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5 4 Sintesi conclusiva su Il bandito e l'amore

6. Il bandito e la Sehnsucht

Sehnsucht è una parola chiave dello spirito romantico tedesco indicante il desiderio interiore e incolmabile verso qualcosa di indefinito. Il Romanticismo, movimento politico, filosofico, letterario e artistico, affermatosi in Europa tra la fine del diciottesimo secolo e l'inizio del diciannovesimo, rivalutò l'immaginazione, la fantasia, il sentimento e la libertà dell'individuo, in contrasto con il razionalismo illuministico e il Neoclassicismo. Il movimento ha, dunque, una Weltanschauung basata sul fondamentale valore del sentimento, inteso come motore delle azioni degli uomini, e presuppone la scoperta di una nuova fonte di ispirazione che, per quanto fosse presente anche nei secoli precedenti, assume grande importanza: si tratta dell'anima romantica, in tutte le sue sfumature, sempre posta in contrasto con il mondo esterno.

Questo mutamento fa sì che per i romantici l'uomo si trovi in una condizione di permanente inquietudine, in preda al disagio perenne, a cui si accompagna il bisogno costante di evadere dall'esistenza reale sentita come una prigione per l'Io. Il mondo reale è ritenuto una gabbia perché è caratterizzato dalla finitezza, mentre l'Io tende ad espandersi infinitamente, con due risultati possibili: uno slancio che può condurre l'uomo positivamente verso Dio e l'assoluto, oppure, negativamente, verso l'annullamento, una condizione prenatale.

Il termine Sehnsucht fu introdotto dai fratelli Schlegel per indicare la ricerca di qualcosa di indeterminato nel futuro e si potrebbe tradurre con “dipendente dal desiderio”, ovvero il costante anelito che conduce l'uomo a non accontentarsi mai di ciò che raggiunge o possiede, bensì lo spinge sempre verso nuovi traguardi. Tale desiderio logora l'uomo al suo interno, poiché è sempre teso verso un oggetto irraggiungibile, tanto che si può trasformare in desiderio di morte, in una forza distruttiva o autodistruttiva. La Sehnsucht è assimilabile

alla malinconia che era definita, nella tradizione della medicina umorale classica, “nero veleno”, indicando un effetto corrosivo che colpiva gli organismi non più temperati dall'umore sanguigno. Come osserva L. Mittner (Fiume 1902– Venezia 1975), studioso della letteratura tedesca, la cui opera più nota è la monumentale Storia della letteratura tedesca (Einaudi, 1964-77 ed edizioni successive):

«non è il sentimento che si afferma al di sopra della ragione o un sentimento di particolare immediatezza, intensità o violenza, e non è neppure il cosiddetto sentimentale, cioè un sentimento malinconico contemplativo; è piuttosto un fatto di sensibilità, il fatto puro e semplice, appunto, della sensibilità, quando essa si traduca in uno stato di eccessiva o addirittura permanente impressionabilità, irritabilità o reattività. Domina nella sensibilità romantica l'amore dell'irresolutezza e delle ambivalenze, l'inquietudine e l'irrequietezza che si compiacciono di sé e si esauriscono in sé. La più caratteristica parola del romanticismo tedesco, Sehnsucht […] è un desiderio che non può mai raggiungere la propria meta, perché non la conosce o non vuole e non può conoscerla: è il “male” (Sucht) “del desiderio”(Sehnen). Ma Sehnen stesso significa assai spesso un desiderio irrealizzabile perché indefinibile, un desiderare tutto e nulla ad un tempo; non per nulla Sucht fu reinterpretato, con una di quelle false etimologie che sono invece creazione di nuove realtà psicologiche ed artistiche, come un Suchen, un cercare; e la Sehnsucht è veramente una ricerca del desiderio, un desiderare il desiderare, un desiderio che è inestinguibile e che proprio per ciò trova in sé il proprio pieno appagamento»311.

L'infelicità dell'uomo romantico proviene da una sproporzione tra l'ideale e il reale, tra l'assoluto e il contingente: l'Io rifiuta, nella sua tensione all'assoluto, di essere ridotto nella mediocre prigione della realtà. Nel campo letterario tale sentimento si traduce nel grande tema dello scacco e della morte dell'eroe incapace di adattarsi a un ordine di cui gli sfugge il significato e che richiederebbe la rinuncia ai principi più sacri della coscienza.

