• Non ci sono risultati.

Il “fiume profondo”: l’arrivo in India

Fukai kawa e Chinmoku sono i due romanzi ai quali Endō Shūsaku era più legato, tanto da volerli portare con sé nella tomba. L’omonimo

16 Endō Shūsaku, Fukai kawa o saguru, Bungeishunjū, Tōkyō, 1994, p. 18. 17 Ibid., pp. 181-182.

adattamento cinematografico del primo (1995) a opera di Kumai Kei, che ebbe modo di vedere pochi mesi prima di morire, lo commosse fino alle lacrime. Nel diario ritrovato dalla moglie dopo la sua morte, Endō parla soprattutto della stesura di Fukai kawa nel periodo che va dal 1990 al 1993 e della dura lotta con la malattia per completare il lavoro. Considerava questo romanzo come l’epilogo della sua opera, il suo testamento letterario. secondo Kawamura Minato,

il senso di summa e sintesi percepibile in Fukai kawa è attribuibile a un nuovo elemento presente nella letteratura di Endō: l’approccio positivo al concetto di tensei (rinascita, metempsicosi) in senso non-cristiano, che fino a poco prima era stato rifiutato a livello sia conscio che inconscio. nonché un tentativo particolarmente attivo verso il sincretismo delle varie fedi panteistiche e delle religioni maggiori.18

difatti il punto focale del romanzo è individuabile nel desiderio di rinascita dei personaggi principali, molto diversi l’uno dall’altro ma accomunati dalla medesima volontà. Lo scopo ultimo dell’autore non è indagare il loro mondo psicologico, bensì fare luce sulle questioni che turbano il loro animo, ponendo al centro della vicenda un gruppo di persone alla ricerca della propria anima, secondo modalità forse del tutto inedite nella letteratura giapponese moderna. e la rinascita passa attraverso le acque di “fiumi profondi”, prima quelle del Giordano, al quale allude l’epigrafe all’inizio del romanzo (“Fiume profondo, mio signore: voglio attraversarlo e raggiungere la terra del raduno”19), ultimo ostacolo che

separa gli ebrei dalla terra promessa d’Israele, poi soprattutto quelle del Gange, metafora centrale, “il fiume della rinascita, così come pare venga chiamato dagli indù”.20

Fukai kawa, in superficie, racconta la storia di un gruppo di turisti giapponesi che si reca in India alla scoperta della misteriosa terra d’origine del buddhismo. In modo molto sapiente e mirato, in specie all’inizio, l’autore inserisce qua e là descrizioni stereotipate di grandi città stipate di gente e mezzi di trasporto, di monumenti famosi e di poveri villaggi; non dimentica

18 Kawamura Minato, Indo ni anima o motomete, in “Kokubungaku kaishaku to kyōzai no kenkyū” 38, 10, 1993, p. 65.

19 Endō Shūsaku, Fukai kawa, p. 8. 20 Ibid., p. 324.

i classici itinerari di viaggio21 e le solite raccomandazioni di tipo turistico

(evitare l’acqua non bollita e la verdura cruda, non accarezzare i bambini sulla testa con la mano sinistra e così via). Ricorre a questo piccolo artificio per mettere in evidenza il lato profondo della vicenda e l’intento dei cinque protagonisti, i quali fanno sì parte del gruppo dei turisti, ma hanno scelto di andare in India per motivi molto particolari e di natura spirituale. difatti a ciascuno di essi è dedicato un capitolo introduttivo il cui titolo reca il nome proprio o il cognome, accompagnati dal termine ba’ai (“caso”),22 a voler

sottolineare il rigore pseudoscientifico con il quale Endō intende presentarli e la serietà estrema della loro situazione, trattandosi in ultima analisi di suoi cinque alter ego, come è facile evincere da alcune loro caratteristiche di chiara matrice autobiografica. Isobe si è visto strappare la moglie dal cancro e spera di ritrovarla reincarnata in una bambina di un remoto villaggio indiano (Kamloji); naruse Mitsuko, ricca e giovane donna che all’epoca dell’università (studiava letteratura francese) aveva sedotto con malignità da sadica tentatrice il compagno di corso Ōtsu (timido e di fede cattolica) e conduce un’esistenza all’insegna dell’edonismo, cerca disperatamente se stessa e il vero significato dell’amore; Numada, autore di libri per bambini con alle spalle un’infanzia in Manciuria, intende liberare un uccello esotico in un’oasi protetta indiana, convinto che un uccello di una specie simile gli abbia salvato la vita morendo al suo posto nel corso di un delicato intervento chirurgico; Kiguchi, sopravvissuto durante la guerra in Birmania e coinvolto in un episodio di cannibalismo, desidera rendere omaggio ai suoi defunti commilitoni recitando un sūtra in loro onore sulla riva del Gange; Ōtsu, ex compagno di università di Mitsuko e principale alter ego dell’autore (non fa parte del gruppo di turisti ma si trova già in India, accolto da un sādhu a Vārānasī, dove è giunto dopo aver tentato invano di diventare prete), vive in un āshram e si dedica ai malati e ai moribondi che desiderano bagnarsi nelle acque purificatrici del Gange intorno al Manikarnikā ghāt.

