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La Relazione di Massari e il contesto sociale del Mezzogiorno dopo l'Unità

3. Profilo storico del banditismo: il caso del brigantaggio italiano

3.2 La Relazione di Massari e il contesto sociale del Mezzogiorno dopo l'Unità

Il fenomeno del brigantaggio, particolarmente attivo tra 1861 e 1865, ma con retaggi che si prolungano fino al 1870, può essere meglio compreso se si considera il contesto sociale ed economico in cui versava il Mezzogiorno dopo l'Unità d'Italia. La proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861) concluse il Risorgimento che aveva fatto dell'Italia uno Stato unitario dalle Alpi alla Sicilia. Il Risorgimento si può definire come una rivoluzione “borghese” con a capo i moderati liberali di Cavour: prima del 1796 il potere era nelle mani dei monarchi assoluti e dei loro apparati di governo, mentre nei decenni successivi all'Unità il ceto politico e di governo ha la sua base nella borghesia. Questo mutamento è legato ai cambiamenti nell'economia, in cui emergono e si sviluppano attività industriali, manifatturiere, iniziative finanziarie e bancarie accanto alle tradizionali attività agricole. Il Risorgimento eliminò così gli antichi regimi assoluti ma evitò grandi cambiamenti nell'assetto

sociale e l'intervento diretto delle classi popolari sulla scena politica. Si creò un blocco sociale imperniato da una parte sui gruppi di borghesia rafforzatisi sul terreno delle attività economiche di tipo capitalistico (industriale-manifatturiero, commerciale, finanziario, agrario), soprattutto nell'Italia settentrionale e, dall'altra, sui settori della grande proprietà fondiaria nobiliare scesi a compromessi con la “rivoluzione” risorgimentale.

Lo Stato sorto dal Risorgimento, al di sotto dell'unificazione territoriale, legislativa e amministrativa, manteneva diversità, discrasie che impedirono un'unificazione intima e reale.

«Lo Stato unitario nasceva anzitutto nel segno di una profonda frattura tra il “paese legale” e il “paese reale”(per usare la terminologia ottocentesca). Il primo, il solo ad avere voce e presenza politiche, era formato da quella ristrettissima fascia di contadini abbienti che, in virtù del loro censo, erano abilitati all'esercizio del diritto di voto, e a eleggere quindi la Camera dei deputati e le amministrazioni locali. Il “paese reale”, invece era fatto soprattutto dai milioni e milioni di lavoratori rurali e urbani, spesso alle prese con i problemi della sopravvivenza quotidiana e dello stento del vivere attestato dalla devastante presenza di malattie endemiche e da carenza (dalla pellagra al tifo, alla tubercolosi) ed emblematicamente evidenziato dal dato della mortalità infantile, che collocava il paese in uno dei posti di coda della graduatoria europea […]».129

Il paese reale aveva profonde problematiche di disagio alimentare che costringeva la popolazione a consumare carne solo in occasioni festive; a ciò si aggiungeva un fortissimo degrado delle abitazioni.

Il paese era inoltre diviso tra città e campagna, ed era la seconda a prevalere: il 65% della popolazione traeva dalla terra i suoi redditi e sarà così almeno fino al secondo conflitto mondiale. Il Mezzogiorno, prevalentemente agricolo, era in una condizione peggiore rispetto al resto d'Italia: i contadini vivevano al limite della sussistenza basandosi su un'agricoltura tecnicamente arretrata. Nel Sud l'abolizione del regime feudale non aveva offerto vantaggi ai contadini ma solo alla borghesia terriera che aveva potuto incrementare i propri possedimenti. In opposizione a questa situazione fiorivano città piuttosto ricche nel Centro e nel

129 Angelini Daniele, Mengozzi Dino, Una società violenta. Morte pubblica e brigantaggio nell'Italia moderna e contemporanea, Lacaita, Manduria 1996, pp. 28-29

Settentrione che erano luoghi di consumi di lusso (artigianato, traffici e mercati, scuole e università, teatri, negozi e magazzini, stazioni ferroviarie e caserme, strutture sanitarie). Dalla contrapposizione tra città e campagna si può comprendere l'indifferenza di quest'ultima per il movimento nazionale, tanto che neppure un contadino si poteva contare tra i volontari di Garibaldi, come egli stesso affermò: il popolo delle campagne, il mondo illetterato diffidava da quello letterato, dai ceti borghesi, poiché vi vedeva l'autorità del padrone.

