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Foreste, “al di là” della società

brigantaggio italiano

4. Bandito ed esotismo

4.1 Foreste, “al di là” della società

Lo studioso americano Robert Pogue Harrison (Smirne 1954), autore di un fortunato libro sulla foresta come luogo colmo di significati e di simboli, chiarisce che già il termine “foresta” nasce per indicare un territorio lontano dalla legge comune:

«La parola “foresta”, in effetti, nasce come termine giuridico. Al pari dei vocaboli affini presenti nelle lingue europee (forest, forêt, forst, ecc.) essa deriva dal latino foresta. La parola latina, a sua volta, non fa la sua comparsa prima del periodo merovingio. Nei documenti romani, come pure negli atti più antichi del Medioevo, la parola comune per indicare boschi e foreste era nemus. La parola foresta appare per la prima volta negli editti dei Longobardi e nei capitolari di Carlo Magno, e non si riferisce ai boschi in generale ma solamente alle riserve di caccia reali. La parola ha un'origine incerta. La più probabile è il latino foris, che significa “al di fuori”. L'oscuro verbo latino forestare significava “tener fuori, proibire l'ingresso, escludere”. In realtà, durante il periodo merovingio, in cui la parola foresta fu introdotta nella lingua, i sovrani si erano arrogati il diritto di riservare a se stessi vasti tratti di terreno boscoso allo scopo di preservarne la fauna, ciò che a sua volta avrebbe preservato un rituale reale irrinunciabile: la caccia.

“Foresta”, dunque, era in origine un termine giuridico che si riferiva alla terra in cui un decreto reale impediva di entrare. Una volta che una regione fosse stata dichiarata una foresta, non poteva più venire coltivata, né sfruttata, né occupata. Essa si estendeva al di fuori del dominio pubblico, ed era destinata al piacere e allo svago del re. In Inghilterra, si estendeva anche al di fuori della common law, la “legge comune”. I trasgressori non erano punibili dalla common law, bensì da un corpo di specifiche “leggi forestali”. Le foreste reali si estendevano “al di fuori” anche in un altro senso, perché lo spazio racchiuso tra le mura di un giardino reale veniva chiamato talvolta silva, bosco. Forestis silva indicava i boschi privi di recinzione “al di fuori” delle mura.»159

Il termine foresta ha un'origine giuridica, indicando quei boschi che appartenevano al re e ai sovrani e che venivano sfruttati per svolgere regolarmente l'attività della caccia: il termine proviene probabilmente dal latino foris, ovvero “al di fuori”, indicando sia il divieto ad alcun'altra persona comune di entrare nel bosco, sia il fatto che fosse un territorio sottoposto a leggi speciali, al di fuori delle leggi ordinarie.

Il carattere marginale rende questo ambiente uno dei più frequentati topoi della letteratura. La foresta è associata, paradossalmente alle origini del termine, a valori che sono foris rispetto alla legge e all'ordine costituito ed è ritenuta il rifugio, il nascondiglio dei banditi, dei fuorilegge, proprio per la distanza che mantiene rispetto al mondo civile, per i suoi caratteri selvaggi e primitivi.

159 Harrison Robert Pogue, Foreste. L'ombra della civiltà. Tra mito ed ecologia, filosofia e arte, una storia dell'immaginario dell'occidente (tit.or. Forests. The shadow of civilization), trad. a c. di Giovanna Bettini, Garzanti, Milano 1992, p. 85

«... le foreste erano foris, “al di fuori”. In esse vivevano i reietti, i folli, gli amanti, i briganti, gli eremiti, i santi, i lebbrosi, i maquis, i fuggitivi, gli spostati, i perseguitati, i selvaggi.[...] Al di fuori della legge e della società umana si era nella foresta.»160

Tale luogo, da sempre, si è contraddistinto per una certa ambivalenza: da una parte è un luogo selvatico e un rifugio per gli emarginati, dall'altro un luogo sacro perché lontano dalla corruzione della società. La Chiesa cristiana, a partire dal Medioevo, ebbe un ruolo di primo piano nella formazione di questo topos poiché riteneva i boschi e le foreste luoghi della natura non umana: «bestialità, depravazione, peccato, perdizione – a ciò venivano associate le foreste nella mitologia cristiana»161. La foresta, però, non era solo il luogo del non ordine, lontano dalla luce

di Dio, bensì nei racconti agiografici rappresenta lo spazio prescelto dagli eremiti con il desiderio di distaccarsi dal traviamento morale del genere umano.

Nonostante l'ambivalenza di questa realtà, il suo carattere peculiare resta quello della lontananza dalla civiltà e dalla società, intese come realtà degradate.

«Vedremo come la legge dell'identità e il principio di non- contraddizione siano stravolti nelle foreste, e come certe distinzioni convenzionali vengano meno quando la scena si sposta dal mondo comune alle foreste che si estendono al di fuori del suo dominio. Il profano diventa improvvisamente sacro. Il fuorilegge diventa il custode di una giustizia superiore. Un cavaliere virtuoso si trasforma in un selvaggio. La linea retta diventa un cerchio. Ovvero, la legge del genere diviene confusa. Sia che si tratti di legge religiosa, politica, psicologica, o anche logica, le foreste sembra ne minano la stabilità. Le foreste sono “al di là” della legge, o meglio, appaiono come i luoghi dei fuorilegge».162

Affermare la primitività e la lontananza dalla legge però non significa indicare l'esistenza di una contrapposizione tra foresta come luogo dell'assenza di legge e civiltà come luogo di legge. Harrison, a tal proposito, specifica:

160 Ibid., p.76 161 Ivi. 162 Ibid., p. 78

«... in quanto fuorilegge che cercava protezione nella foresta, egli entrava, per così dire, nell'ombra della legge. L'ombra della legge- sociale, religiosa o di altro tipo- non è un luogo di assenza di legge; essa si trova al di là della legge, come un'ombra che dissolve la sostanza di un corpo. L'ombra della legge non si contrappone alla legge, ma l'accompagna come un alter ego, o come la sua coscienza sporca.»163.