21 “programma di viaggio: 25/10, arrivo a delhi, city tour; 26/10, pomeriggio, partenza da delhi e arrivo a Jaipur; sera, spettacolo di danza in hotel; 27/10, arrivo a agra, visita Taj Mahal e Forte di Agra; 28/10, partenza da Agra e trasferimento in bus da Allahābād a Vārānasī”. (Endō Shūsaku, Fukai kawa, p. 169)

22 I capitoli in questione sono il primo, il terzo, il quarto, il quinto e il decimo, intitolati rispettivamente: “Isobe no ba’ai” (Il caso di Isobe), “Mitsuko no ba’ai” (Il caso di Mitsuko), “Numada no ba’ai” (Il caso di Numada), “Kiguchi no ba’ai” (Il caso di Kiguchi), “Ōtsu no ba’ai” (Il caso di Ōtsu).

Ōtsu, che forse è il protagonista assoluto di questo straordinario romanzo polifonico e nel quale l’autore veicola una buona parte del suo pensiero, è incapace di immedesimarsi nella razionalità estrema degli europei e della cristianità, in quanto la sua essenza profonda non glielo consente. La lucida logica cristiana cozza troppo duramente con la sua visione panteistica, innata nella sua coscienza asiatica. Quando un prete cattolico gli domanda: “Che cos’è dio per te?”, lui risponde candido:

Qualcosa che è nell’uomo, come nei fiori e in tutte le forme del creato, e che non è separato dall’essere umano. […] Il bene e il male non sono indistinti, ma sono un tutt’uno.23

e ancora, in una lettera a Mitsuko, scrive:

dio ha molte facce, tutte diverse. non esiste solo nelle chiese e nelle cappelle d’europa. Ma anche tra gli ebrei, i buddhisti e gli indù.24

Alla fine i protagonisti convergono verso la città sacra di Vārānasī – “che potrebbe essere definita l’India nell’India”25 – e il gange, lasciandosi

alle spalle l’alienazione e la pochezza della loro quotidianità. In questa redenzione/rinascita svolge un ruolo fondamentale di guida/medium un personaggio secondario ma di straordinaria importanza: enami, il trentacinquenne che fa da guida turistica al gruppo. In realtà si tratta di un profondo conoscitore della cultura locale, ex studente di filosofia indiana, il quale innesca il processo di risveglio spirituale, facendo visitare a Mitsuko e compagni luoghi sacri e templi induisti e non solo buddhisti, nonché istruendoli riguardo alla vera essenza della cultura autoctona.

L’induismo è estremamente complesso, non è possibile spiegarlo con parole facili. Credo che il modo migliore per cominciare a capirlo sia osservare con attenzione le immagini delle sue numerose divinità. […] La santa Vergine Maria dei cristiani è un simbolo di tenero amore materno, mentre le dee indiane sono definite nella maggior parte dei casi “dee della Madre Terra” e possono essere al contempo divinità gentili ed esseri spaventosi. Una dea

23 Endō Shūsaku, Fukai kawa, p. 191. 24 Ibid., p. 196.

in particolare, Chāmundā, si è fatta carico di tutte le sofferenze del popolo indiano. presto vi condurrò ad ammirare la sua immagine.26

La dea Chāmundā ha accettato dentro di sé le malattie degli indiani nel corso dei millenni, ha tollerato il veleno di cobra e scorpioni, eppure continua a nutrirli con il latte dei suoi seni cadenti. Questa è l’India. L’India che ci tenevo a mostrarvi.27

I riti di purificazione dello shintoismo servono a liberare dalle impurità della trasgressione e dalla corruzione del corpo. Bagnarsi nelle acque del gange, oltre al senso di purificazione, costituisce un atto di supplica per affrancarsi dal ciclo della trasmigrazione e della reincarnazione.28