La manifestazione più clamorosa delle tensioni sociali dovute alle disuguaglianze fu il “grande brigantaggio” che, al di là della strumentalizzazione fatta dai Borboni e dal clero reazionario, fu una forma di lotta di classe, una guerriglia contadina contro i proprietari, i padroni. Fu un movimento sociale rurale che, sebbene non raggiunse mai un'unità di direzione e si frantumò in una miriade di moti, poté durare a lungo perché contava sulle popolazioni che simpatizzavano per i briganti, idealizzati nella cultura dei subalterni.

La lotta dello Stato contro il brigantaggio fu lunga e sanguinosa e poté essere conclusa solo grazie a un grande dispiegamento di forze e all'impiego di una legislazione speciale e dei tribunali di guerra. D'altra parte è lo stesso Garibaldi a mettere in evidenza come la durezza dello scontro dimostrasse il nascere di un' «aurorale coscienza di classe dei contadini meridionali»130:

egli sottolinea come questi uomini che morivano di fame meritavano simpatia per il grande valore con cui combattevano.

«E le profonde radici sociali del brigantaggio furono intuite tra gli altri da Garibaldi, il quale mise in rilievo che “ gli infelici contadini che morivan di fame” erano stati spinti a farsi briganti dall'indigenza e dal malgoverno e che meritavano simpatia e ammirazione perché, anche se mossi da un falso principio, avevano mostrato di saper combattere valorosamente- come non avevano fatto durante il Risorgimento- contro “polizia, carabinieri, guardia nazionale, esercito, un mondo di nemici”.»131

130Ibid., p.34 131Ivi.

Non di meno una testimonianza della grande forza del brigantaggio ci è offerta anche dalle relazioni ufficiali, prima fra tutte quella di Giuseppe Massari (Taranto 1821-Roma 1884) che, sostenitore di Carlo Alberto, di Gioberti e di Cavour, divenne deputato alla camera dal 1860 fino alla morte. Egli fu molto assiduo nei lavori parlamentari e si impegnò sul fronte del brigantaggio, vero ostacolo all'unificazione dell'Italia: di lui ha grande rilevanza la relazione scritta in qualità di membro della Commissione d'inchiesta sul brigantaggio istituita il 16 dicembre del 1862. Tale Relazione, letta e discussa il 3 maggio del 1863, alla Camera dei Deputati riunita in comitato segreto, è un'analisi molto coraggiosa perché invitava a mettere l'attenzione sul fatto che il brigantaggio era la conseguenza di secolari ingiustizie subite dalla povera gente. Il rapporto, inoltre, teneva conto non solo delle cause derivanti dalla condizione sociale ed economica del Sud d'Italia ma anche degli incitamenti alla rivolta provenienti dai Borboni protetti da Pio IX e rifugiatisi a Roma: in essa si ventilava una complicità tra clero e banditismo sociale e, per questo, non piacque alla “Civiltà Cattolica” che lo accusò di faziosità per avere escluso il movente politico dell'opposizione del Sud ad un'unificazione imposta dal Nord. Il Parlamento, pertanto, non seguì i consigli della Relazione per un miglioramento delle condizioni del Mezzogiorno, bensì inasprì solo la repressione contro il fenomeno del brigantaggio.

L'importanza della Relazione consiste nella ricerca delle cause del brigantaggio e, sebbene parli del territorio italiano postunitario, le conclusioni a cui giunge sono valide per tutti i paesi in cui si è sviluppato tale fenomeno. Egli comincia il suo rapporto interrogandosi:

«La prima domanda che sorgeva spontanea nell'animo nostro era la seguente: il brigantaggio che da tre anni contrista le provincie continentali del mezzodì d'Italia, è conseguenza esclusiva del cangiamento politico avvenuto nel 1860, oppure questo cangiamento è stato soltanto un'occasione alla quale lo sviluppamento del brigantaggio è stato determinato? Negli ordini politici e sociali, come nel fisico, non basta riconoscere le cause prossime ed immediate dei fenomeni, ma è d'uopo accennare se a queste cause si colleghino altre, senza le quali

l'azione delle cause prossime ed immediate, o non potrebbe svolgersi affatto, oppure raggiungerebbe proporzioni minime e di poca entità.»132

Massari si propone di cercare le cause profonde del brigantaggio e non solo quelle superficiali, come i cambiamenti politici o le crisi momentanee, tanto che arriva a concludere:

«A bene esprimere il nostro concetto diremo che il brigantaggio se ha pigliato le mosse nel 1860, come già nel 1806, ed altre occasioni dal mutamento politico, ripete però la sua origine intrinseca da una condizione di cose preesistente a quel mutamento, e che i nostri liberi istituti debbono assolutamente distruggere e cangiare. Molto acconciamente è stato detto e ripetuto essere il brigantaggio il fenomeno, il sintomo di un male profondo ed antico: questo paragone desunto dall'arte medica regge pienamente, ed alla stessa guisa che nell'organismo umano le malattie derivano da cause immediate e da cause predisponenti, la malattia sociale, di cui il brigantaggio è il fenomeno, è originaria anch'essa dallo stesso duplice ordine di cause.

Le prime cause adunque del brigantaggio sono le cause predisponenti. E prima fra tutte, la condizione sociale, lo stato economico del campagnuolo, che in quelle provincie appunto, dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice. Quella piaga della moderna società, che è il proletariato, ivi appare più ampia che altrove. Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua condizione è quella del vero nullatenente, e quand'anche la mercede del suo lavoro non fosse tenue, il suo stato economico non ne sperimenterebbe miglioramento.»133

Il Massari sosteneva che nelle province dove lo stato economico e la condizione sociale dei contadini era misera allora il fenomeno del brigantaggio si diffondeva facilmente e poteva vivere a lungo. In questa situazione la vita del brigante diventa per il contadino un'attrazione rispetto alla propria misera esistenza:

«La vita del brigante abbonda di attrattive per il povero contadino, il quale ponendola a confronto con la vita stentata e misera che egli è condannato a menare, non inferisce di certo dal paragone conseguenze propizie all'ordine sociale. Il contrasto è terribile, e non è a meravigliare se nel maggior numero dei casi il fascino della tentazione a male oprare sia irresistibile. I cattivi consigli della miseria non temperati dalla istruzione e dalla educazione, non infrenati da quella religione grossolana che si predica alle moltitudini, avvalorati dallo spettacolo del cattivo esempio prevalgono presso quegl' infelici, e l'abito a delinquere diventa seconda natura. La 132 Massari Giuseppe, Il brigantaggio nelle province napoletane. Relazioni dei deputati Massari e Castagnola

colla legge sul brigantaggio, 1863, pp.16-17 133Ibid., pp.18-19

fioca voce del senso morale è soffocata, ed il furto anziché destare ripugnanza appare mezzo facile e legittimo di sussistenza e di guadagno, ond'è che sorgendo dall'occasione l'impulso al brigantaggio le sue fila non indugiano ad essere ingrossate. Su 375 briganti che si trovavano il giorno 15 aprile prossimo passato nelle carceri della provincia di Capitanata, 293 appartengono al misero ceto dei così detti braccianti. Là invece dove le relazioni tra il proprietario e il contadino sono migliori, là dove questi non è in condizione nomade ed è legato alla terra in qualsivoglia modo, ivi il brigantaggio può, manifestandosi, allettare i facinorosi, che non mancano in nessuna parte del mondo, ma non può gettare radici profonde ed è con maggiore agevolezza distrutto.»134

Il brigantaggio è ritenuto la conseguenza delle condizioni economiche e sociali miserabili dei contadini, una forma di protesta contro le ingiustizie che essi soffrono da secoli. Innanzitutto, egli parla del sistema feudale che ha lasciato una pesante eredità, le tracce di un lungo passato d'ingiustizie: «i baroni non sono più, ma la tradizione dei loro soprusi e delle loro prepotenze non è ancora cancellata, ed in parecchie delle località che abbiamo nominate l'attuale proprietario non cessa dal rappresentare agli occhi del contadino l'antico signor feudale»135. Il contadino non ottiene guadagno dal

suo lavoro e ciò provoca in lui l'istinto di vendetta che lo spinge a farsi brigante: farsi vendetta da solo è il miglior mezzo per lui proprio perché manca di fede nelle istituzioni della giustizia.