La foresta è il rifugio di quei fuorilegge che, ponendosi al di fuori della società, la combattono, considerandola ingiusta. In questo senso il bandito è colui che sceglie un luogo primitivo, selvaggio come base da cui ripristinare la giustizia tra gli uomini. Questo scontro dei banditi contro una legge di cui è negata la legittimità ispirò ballate e leggende popolari, entrando in larga parte della letteratura. I ribelli non sono rappresentati come nemici della legge bensì delle autorità che non la rispettano o la corrompono per il proprio vantaggio, così che non possono essere ritenuti dei rivoluzionari bensì dei riformatori, come si vede nel caso di un eroe mitico come Robin Hood.

«Nelle leggende , essi appaiono come ribelli che sfidano una legge che ha commesso delle ingiustizie ai loro danni, e quindi non come nemici della legge, ma della sua degenerazione. Nelle loro foreste, essi inseguono l'ombra della legge, ma nel far questo essi confondono la dicotomia convenzionale di luce e ombra. Ponendosi al di fuori della legge arbitraria o corrotta, essi appaiono come i veri campioni della giustizia naturale, mentre la legge istituzionale sembra soltanto l'ombra del suo fulgido ideale.

[…] Come la maggior parte dei fuorilegge leggendari, Robin Hood è in realtà un campione della legge e dell'ordine ideali. Il suo essere fuorilegge rappresenta la cattiva coscienza di una legge localmente degenerata o corrotta. Il suo essere al di fuori delle istituzioni della società significa il fallimento della legge, che non è riuscita a rimanere fedele allo spirito, se non alla lettera, della legge; e la sua leggenda ruota intorno a un ironico paradosso, secondo cui l'ingiustizia appartiene allo spazio del diritto, mentre la causa giusta non ha altra scelta che cercare la protezione della foresta.»164

Le foreste sono dei luoghi al riparo della legge che costituiscono il nascondiglio per i banditi: dall'ombra della foresta egli riceve protezione e una base da cui perseguitare i nemici.

163 Ivi. 164 Ibid., p. 94

Essa è un mondo «rovesciato» da cui si possono smascherare gli inganni e la corruzione della

società attraverso altrettante insidie e attacchi di guerriglia ad opera delle bande di fuorilegge. L'inganno è il mezzo che serve per smascherare a sua volta la meschinità di una società che si spaccia per equa.

I boschi e le foreste, con la loro vita naturale e selvatica, sono ritenute un mondo più vero e genuino perché solo in questi luoghi, privi del controllo della civiltà, possono riemergere le pulsioni naturali e le spinte originarie di ogni individuo. La vita dell'uomo nelle civiltà è sottomessa alle leggi imposte dalle autorità, all'influenza dei sistemi morali e religiosi e alla posizione occupata nella gerarchia sociale. Per queste ragioni, soprattutto in epoca romantica, la letteratura guarda alle foreste con nostalgia, legandole all'originaria purezza del mondo: il bosco diviene un luogo sacro, un tempio, in cui l'individuo può entrare in contatto con l'universo.

Allo stesso modo, ai primi del Novecento, in opposizione al Positivismo, che dalla seconda metà dell'Ottocento si era caratterizzato per una fede nel progresso e nella scienza come strumento dell'uomo per dominare la natura e vincere le malattie e la fame, la foresta assurge a simbolo primordiale, divenendo un luogo in cui l'uomo si reca per recuperare le energie di cui la civiltà lo ha privato. Essa rappresenta così la dimensione in cui l'uomo può risentire dentro di sé gli impulsi della natura che la società ha posto sotto controllo: si attua in questo ambiente un recupero della purezza della natura a spese della cultura.

La foresta è, in conclusione, il luogo della libertà e della primitività che permette il recupero delle pulsioni originarie represse dalla civiltà e, allo stesso tempo, la base da cui combattere una società che è degenerata e iniqua, al fine di ristabilire una giustizia ideale. L'assenza di leggi e di limiti che controllano le pulsioni umane è l'aspetto più evidente di questo luogo ma ha un carattere ambivalente: se da una parte offre agli uomini la possibilità

di distinguersi ed elevarsi in base alle proprie virtù però, allo stesso tempo, può condurre l'uomo ad utilizzare il proprio potenziale anche in modo negativo, con il rischio di perdere la propria integrità morale. In molte opere letterarie, infatti, la ricerca di giustizia di cui si fanno portavoce i banditi dai loro rifugi al di fuori della società si rivela un'utopia, in quanto basata su altrettante violenze e crudeltà che questi uomini compiono con l'illusione di potersi ergere a giustizieri, di potersi porre al posto di Dio [figg. 7-8].