Lo spirito romantico si caratterizza per un'inadeguatezza al mondo, per un'insofferenza verso i limiti del presente che genera questo desiderio struggente, nostalgico, proprio di un Io diviso che cerca di evadere verso qualcos'altro. Si verificano così fughe nello spazio e nel tempo, verso paesi lontani, luoghi del sogno, o regressioni in un passato intriso di nostalgia,

311Marchesi Riccardo, Grillini Andrea, Scrittori e opere. Storia e antologia della letteratura italiana III. 1. Dal romanticismo al positivismo, La Nuova Italia, Firenze 1987, p. 120

nella fanciullezza o nella giovinezza illusa. L'Io romantico, oppresso da questa tensione conflittuale con la realtà, può anche sprofondare nell'inconscio, divenendo puro istinto e pulsione non controllata.

Il mal du siècle è, dunque, una malattia spirituale sottile, angosciosa, indistinta, che spinge chi la prova ad una condizione di solitudine, generando un senso di vuoto e di inutilità, che può sfociare nella distruzione o nell'autodistruzione. L'eroe romantico, infatti, è colui che combatte contro l'ordine costituito e una società di cui non accetta le ingiustizie. Una volta presa consapevolezza della vanità di questa lotta può scegliere di darsi la morte: questo atto non deve essere inteso come un fallimento, bensì come riaffermazione orgogliosa e titanica di un Io libero che si rifiuta, uccidendosi, di cedere alla mediocrità della vita. Tale attrazione verso la morte e tale atteggiamento distruttivo ricadono sotto la denominazione di Todessehnsucht.

La Todessehnsucht è evidentemente collegata con il titanismo: negli individui titanici il culto dell'Io è spinto fino al narcisismo. L'esaltazione della personalità geniale ed eroica può condurre verso una ribellione contro la società. La faccia opposta al titanismo e che, talvolta, connota gli eroi romantici, è il vittimismo, la voluptas dolendi, dunque un'altra forma di ribellione rivolta esclusivamente verso se stessi, poiché non si manifesta in azioni aggressive contro la società. Da un lato si precisa l'eroe “vittimista”, malato nella volontà, incapace di cambiare il reale, tutto dedito all'autocommiserazione, mentre dall'altro il ribelle, l'uomo satanico, in grado di contrapporre se stesso al corso normale degli eventi. Questi due caratteri si riscontrano negli eroi romantici, anche mescolandosi tra loro.

L'eroe romantico è sommamente libero, proteso verso un sogno di pienezza e di felicità irrealizzabile, così che nelle opere viene rappresentata una vasta gamma di sentimenti: dalla gioia e dall'euforia dei grandi gesti, alla disperazione buia, fino al continuo pensiero

della morte. Gli eroi messi in scena sono uomini di grande animo, malinconici, capaci di azioni mirabili nel bene e nel male. Questa ambivalenza tra esaltazione e abbattimento, tra gesti meravigliosi nel bene o nel male, è il carattere che meglio descrive la duplicità dello spirito malinconico. Jean Starobinski (Ginevra,1920), psichiatra e studioso di letteratura francese, che ha dedicato molti dei suoi studi alla malinconia, riflette a proposito delle rappresentazioni tradizionali degli spiriti malinconici:

« Aristotele, divulgato da Ficino, ha fondato una definizione durevole: il malinconico è colui che, meglio di un altro, può innalzarsi ai più alti pensieri; ma se la bile nera, da ardente com'era, finisce col consumarsi e si raffredda, diventerà glaciale e si convertirà […] in “nero veleno”. È sufficiente, di nuovo, rifarsi alla tradizione letteraria e iconologica, quale si è sviluppata a partire dai secoli XVI e XVII: è il malinconico, il cui spirito vola in cielo nell'estasi dell'intuizione unitiva; è ancora una volta il malinconico ad allontanarsi nella solitudine, ad abbattersi nell'immobilità, a lasciarsi invadere dal torpore e dalla disperazione.

