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Come divenni brigante: un punto di vista interno al brigantaggio

3. Profilo storico del banditismo: il caso del brigantaggio italiano

3.3 Come divenni brigante: un punto di vista interno al brigantaggio

L'Autobiografia di Carmine Crocco, capo legendario del brigantaggio lucano146 post-unitario,

è illuminante per comprendere i rapporti tra i briganti e le autorità [fig.6]. Le sue Memorie vennero scritte dallo stesso brigante durante l'ergastolo e pubblicate nel 1903 presso la tipografia Grieco a cura del capitano del regio esercito Eugenio Massa in un libro denominato Gli ultimi briganti della Basilicata: Carmine Donatelli Crocco e Giuseppe Caruso. Carmine Crocco nacque in Rionero in Vulture il 5 giugno del 1830. Pastore nominato “Donatelli”, fu arruolato nell'esercito napoletano ma disertò ben presto e costituì una banda armata con Ninco Nanco147. Arrestato, fu condannato a 19 anni di prigione ma, evaso, fuggì nella zona del

145Blok, The Peasant and the Brigand: Social Banditry Reconsidered, in Comparative Studies in Society and History, cit.

146La Lucania corrispondeva pressappoco alla zona della Basilicata.

Vulture dove visse latitante. Nel 1860 aderì al movimento insurrezionale ma non ottenne la grazia e fu arrestato il 27 gennaio del 1861. Dal carcere riuscì ad evadere nella notte tra il 3 e il 4 febbraio del 1861 con la complicità del capitano della Guardia Nazionale, presso cui era intervenuta l'importante famiglia di parte borbonica dei Fortunato di Rionero, con cui aveva preso contatti dopo il rifiuto della grazia. A questo punto raccolse in una numerosa banda i soldati sbandati, i disertori ed i malcontenti e, come loro comandante, partecipò ai moti legittimisti scoppiati nel melfese. Egli continuò la sua battaglia fino alla fine, la disfatta sull'Ofanto: dopo questo episodio convinse i suoi compagni a costituirsi, e si recò nello Stato Pontificio, aspettandosi di essere ricevuto con gli onori che meritava un generale borbonico, ma fu fatto arrestare. La condanna alla pena capitale venne trasformata in lavori forzati a vita, fino alla morte avvenuta nel bagno di Portoferraio il 18 giugno 1905.

Crocco nell'Autobiografia si mostra fin da subito come un uomo orgoglioso che non si piega di fronte ai soprusi sociali, che desidera una società equa e più giusta, tanto da non accettare l'oltraggio ricevuto da sua madre da parte di un proprietario del luogo. Questa immagine che il brigante dà di sé è perfettamente conforme all'idea del “bandito sociale” che non accetta di sottomettersi alle autorità inique e decide di farsi giustiziere. Riporto qui, a titolo di esempio, due estratti dalle Memorie tra i tanti possibili:

«Ed ora dopo tanti anni vi ripeto che quel figlio che ha la sorte di nascere da una virtuosa madre, dessa avendo ricevuto il minimo oltraggio da un uomo prepotente, se non prende vendetta, egli è un codardo, un uomo dappoco. Dunque io che nascendo, ho creduto che sulla terra ero qualche cosa, per un oltraggio fatto alla mia povera madre, mi sono accinto a fare scorrere torrenti di sangue, e vi sono riuscito a meraviglia!...»148.

E ancora:

« Ma purtroppo io non ero nato per zappare il suolo, a me non spettava la gioia dell'uomo onesto; […] Crocco.

