senso: è stata la creazione di colonie suburbane come Ma’ale adumim che ha determinato la sparizione della Linea Verde, trasformando le due metà di gerusalemme pre-1967 in una grande metropoli al centro di un vasto hinterland ebraico e palestinese.

dopo l’evacuazione delle colonie del sinai a seguito del trattato di pace israelo-egiziano, il rabbino Yoel Bin nun, uno dei fondatori del Gush Emunim, notò con un certo sconforto come l’evento avesse dimostrato che il movimento dei coloni si era rivelato fino allora incapace di “colonizzare il cuore della nazione”: l’evacuazione delle comunità del sinai segnalava come il progetto degli insediamenti restasse controverso per la società israeliana nel suo complesso, un’appendice artificiale cui era possibile rinunciare per una contropartita diplomatica.28 possiamo concludere,

tuttavia, che i coloni di Ma’ale adumim hanno in larga parte realizzato ciò in cui quelli del sinai avevano fallito. Una nuova idea di Israele è sorta nelle periferie di gerusalemme e Tel aviv – prodotta tanto dall’ethos sionista quanto dai centri commerciali, dai giardini pubblici e dalle villette a schiera che hanno portato centinaia di migliaia di coloni a trasferirsi in Cisgiordania.

Documenti correlati