Esaltazione e abbattimento: questa duplice virtualità appartiene a uno stesso temperamento, come se uno di questi stati estremi fosse accompagnato dalla possibilità -pericolo o fortuna- della condizione opposta. Pittori, incisori, scultori, hanno lasciato immagini in cui talvolta mancano indizi sicuri che permettano di distinguere tra la tristezza sterile e la meditazione feconda, tra l'abbattimento del vuoto e la pienezza del sapere. La gravità ispirata, il genio pensieroso talvolta si situano al centro di questi due stati: l'artista che rappresenta questi personaggi vuole che li si conosca abitati dal pensiero della morte e da pensieri immortali.»312

Questa ambivalenza dello spirito malinconico degli eroi romantici spiega il brulicare di figure di banditi e di masnadieri all'interno dell'immaginario romantico poiché, sia che essi agiscano a favore dei più deboli contro un mondo ingiusto, sia che siano portatori di distruzione, rispecchiano l'idea di un Io che, per mezzo della ribellione, aspira a qualcosa di irraggiungibile.

Il Romanticismo, non a caso, darà grandissima importanza al Diavolo, ritenendolo il simbolo di questa ribellione contro il limitato mondo reale. Charles Baudelaire (Parigi, 1821- ivi, 1867) è colui che meglio spiega la bellezza che i romantici intravedono nel principio del

312Starobinski Jean, La malinconia allo specchio, (tit. or. La Mélancolie au miroir, 1989), trad. a c. di Daniela De Agostini, Garzanti, Milano 1990, p. 34

male: per il poeta de I fiori del male, Satana è «l'essenza stessa della bellezza, che per essere perfetta deve evocare un'idea di potenza, e al tempo stesso risvegliare un sentimento di “malinconia” e di aspirazione a un “altrove” che nessuna forma compiuta saprebbe soddisfare»313. Baudelaire, trattando di Satana, pone

l'accento sullo spirito malinconico, sullo scontro dell'Io con i limiti del reale: il poeta non può non ammirarlo nella rappresentazione di Milton ne Il Paradiso perduto. A questo proposito merita di essere riportata una pagina degli scritti intimi di Baudelaire, in cui l'immagine di Satana, caratterizzata da infelicità, titanismo e malinconia, gli suggerisce un'idea di Bellezza che non ha eguali:

«Ho trovato la definizione del Bello – del mio Bello. È qualcosa di ardente e di triste, qualcosa di un po' vago, che lascia spazio alla congettura … Una bella testa d'uomo non ha bisogno di implicare, fuorché forse agli occhi di una donna... questa idea di voluttà che in un volto di donna è una provocazione tanto più attraente quanto più il viso è generalmente malinconico. Ma questa testa conterrà anche qualcosa di ardente e di triste – bisogni spirituali, ambizioni tenebrosamente respinte-, l'idea di una potenza accusatrice e inoperosa- talvolta l'idea di un'insensibilità vendicatrice (poiché il tipo ideale del Dandy non è da trascurare a questo proposito)-, talvolta anche- ed è uno dei tratti di bellezza più interessanti- il mistero, e infine (perché io abbia il coraggio di confessare quanto mi sento moderno in estetica) l'Infelicità. - Io non escludo che la Gioia possa associarsi alla Bellezza, ma affermo che la Gioia è uno dei suoi ornamenti più volgari; -mentre la Malinconia ne è per così dire l'illustre compagna, al punto che non riesco quasi a concepire (il mio cervello è forse uno specchio stregato?) un tipo di Bellezza in cui non vi sia dell'Infelicità. - Basandomi su- altri direbbe: ossessionato da- queste idee, si capisce che mi sarebbe difficile non concludere che il più perfetto tipo di Bellezza virile è Satana – alla maniera di Milton».314

La figura del Diavolo e quella del fuorilegge sono celebrate dai romantici proprio per i valori morali che essi incarnano, sebbene, proprio a causa di essi, si scontrano con il mondo e generano distruzione. La ribellione di questi personaggi diviene la protesta contro l'oppressione insopportabile della società, una rivendicazione della creatura umiliata e un

313Milner, Satana e il Romanticismo, cit., p. 15

314Ibid., p. 16; oppure Baudelaire Charles, Diari Intimi (Journaux intimes s.d.), trad. a c. di Lucia Zatto, Einaudi, Torino 1948, p.14

tentativo di instaurare nel mondo una sorta di paradiso in cui l'uomo possa essere padrone di sé stesso, una volta liberatosi dai vincoli della religione e della morale. Esse sono odiate da questi eroi poiché giustificano il giogo sopportato dai più deboli, lasciandoli nell'ignoranza e nella miseria.