A Vārānasī, Enami conduce il gruppo, a piedi, al tempio Vishvanātha, con le sue tipiche stradine e i negozi stipati e zeppi di cibi di ogni genere e manufatti tipici. poi tornano a bordo dell’autobus e si dirigono al tempio induista Nakshar Bhagavatī, fuori dai classici itinerari turistici per i giapponesi. Mitsuko ne è entusiasta, appare quasi in estasi, circondata da immagini variopinte di dee a cavallo di tigri, leoni e altri animali. dee con sembianze a volte benigne e altre malvage e feroci: due facce della stessa medaglia, che simbolizzano al contempo vita e morte, come Chāmundā, la quale è disposta a donare il latte dei suoi seni cadenti finanche ai lebbrosi.

non c’è alcuna separazione tra vita e morte, come nel caso dello stesso gange, “grande madre dell’India”,29 che accoglie nelle sue acque i vivi,

così come le ceneri dei defunti, in totale comunione, e che perciò Endō considera come il simbolo supremo della grazia divina. per Mitsuko è un momento catartico, che segna il definitivo passaggio dal buddhismo all’induismo e il suo affrancamento dall’alienazione. Così, mentre Kiguchi recita il suo sūtra per i compagni di guerra e numada libera una myna in un’oasi protetta nei pressi di Allahābād, sulla scia dei clamori e della commozione per l’assassinio di Indira gandhi, Mitsuko scende adagio nelle acque color “tè al latte” del gange avvolta in un sari, mormorando tra sé e sé a mo’ di preghiera:

26 Ibid., pp. 47-48. 27 Ibid., p. 226. 28 Ibid., p. 174. 29 Ibid., p. 228.

Ciò in cui ora posso credere è la vista di tutte queste persone, ciascuna con il proprio fardello, che pregano questo fiume profondo. […] Credo che il fiume accolga tutta questa gente e la porti via con sé. Un fiume di umanità. Le pene di questo profondo fiume di umanità. Di cui adesso anch’io sono parte.30

E Ōtsu, prima di cadere vittima di un casuale e sfortunato linciaggio e di essere trasportato in ospedale in fin di vita, ricordando molto da vicino la figura del Cristo in quanto espiatore delle colpe altrui, ha giusto il tempo di chiudere il cerchio leggendo una frase da un libro di aforismi e pensieri del Mahatma gandhi:

Come indù, credo istintivamente che esistano vari gradi di verità in tutte le religioni. Tutte le religioni scaturiscono dallo stesso dio. eppure non c’è religione che non sia imperfetta. perché tutte ci sono state tramandate da esseri umani imperfetti.31

Come osserva gessel, Fukai kawa rappresenta il capolavoro finale di Endō sull’alienazione e sulla vacuità umana, sulla ricerca dell’identità perduta della generazione del dopoguerra, attraverso l’analisi di cinque casi umani che convergono verso il gange (non a caso, il nome di quattro dei cinque personaggi principali contiene un carattere cinese il cui significato è riconducibile all’acqua) viaggiando in India, terra del buddhismo ma soprattutto di induismo e sincretismo religioso.32 Molto interessante

è anche l’analisi di Williams, il quale nel processo di “rinascita” dei protagonisti individua un riferimento al modello junghiano, nella fattispecie alla distinzione tra cinque tipi principali di rinascita: metempsicosi o trasmigrazione dell’anima, reincarnazione, resurrezione in senso lato e non solo cristiano, rinascita spirituale, rinascita mediante partecipazione a un rito di trasformazione esterno e indiretto.33 Inoltre, così come la guida

enami funge da medium innescando la scintilla del processo di rinascita dei cinque protagonisti, Ōtsu si rivela a poco a poco il vero orchestratore dell’intera metamorfosi, unificando il gruppo dal punto di vista spirituale e trasformandosi da uomo debole e inetto in potente redentore e salvatore,

30 Ibid., p. 342. 31 Ibid., p. 310.

32 V. C. gessel, The Road to the River, p. 47. 33 M. B. Williams, Endō Shūsaku, pp. 197-199.

siglando così il definitivo passaggio da “Occidente” a “Oriente”. E infine altrettanto fondamentale è il ruolo di Mitsuko, affascinata dalle divinità induiste Kālī e Chāmundā, interessata all’induismo più che al buddhismo, l’induismo in cui gli opposti coesistono in una singola entità.

più volte candidato al premio nobel per la letteratura, assegnato poi a Ōe Kenzaburō (1994), altro grande autore giapponese del secondo Novecento, Endō Shūsaku “ha realizzato con Fukai kawa, all’età di settant’anni, il suo pieno e ultimo trionfo spirituale”.34

Documenti correlati