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Coloni, colonie, tra realtà e stereotip

Alla maggior parte di coloro che si interessano, anche superficialmente, alla cronaca delle vicende israelo-palestinesi, la parola “colono” richiama di solito alla mente un’immagine abbastanza precisa. Il colono è un militante radicale, il cui credo fa riferimento alle correnti “nazional-religiosa” o “revisionista” del sionismo. Lo stereotipo lo raffigura barbuto e armato di fucile mitragliatore, mentre si aggira minaccioso per le vie del centro di hebron, mentre partecipa a manifestazioni di protesta o a qualche azione a sostegno di questa o quella colonia minacciata di evacuazione, oppure impegnato in scontri a volte violenti con le autorità militari israeliane o con la popolazione palestinese. Le immagini delle colonie tendono spesso a costituire il logico complemento di questo stereotipo, mostrando solitari avamposti costruiti in cima alle colline (“colonie-fortezza” che permettono il controllo delle comunità palestinesi circostanti) o l’insediamento di

The Politics of Everyday Life in the West Bank Settlements, Indiana University press,

sparuti nuclei di coloni nel cuore delle città palestinesi (come appunto nel centro di hebron, o nei quartieri di sheik Jarrah e silwan nel centro storico di gerusalemme).

Fin qui il lato dell’immaginario e della costruzione mediatica degli oggetti “colono” e “colonia”: è interessante notare, tuttavia, come la letteratura accademica sul tema abbia largamente riprodotto, sebbene in termini più elaborati ed eruditi, questo stesso stereotipo. Fin dai primi contributi pubblicati sul tema, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni ottanta, la ricerca si è prevalentemente concentrata sul movimento dei coloni e sulla relazione tra quest’ultimo e lo stato israeliano. Il filone più ricco di studi specifici sulla colonizzazione è quello che si è sviluppato sul “fondamentalismo ebraico” e sui tratti ideologici e organizzativi di formazioni come il Gush Emunim – il “Blocco dei Fedeli”, il movimento dei coloni nazional-religiosi fondato nel 1973 e protagonista, negli anni successivi, di diverse importanti campagne politiche e mediatiche a sostegno della colonizzazione della Cisgiordania.3 parallelamente, una

serie di altri studi hanno considerato la simbiosi tra il movimento dei coloni e l’establishment israeliano (alternativamente descritto come complice o vittima dei coloni) e l’impatto di questa dinamica sulle relazioni israeliano- palestinesi.4

Questa immagine dal colono-attivista, tuttavia, si scontra con alcuni elementi fattuali che ne evidenziano il carattere stereotipato. prima di tutto

3 rael Jean Isaac, Israel Divided: Idealogical Politics in the Jewish State, Johns hopkins University press, Baltimore, 1976; Ian Lustick, For the Land and the Lord: Jewish

Fundamentalism in Israel, Council on Foreign relations, new York, 1988; gideon aran, Jewish Zionist Fundamentalism: The Block of the Faithful in Israel (Gush Emunim), in

Martin e. Marty, r. scott appleby (a c. di), Fundamentalism Observed, University of Chicago press, Chicago, 1991; ehud sprinzak, The Ascendance of Israel’s Radical Right, oxford University press, new York, 1991; aviezer ravitzky, Messianism, Zionism, and

Jewish Religious Radicalism, University of Chicago press, Chicago, 1996; Michael

Feige, Settling in the Hearts: Jewish Fundamentalism in the Occupied Territories, Wayne state University press, detroit, 2009; gadi Taub, The Settlers: And the Struggle Over the

Meaning of Zionism, Yale University press, new haven, 2010.

4 gershom gorenberg, The Accidental Empire: Israel and the Birth of Settlements, 1967-

1977, Times Books, new York, 2006; akiva eldar, Idith zertal, Lords of the Land: The War Over Israel’s Settlements in the Occupied Territories, 1967-2007, nation Books, new

York, 2007; si veda anche lo studio più ampio di ronald ranta, Political Decision Making

and Non-Decisions: The Case of Israel and the Occupied Territories, palgrave Macmillan,

un dato semplicemente numerico: come è già stato sottolineato, il numero dei coloni nel 2013 era di poco inferiore alle seicentomila unità, equivalente a circa un decimo del numero totale degli ebrei israeliani (6.100.000 su una popolazione totale di oltre otto milioni). Queste cifre, che descrivono la colonizzazione nei termini di un fenomeno di massa, mal si conciliano con l’immagine del colono-attivista, pioniere sionista dedito alla redenzione della terra. E in effetti gli stessi coloni, quando interrogati, sono i primi a smentire questa immagine: nel 2007 l’organizzazione peace now pubblicò i risultati di una ricerca che indagava le motivazioni che avevano spinto i coloni a trasferire la propria residenza nei territori occupati: il 77% degli intervistati citava motivazioni legate alla “quality of life” come il fattore primario che aveva orientato la sua scelta.5

Ma perché mai, potremmo domandarci, israeliani alla ricerca di una migliore “qualità della vita” dovrebbero trasferirsi nel bel mezzo di una grande città araba o in un container piazzato sulla sommità di una collina? Naturalmente non è molto difficile smascherare anche questo stereotipo: in effetti, la maggior parte della popolazione dei coloni vive in insediamenti che costituiscono a tutti gli effetti una parte integrante delle aree metropolitane di gerusalemme e Tel aviv: fra i centri la cui popolazione supera i diecimila residenti vi sono i “nuovi quartieri” costruiti a gerusalemme est (gilo, ramot allon, neve Ya’akov, pisgat ze’ev, har homa, ramat shlomo e east Talpiot) e altre grandi comunità in Cisgiordania (Modi’in Illit, Beitar Illit, Ma’ale adumim, ariel e givat Ze’ev). Alla fine del 2011 questi dodici centri ospitavano una popolazione complessiva di circa 330.000 residenti, mentre una decina di altre colonie avevano una popolazione compresa tra le cinquemila e le diecimila unità (si veda Fig. 1, 2).6 In altre parole, contrariamente allo stereotipo, la

stragrande maggioranza dei coloni vive a poca distanza dalla Linea Verde, in comunità relativamente grandi, dotate di servizi efficienti e ben connesse ai principali centri economici del paese. per essere più precisi, secondo una stima elaborata da chi scrive, alcuni anni fa tra i due terzi e i quattro

5 Michael hopp, Attitudes of Settlers in the West Bank and Gaza About the Possibility

of Leaving (Abridged Report), 2002 (peacenow.org.il/eng/sites/default/files/Settlers%20

survey%20results.pps).

6 I dati sulla popolazione dei coloni sono stati compilati dalla ong israeliana BTselem: B’Tselem, Settlement Population, Xls, 2013 (http://www.btselem.org/download/ settlement_population.xls).

quinti dei coloni (a seconda della definizione spaziale adottata) vivevano nella sola area metropolitana di gerusalemme.7

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