L'accento sulla libertà di cui queste figure si fanno portavoce è posto anche dal socialista Proudhon (Besançon 1809-1865), che non a caso è citato dal critico Max Milner nella sua opera Satana e il Romanticismo:

«Vieni Satana, vieni, o calunniato dei preti e dei re, che io ti abbracci, che io ti stringa al mio petto! È tanto che ti conosco e anche tu mi conosci. Le tue opere, o benedetto del mio cuore, non sono sempre belle né buone, ma sono le sole che danno senso all'universo e gli impediscono di essere assurdo. Che cosa sarebbe, senza di te, la Giustizia? Un'idea, forse un istinto; la ragione? Un'abitudine; l'uomo? Una bestia. Soltanto tu animi e fecondi il lavoro; tu nobiliti la ricchezza, tu offri un pretesto all'autorità, tu metti il sigillo alla virtù. Spera ancora, o proscritto!» 315

Se Satana è il rappresentante di valori così legittimi allora è normale che venga celebrato nelle opere romantiche, sebbene le sue azioni, per quanto tendano alla liberazione dell'uomo, lo condurranno agli inferi. La dialettica tra l'utopia di un mondo equo, in cui l'uomo possa vivere liberamente, e la consapevolezza dei limiti della realtà affligge lo spirito dei banditi, progenie di Satana, e li pone sotto il dominio della Sehnsucht [figg. 11-12-13].

6.1 Karl Moor, l'eroe malinconico di Schiller

Un esempio di eroe malinconico è Karl Moor de I masnadieri di Schiller (1782). I ritratti che ce lo rappresentano mettono in luce il suo spirito eroico, la propensione a scontrarsi con la società in cui vive in una lotta fallimentare che lo condurrà alla distruzione della sua stessa

vita. Il ritratto fatto dal fratello nemico Franz, nel dialogo con suo padre, mostra l'indole di un Karl ancora giovane:

«FRANCESCO […] Non presentivo io forse tutto ciò quand'egli, ancora ragazzo, correva dietro alle femmine, scorrazzava per campi e prati con i monelli e ogni sorta di marmaglia, schivava le chiese come un malfattore la prigione, e buttava nel cappello del primo mendicante che incontrava i soldi che vi aveva estorto tormentandovi in mille guise, mentre noi qui a casa ci si edificava lo spirito recitando preghiere e leggendo libri di devozione?...»316

Questa descrizione, come nota Zaragoza, in Héroȉsme et marginalité, è interessante per più versi perché oltre ad esprimere una verità sul carattere di Karl è un ritratto fatto secondo un punto di vista particolare, quello del fratello che incarna gli ideali borghesi. La borghesia, dominante quando esce l'opera di Schiller, viene presentata come una classe venerante i valori materiali: se, da una parte, è sottomessa alla chiesa, dall'altra, è un ceto che disprezza i mendicanti e ritiene la carità non come un atto di umanità, bensì come un gesto che acquista un senso solo se può accrescere la posizione sociale. È una classe che certamente è invisa a Schiller, che aveva ereditato la tradizione pietista dalla madre, tanto che si può affermare che le simpatie dell'autore vanno tutte a Karl, per questi atteggiamenti che, sebbene non siano ancora consapevoli atti di ribellione, già minano la società in cui vive317 .

Il ritratto continua mostrando la sensibilità e la forza del giovane Karl, presentandolo come un predestinato, seguendo la tradizione antica per cui gli eroi fin da fanciulli hanno caratteri speciali che ne dimostrano la grandezza.

« FRANCESCO […] Quello spirito di fuoco che ardeva nel fanciullo, che lo rendeva così sensibile allo stimolo di ogni cosa bella e grande, la lealtà che traspariva dal suo sguardo, il suo tenero sentimento che si scioglieva in simpatia ed in pianto davanti ad ogni dolore, quel virile coraggio che lo spingeva ad arrampicarsi sulla cima delle 316Schiller, I masnadieri, cit., pp.17-18