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La genesi delle colonie

nel suo best-seller del 2013, My Promised Land, (tradotto in italiano l’anno successivo), il giornalista israeliano ari shavit dedica un intero capitolo alle colonie. per shavit, la proliferazione delle colonie rappresenta una spada di damocle sul futuro di Israele come “democrazia ebraica”. È dunque con il cuore pesante che egli cerca di comprenderne la genesi:

L’incubo che [noi membri di peace now] paventavamo [negli anni ottanta] è diventato realtà. È per questo che circa trent’anni dopo sto andando a ofra, la madre di tutti gli insediamenti: non per oppormi, ma per conoscerla. per capire come gli insediamenti, in origine una fantasia dei conservatori di destra, siano divenuti una realtà storica.9

La scelta di Shavit è significativa: Ofra è “la madre degli insediamenti” perché si tratta di una delle prime colonie stabilite (nel 1975) dal Gush Emunim. La campagna per la fondazione di ofra ebbe all’epoca una grande risonanza nell’opinione pubblica israeliana. a partire dalle sua fondazione, ofra è stato il luogo in cui gran parte dell’“aristocrazia” dei coloni nazional- religiosi risiedeva; qui veniva anche pubblicato il principale periodico del movimento, Nekuda. a conferma del senso della scelta, ad ofra shavit incontra proprio alcuni tra i leader storici del Gush Emunim – pinchas Wallerstein, Yehuda etzioni e Yoel Bin nun. In un intenso, drammatico scambio con Wallerstein, shavit arriva a perdere le staffe, e accusa apertamente il suo interlocutore di aver contribuito a mettere in pericolo ciò che il sionismo aveva faticosamente conquistato in decenni di lotte:

L’energia che vi animava era notevole, ma sulle cose più importanti vi siete sempre sbagliati […] Ci avete portati sull’orlo del baratro, Wallerstein. pensando di agire a nome nostro, avete commesso un suicidio storico.10

9 ari shavit, La Mia Terra Promessa, sperling & Kupfer, Milano, 2014, p. 213. 10 Ibid., p. 222.

nelle pagine in cui racconta del suo viaggio ad ofra, shavit esprime chiaramente quello che è il punto di vista prevalente sulla genesi degli insediamenti: “se volete capire gli insediamenti”, ci dice shavit, “dovete capire ofra”. In altre parole, gli insediamenti sono il prodotto delle azioni di un movimento di attivisti, che hanno trasformato una “fantasia dei conservatori di destra”, come Shavit la definisce, in un fatto compiuto. La vittima dei coloni-militanti è chiaramente Israele, o almeno l’Israele di quella che shavit considera l’“età dell’oro”: i due decenni che vanno dal 1949 al 1967, in cui il neonato stato sembrava aver trovato una inaspettata quadratura del cerchio demografico e territoriale e minimizzato le tensioni tra i caratteri “ebraico” e “democratico” della sua architettura costituzionale. Una rapida rassegna della letteratura accademica prodotta sul tema della colonizzazione chiarisce che la tesi di shavit è largamente condivisa: lo studio della politica di colonizzazione è stato finora, in gran parte, lo studio del movimento dei coloni. La fondazione dei primi insediamenti del gush emunim, come ofra o Kedumim, è considerata come il punto di svolta fondamentale per la storia del conflitto. Come sostiene l’antropologo israeliano Michael Feige, “non sarebbe certo un’esagerazione sostenere che [il Gush Emunim] ha cambiato la storia del Medio oriente”.11

ofra, tuttavia, non è la “madre di tutti gli insediamenti”. non lo è, prima di tutto, per banali ragioni cronologiche. nel 1975 esistevano già più di venti colonie in Cisgiordania, che ospitavano all’epoca circa 40.000 residenti, la maggior parte dei quali vivevano nei “nuovi quartieri” di gerusalemme, costruiti tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta – Ramat eshkol (1968), French hill (1969), neve Ya’akov, gilo, Talpiot and ramot (1973). La maggior pare di questi “quartieri”, pur essendo inclusi nei nuovi confini del comune di Gerusalemme, erano in effetti nuovi centri urbani, città satellite di una struttura metropolitana in espansione. nuove planned town erano già state fondate (Kiryat arba, 1968) o in fase avanzata di pianificazione (Ma’ale Adumim e Efrat). All’epoca Israele stava inoltre realizzando vari progetti industriali e infrastrutturali in Cisgiordania (come per esempio l’espansione dell’aeroporto di atarot o la costruzione dell’area industriale di Mishor adumim). nella valle del giordano erano stati creati diversi insediamenti di carattere militare e agricolo (secondo il modello del

nahal), mentre nel 1967 era stata ristabilita la comunità nazional-religiosa di Kfar etzion (distrutta durante la guerra del 1948-1949), a seguito di una trattativa tra il governo e un gruppo di vecchi residenti.