Massari individua anche una ragione storica che induce i più indigenti ad aumentare le fila del brigantaggio: molti baroni erano circondati da bravi che commettevano delitti e atrocità per loro conto tanto che la stessa famiglia borbonica ha fondato la sua ricchezza su tale empietà. I contadini, osservando questo esempio proveniente dall'alto, dalle autorità, non ebbero remore nel perseguire la strada del brigantaggio:

«[molti contadini] adescati dalla possibilità di un facile e grosso guadagno, non resistono alla possibilità di fare altrettanto per conto proprio. Il senso della cupidigia svegliato dall'esempio e dalle memorie parla parole più efficaci e più ascoltate di quelle del senso e le attrattive dell'agognato fine nascondono i pericoli e le iniquità dei mezzi ed incoraggiano al misfatto.»136

134Ibid., pp. 19-20 135Ibid., p.23 136Ibid., pp. 30-31

Tra le cause predisponenti del brigantaggio il deputato annovera anche ragioni topografiche quali la configurazione dei luoghi, la divisione delle terre, l'indole delle coltivazioni, la distribuzione degli abitanti sul territorio, la cattiva condizione delle comunicazioni e l'abbondanza di boschi: sono tutti elementi che, isolando i villaggi dei contadini, rendendo difficili le comunicazioni e lasciando il popolo in condizioni umili, concorrono all'incremento del fenomeno.

Per quanto concerne le cause più superficiali del fenomeno in Italia, Massari ritiene che la principale sia l'appoggio dei Borboni: lo sfruttamento del brigantaggio da parte delle autorità per farne un mezzo di acquisizione del potere fu una prassi tipica in molti paesi. Per queste ragioni si è parlato di brigantaggio politico ma la definizione non è così legittima tanto che Massari può affermare: «Ond'è che a noi sembra questione all'intutto oziosa il definire se il brigantaggio sia esclusivamente politico oppure esclusivamente sociale, essendo evidente che se nella essenza è il sintomo di un profondo male sociale, non cessa dall'essere adoperato ed usufruttuato per fini meramente politici.»137

La stessa repressione del movimento, che in Italia fu molto cruenta, spinse il popolo ad ingrossare le fila dei briganti, a favorirli e a sostenerli con la volontà di vendicarsi delle offese ricevute. Ai briganti si unirono facilmente molti carcerati poiché le prigioni erano mal custodite e le evasioni frequenti.

Lo scioglimento dell'esercito borbonico generò lo stesso effetto. I militari non avevano una vera disciplina ma avevano l'abitudine di lasciarsi andare a furti, ingiustizie e saccheggi, così che molti preferirono andare ad unirsi ai briganti piuttosto che ritornare alle occupazioni precedenti. All'inizio, però, il contingente fornito dagli sbandati dell'esercito borbonico al brigantaggio non fu così numeroso ma aumentò drasticamente con la seconda leva.

«La prima leva del brigantaggio fu dunque composta dagli evasi di galera, dai perseguitati per le reazioni debellate, dagl'imputati di delitti o misfatti non assicurati alla giustizia, dai condannati in contumacia, dai disertori, dai renitenti alla leva, da tutti coloro insomma che avevano conti aperti con la giustizia, dagli sbandati e dai miserabili spinti dall'avidità di bottino e di saccheggio.»138

Un'ulteriore causa del brigantaggio è additata nel malfunzionamento della macchina amministrativa in cui «serpeggia il vizio della corruzione e della venalità»139, così che i reati sono

puniti lentamente e molti briganti attendono nelle carceri per lungo tempo una condanna. A questi problemi si aggiunge l'assenza del mezzo più adeguato di repressione dei briganti, che secondo Massari è la polizia.

In opposizione, i briganti sono riusciti a creare un'ottima organizzazione, grazie a cui possono conoscere in anticipo le mosse delle truppe, le perlustrazioni, i provvedimenti contro di loro, e tutto ciò che li interessa da vicino, grazie a un sistema convenuto di segnali. I banditi hanno i loro banchieri, i loro fornitori e i loro depositi poiché la comunità locale offre loro ogni tipo d'aiuto e di sostegno.

«Hanno d'uopo di uomini per rifarsi dalle perdite che sostengono, di vettovaglie per nutricarsi, di cavalli per meglio scorrere e fuggire, di foraggi per alimentare quei cavalli, di armi e di munizioni per assalire e per difendersi, di medicinali per curare gli ammalati ed i feriti, di danaro per arricchirsi e per satollare le voglie. Trovano le loro reclute fra gli oziosi, i vagabondi, i miserabili ed i paurosi, che per tema di essere scannati li seguono e partecipano alle loro gesta; ma il nucleo dei loro depositi è nelle galere e nelle carceri, le une e le altre, o difficili a custodirsi per l'ingombro degli abitatori, o mal custodite per mancanza di forze sufficienti, oppure affilate alla vigilanza di gente mal sicura.»140

E ancora:

«I manutengoli da una parte, i pagatori di ricatti dall'altra, sono le vere fonti di sussistenza del brigantaggio, il quale nella stagione invernale segnatamente non potrebbe senza quell'aiuto tenere a lungo la campagna come

138Ibid., p.40 139Ibid., p.51 140Ibid., pp. 60-61

fa.»141

Se il primo appoggio del brigantaggio proviene, volontariamente o no, proprio dal popolo, il Massari indica nella Chiesa un altro sostegno al fenomeno: gli spiriti dei briganti sono spesso travagliati per gli eccidi e i misfatti che compiono ma è la Chiesa stessa a dar loro il conforto e il sollievo della religione. Molti ecclesiastici sostenevano i briganti che si univano alla causa realista per riportare sul trono Maria Sofia e Francesco II.

«Il governo pontificio sovviene ed agevola in tutte le guise l'opera del brigantaggio: col danaro, con la protezione visibilmente accordata in Roma agli arruolatori dei briganti, e con le istruzioni dell'episcopato napolitano, le quali […] sono informate da senso di non dissimulata profonda avversione contro il governo italiano. Tant'è, o signori, le mani sacerdotali si levano a benedire gli assassini, la croce è profanata a simbolo di eccidio e di rapina.»142

Massari, dopo l'analisi delle cause, approfondisce le ragioni per cui il brigantaggio ha resistito nonostante l'intensa repressione, ritenendo che il principale errore compiuto dal governo sia stato di considerarlo come un fenomeno da estirpare con la forza e non con provvedimenti opportuni. L'azione militare può essere ritenuta solo un palliativo ma non metterà fine al fenomeno che inevitabilmente si ripresenterà.

Egli constata che un'opera di repressione del brigantaggio può essere efficace solo se vengono rimosse le cause predisponenti; si combattono le cause che hanno determinato la recente manifestazione del fenomeno; si mutano in cause di guarigione quelle che lo hanno alimentato. Per queste ragioni sono necessarie la diffusione dell'istruzione pubblica, l'affrancamento delle terre, la equa composizione delle questioni demaniali, la costruzione di strade, la bonifica di terre e paludi, la riattivazione dei lavori pubblici e il miglioramento dei

141Ibid., p.62 142Ibid., p.96

boschi: sono tutte opere che innalzano la condizione della plebe facendola sentire parte di un'unità, quella del popolo. Per trasformare il maggior numero delle cause che alimentano il brigantaggio in cause che lo distruggono è doveroso controllare l'operato del clero, dell'apparato amministrativo e dell'apparato poliziesco, a cui aggiungere l'opera dei bersaglieri e della guardia nazionale.

Massari aggiunge che, affinché l'opera di repressione sia efficace allora la punizione nei confronti del brigantaggio deve essere energica e pronta: oltre alla ricompensa di coloro che combattono contro i briganti è fondamentale che la pena contro questi non si faccia attendere poiché «la prontezza della espiazione è freno salutare al contagio del cattivo esempio»143. In

Italia, invece, il sistema giudiziario era tanto iniquo da far sì che solo i briganti catturati con l'arma in mano venissero fucilati mentre gli altri erano lasciati in carcere in attesa di giudizio per molto tempo. Per un miglior funzionamento del sistema giudiziario il politico propone di riformare la legislazione, sebbene solo in modo provvisorio, fino alla totale estirpazione del brigantaggio.

«Ora il brigantaggio genera una condizione di cose, che non è punto dissimile da quella prodotta dallo stato di guerra. Il brigantaggio è una vera guerra, anzi è la peggior sorta di guerra che possa immaginarsi; è la lotta tra le barbarie e la civiltà; sono la rapina e l'assassinio che levano lo stendardo della ribellione contro la società

[…]

Lo stato di brigantaggio è uno stato a parte, uno stato sui generis; affinchè cessi è mestiere ricorrere a provvisioni speciali, e poiché la legge non è esplicita a questo riguardo è d'uopo che essa parli chiaramente e prescriva e legittimi l'uso di quelle provvisioni. Noi crediamo adunque che le provincie le quali si trovino in istato di brigantaggio debbano essere assoggettate a disposizioni speciali, le quali e debbono essere esclusivamente ristrette entro i limiti di ciò che concerne il brigantaggio, e non debbono più essere in vigore quando il brigantaggio sia cessato, e perciò siamo di avviso abbia a dettarsi una legge speciale per quelle date località, per quelle date emergenze, e che non trapassi giammai nella sua applicazione il limite di tempo