148Crocco Carmine, Come divenni brigante (1903), a cura di Tommaso Pedio, Lacaita, Manduria 1964, pp. 28- 29

Ed ora che nella solitudine del carcere penso al passato e cerco colla mente scoprire come mai io, nato poverissimo, abbia potuto avere idee da signore sin da piccino, e non abbia di poi, col crescere della ragione, saputo vincere questa smisurata tendenza a voler prevalere, a voler essere qualche cosa, sia pure un grande infame, ne attribuisco la causa a ragioni diverse.»149

L'indole coraggiosa emerge già nel 1849 quando divenne soldato di Ferdinando II e, sebbene la disciplina non lo spaventasse e il servizio militare gli era simpatico, disertò ben presto per assassinare un uomo che aveva oltraggiato la sorella150. Dopo questo episodio, la

volontà di sfruttare il suo valore per divenire un eroe lo indusse a partecipare ai moti rivoluzionari che seguirono l'arrivo di Garibaldi. Carmine non sembra spinto solo dalla ricerca della fortuna, dal motivo dei “soldi”, bensì dal desiderio di riabilitare la propria posizione e rientrare all'interno dell'ordine sociale e da una volontà di redenzione che è comune a molti altri banditi [Cfr. cap.3.1].

« Le vittorie di Garibaldi ebbero per effetto di far insorgere i cosiddetti liberali della Basilicata; i comitati segreti che facevano capo e Corleto avevano da tempo le popolazioni a insorgere contro il mal governo borbonico, per cui in tutti i paesi era un tacito affaccendarsi a prontar armi, a fabbricar cartucce per essere pronti a menar le mani nel momento designato.

Credetti giunto il momento della mia riabilitazione morale. Condannato a grave pena per aver ucciso un vile che aveva cercato di disonorare l'unica mia sorella, io aveva coll'astuzia e colla forza, vinta la continua persecuzione dei gendarmi, guadagnandomi la libertà con altro sangue, la vita con rapine ed aggressioni.

Sotto un governo nuovo, da tutti proclamato liberale […] io speravo di sorgere a vita nuova, riacquistare quella libertà perduta, per l'onore della famiglia, onde approfittando dei moti popolari mi mescolai cogl' insorti di Rionero e con essi presi parte al moto rivoluzionario.»151

Carmine, purtroppo, non ebbe la grazia e fu arrestato, ma riuscì ad uscire dal carcere grazie all'aiuto di «tutti coloro ai quali la rivoluzione era stata di danno, dai più sfegatati borbonici, ai melliflui liberali, dagli impiegati, che avevano perduto un lauto stipendio, ai preti e ai frati, resi furibondi dalla

149Ibid., p. 44 150Ibid., p. 51 151Ibid., p.55

legge contro i possessi del clero»152. È evidente come le autorità riuscissero a sfruttare la forza dei

fuorilegge e ad accaparrarsi il loro aiuto nella lotta contro le forze unitarie. In questo modo Crocco passò dalla parte di Francesco II, in nome del quale organizzò la resistenza con l'appoggio di comitati reazionari che gli fornirono armi, cavalli, uomini per la sua banda, tanto che in poco tempo divenne Generale con un vero e proprio esercito ai suoi ordini:

«Il grido d'onore dei miei satelliti era un evviva pel caduto Francesco II (da me costantemente aborrito), l'emblema una bandiera bianca con nastri azzurri. […]

Promettevo a tutti mari e monti, onore e gloria a bizzeffe; ai contadini facevo balenare la certezza di guadagnare i feudi dei loro padroni, ai pastori la speranza di impadronirsi degli armenti affidati alla loro custodia; ai signorotti decaduti il recupero delle avite ricchezze e la gloria degli smantellati castelli, a tutti molto oro e cariche onorifiche. E così mentre io facevo servire da puntello al mio potere tutto l'elemento infimo, ignorante ed ambizioso, il clero e i nobili borbonici si servivano dell'opera mia per avvantaggiarsi nella reazione... A poco a poco io mi trovai quasi involontariamente a capo dei moti reazionari e m'ingolfai in essi, sicuro di ricavarne guadagno e gloria.»153

Presto, a causa delle leggi speciali e dello stato d'assedio in cui è posto il Mezzogiorno, caddero tutte le illusioni e il brigantaggio tornò ad essere delinquenza comune: gli eroi furono nuovamente ritenuti fuorilegge e costretti a fuggire alla cattura, generando terrore in tutta la regione. Questa lotta non si sarebbe prolungata a causa delle leggi speciali e dello stato d'assedio in cui fu messa l'isola. Infine, giunse il tradimento di Giuseppe Caruso, di cui Crocco parla con grandissimo odio, paragonandolo al fratricida per eccellenza, Caino. Questo paragone mette in evidenza che Crocco, pur essendo un bandito, condanni l'infedeltà e possieda valori morali come l'onestà.