In altre parole, nel 1975 la popolazione dei coloni contava già diverse migliaia di residenti, distribuiti in insediamenti molto diversi tra loro per dimensioni, caratteristiche della popolazione e posizione geografica – tra cui le nascenti colonie del Gush Emunim. La questione cruciale, tuttavia, non è tanto cronologica quanto interpretativa: ofra non è la “madre degli insediamenti” perché non è osservando la storia della sua fondazione che è possibile spiegare i tratti fondamentali della politica di colonizzazione o la dimensione di massa rappresentata dai numeri appena descritti. Come ha notato l’antropologa israeliana hadas Weiss, la tradizionale enfasi posta sul ruolo del Gush Emunim attribuisce “un’influenza sproporzionata alla teologia nazional-religiosa”,12 di fatto impedendoci di comprendere in

modo meno semplicistico e unidimensionale la politica di colonizzazione. L’importanza del movimento dei coloni non può certamente essere negata, deve però essere posta in prospettiva. In primo luogo, come molti studiosi hanno recentemente messo in luce, il Gush Emunim e i suoi epigoni hanno sempre avuto influenti alleati nell’establishment israeliano.13 In secondo

luogo, la politica di colonizzazione come la conosciamo oggi è emersa storicamente dall’interazione tra attori molto diversi tra loro e dal modo in cui questi ultimi hanno adattato le loro pratiche alle condizioni storiche, economiche e politiche in cui si trovavano ad operare.

La letteratura accademica, al di là di alcuni contributi pionieristici prodotti nei primi anni ottanta, ha solo recentemente cominciato ad esplorare questo approccio olistico, che rigetta l’idea che la colonizzazione sia il prodotto di fattori esclusivamente di tipo ideologico e strategico.14 12 hadas Weiss, Settling in the Hearts: Jewish Fundamentalism in the Occupied

Territories by Michael Feige, “Cultural anthropology” XXIV, n. 4, 2009, p. 757.

13 a. eldar, I. zertal, Lords of the Land; r. ranta, Political Decision Making and Non-

Decisions; g. gorenberg, The Accidental Empire.

14 Questi studi si sono concentrati, per esempio, sulla relazione tra lo sviluppo della colonizzazione, da un lato, e l’evoluzione delle politiche di welfare e di pianificazione territoriale in Israele dall’altro: gadi algazi, Matrix in Bil’in: A Story of Colonial Capitalism

in Current Israel, “Theory and Criticism”, XXIX, 2006; Offshore Zionism, “new Left

review”, XL, 2006; danny gutwein, Some Comments on the Class Foundations of the

Occupation, “Theory and Criticism” XXIV, 2006; erez Maggor, State, Market and the Israeli Settlements: The Ministry of Housing and the Shift from Messianic Outposts to

nel loro insieme, questi studi hanno mostrato come la partecipazione di decine di migliaia di israeliani “normali” – cioè relativamente disinteressati al significato politico della colonizzazione – sia stata un fattore decisivo in questo processo. In questo senso, colonie “suburbane” come Ma’ale adumim rappresentano la realtà degli insediamenti molto meglio di ofra. non solo la gran parte dei coloni risiede in comunità suburbane come Ma’ale adumim, che da sola conta 40.000 residenti, contro i 3.000 di ofra, ma la natura suburbana che la colonizzazione ha assunto nel tempo ha permesso la formazione di un consenso largo e trasversale nella società israeliana attorno a questa politica – in particolare sull’espansione dei due maggiori centri metropolitani israeliani, Tel aviv e gerusalemme, e nelle aree della Cisgiordania. Questo consenso ha rappresentato la condizione per la creazione di sinergie tra interessi pubblici e privati e per la formazione di ampie ed eterogenee coalizioni di attori a sostegno della politica di colonizzazione.15 Insediamenti suburbani come Ma’ale adumim, ariel,

Karnei shomron, alfei Menashe o givat ze’ev – e, più recentemente, Beitar Illit e Modi’in Illit – si sono sviluppati proprio perché hanno beneficiato del sostegno trasversale di israeliani di ogni orientamento politico. Queste colonie rappresentavano, per architetti e urbanisti, una risposta adeguata alle sfide della pianificazione urbana e territoriale di una società in forte crescita demografica; per l’amministrazione centrale, uno strumento efficiente per fornire servizi alle comunità locali; per uomini d’affari, costruttori e agenti immobiliari, ottime opportunità per realizzare profitti; per alcuni politici, un meccanismo per distribuire risorse al proprio elettorato; per centinaia di migliaia di israeliani, la risposta adeguata alle proprie necessità materiali e, in ultima analisi, un vettore di mobilità sociale. per attivisti e politici votati all’idea di un “grande Israele”, infine, comunità in grado di crescere rapidamente e ridisegnare i contorni demografici e territoriali della Cisgiordania, in particolare rafforzando il controllo israeliano nell’area di gerusalemme, rappresentavano un fatto compiuto di inestimabile valore politico.

Urban Settlements in the Early 1980s, “Israeli sociology” 16, n. 2, 2015.

15 Marco allegra, The Politics of Suburbia; Marco allegra, ariel handel, Settling the Red

Hill. The Establishment of the Jewish Settlement of Ma’ale Adummim, 1968-1978, paper

presentato alla quarta conferenza annuale della european association of Israel studies (eaIs), Cagliari, settembre 2015.

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