«Fra i codardi che ci abbandonarono per presentarsi alle Autorità, il più vile fu certamente Giuseppe Caruso. Questo scellerato Caino, dopo di aver consumato il fratricidio si presentava con altri suoi perfidi compagni, e dopo pochi mesi veniva liberato dal Governo. Quindi alla testa della truppa incominciò la caccia dei suoi 152Ibid., p. 58

compagni, e in pochi mesi rese al governo quel servizio che non ebbe mai dal poderoso esercito.

Caruso il vile assassino di Pio Masiello, contribuì all'uccisione dell'unico fratello suo, e quel sangue grida ancora oggi vendetta contro di lui, ora libero ed impiegato regio, dopo di aver sulla coscienza 124 omicidi, fatti nel corso di quattro anni di sua carriera brigantesca.» 154

Il tradimento fu incoraggiato dal Governo che sfruttò la strategia di mettere tutti contro tutti, promettendo grazia e ricompense ai banditi che tradiscono o che si consegnano: Crocco stesso afferma, riferendosi al 1864, di aver vissuto nel terrore sia dei suoi compagni che della popolazione civile.

«vedevo in ogni persona, fra gli stessi compagni di mestiere, un traditore, un vile capace di vendere la mia persona per aver mitigata la sua pena; aggiungasi a tutto ciò le energiche disposizioni date dal generale Pallavicini per accelerare la nostra cattura, e non sarà difficile farsi un'idea del mio stato d'animo in quei giorni»155

Infine, Crocco sciolse la sua banda e decise di recarsi nello Stato Pontificio, certo che Pio IX, in nome del quale aveva combattuto, gli concedesse la grazia e lo premiasse per il suo valore di generale, ma questo sogno si frantumò ben presto e si ritrovò rinchiuso nelle carceri nuove di Roma. Nell'Autobiografia Crocco non cela il suo odio verso lo stesso papa e lo maledice insieme a tutta la sua «scellerata curia»156 per gli inganni e le manipolazioni perpetrate

a discapito di tanti altri briganti come lui che avevano combattuto in nome suo e di Francesco II. Le autorità che dovrebbero proteggere il popolo sono presentate ancora una volta come riprovevoli, corrotte e meschine, a partire da quella papale che dovrebbe essere simbolo di innocenza e di onestà. Il volta faccia delle autorità che lo avevano accolto a Melfi come un eroe e che, poco dopo, lo rinnegarono dimostra la loro meschinità e corruzione in quanto non miravano al bene generale del popolo, bensì a mantenere il potere e le ricchezze nelle proprie

154Ibid., p. 141 155Ibid., p. 143 156Ibid., p. 145

mani.

Crocco cerca anche di distinguersi da questi uomini di potere che hanno abusato di tanti coraggiosi dichiarandosi onesto nella misura in cui non fece mai del male a chi non glie lo aveva fatto tanto che afferma : «io mi mostrai generoso e buono con chi non mi aveva mai fatto del male»157 . Egli se si pente di qualcosa è di non essersi accontentato «del poco ben guadagnato e ripudiar il molto di provenienza equivoca»158: queste sono le ultime parole di un uomo che riconosce

che il suo desiderio di elevarsi rispetto alla misera condizione di origine lo ha messo in mezzo ad intrighi di potere molto più grandi di lui, in cui la sua virtù e la sua stessa vita sono state poste in pericolo e alla prova, senza trarne alcun vantaggio e alcuna ricchezza.