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Pippo Barzizza: l’infiltrato del circuito Soldatensender Come ha messo in evidenza Adriano Mazzoletti in una monografia

L’EIAR occupata dai nazisti Un buco nero della storia

1.4 La musica trasmessa dal circuito Soldatensender Italien

1.4.6 Pippo Barzizza: l’infiltrato del circuito Soldatensender Come ha messo in evidenza Adriano Mazzoletti in una monografia

del 2004, non si deve solo a Pippo Barzizza la diffusione del jazz in Italia.39 Prima di lui ci furono grandi pionieri quali Gigi Ferra-

cioli, Alfredo Casella (che spesso sulle colonne del «Pianoforte» e dell’«Italia letteraria» compì opera di divulgazione nei confronti di quel repertorio ascoltato negli Stati Uniti), Ugo Filippini (fondatore della Black and White Jazz Band), Aldo Frazzi (uno dei primi a por- tare la musica sincopata a Firenze). In ogni città italiana, alle porte degli anni Venti, fiorivano locali dedicati all’esecuzione del jazz: l’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, il Clubbino di Torino, il Rajola di Viareggio, l’Ambassador’s New Club di Milano, il Palace Hotel di Firenze. Barzizza però senza dubbio ci mise del suo. A Genova aveva potuto godere di un ambiente molto vivace sotto il profilo jazzistico, senza tuttavia trascurare l’interesse per il repertorio lirico e sinfonico (uno zio lo accompagnava spesso alle rappresentazioni del Teatro Carlo Felice). Tra il 1922 e il 1924 aveva suonato come violinista in diverse orchestre semiclassiche o da ballo; per qualche tempo aveva addirittura maturato la segreta ambizione di fare car- riera nell’ambito del repertorio lirico (a Milano sperava di entrare come copista al Teatro alla Scala); poi però – complice un’incisione di Paul Whiteman – aveva deciso di dedicarsi completamente al jazz. Sui dischi dei jazzisti americani si formò il suo straordinario orecchio di arrangiatore, e quindi di polistrumentista, capace di assecondare brillantemente le esigenze di ogni singola parte orche- strale. Nel 1925 raccolse tutti i frutti di quel prezioso bagaglio for- mativo fondando l’orchestra Blue Star: un monumento del jazz in Italia perlomeno fino alla prima metà degli anni Trenta. Il quartier generale era Milano, ma le tournées erano all’ordine del giorno; e il crescente prestigio dell’orchestra andava di pari passo con un con- tinuo miglioramento della qualità interna: esemplare l’episodio rac- contato da Barzizza stesso in un’intervista rilasciata a Mazzoletti:

39. Adriano Mazzoletti, Il jazz in Italia. Dalle origini alle grandi orchestre, Torino, Edt, 2004.

Un sera arrivò un giovanotto biondo e chiese se poteva suonare un pezzo. Tirò fuori una tromba e un mucchio di sordine e cominciò a suonare. Era così in gamba che il trombettista napoletano in seno all’orchestra si autolicenziò immediatamente e io assunsi questo ragazzo che rimase parecchio tempo con noi.40

Il ragazzo biondo si chiamava Leo Hermann, e la spontanea abdi- cazione del suo predecessore aveva un significato particolare: testi- moniava la volontà di far crescere quel repertorio, anche a costo di qualche sacrificio.

L’EIAR fu l’esperienza immediatamente successiva per Barzizza. La Blue Star si sciolse nel 1933, seguirono alcuni anni da freelance con le migliori case discografiche del tempo: Fonit, Columbia, Voce del padrone. Quindi nel 1936 arrivò la proposta di dirigere a Torino l’Orchestra Cetra. Per Barzizza furono gli anni della consacrazione: il jazz faceva un ingresso stabile anche nella programmazione radio- fonica. L’entusiasmo era tale da giustificare anche la tolleranza da parte dell’autarchia fascista: la semplice traduzione dei titoli ame- ricani era sufficiente per garantire l’autorizzazione del regime. Del resto, nonostante la campagna anti-jazzistica propugnata con violenza dal Reich proprio negli stessi anni (in cima alla lista delle musiche degenerate), Mussolini sembrava meno ostile alla nuova moda. Anzi, il Duce era solito trascorrere le vacanze estive a Ric- cione, proprio quando la cittadina balneare era solcata dalle più celebri band jazzistiche: fu nella cittadina romagnola che un padre di quel repertorio, Milietto Nervetti, si fece fotografare assieme a Vittorio e Bruno Mussolini all’inizio degli anni Trenta. Ma anche in seguito, a patto che la produzione fosse italianizzata nei titoli e nello stile, la persecuzione del regime fascista nei confronti del jazz rimase piuttosto tiepida: altrimenti non si spiegherebbero episodi quali l’e- sibizione apprezzatissima di fronte a un divulgatore del jazz come Calcedonio Digeronimo, o la stessa scelta di sostenere e salvare – come vedremo tra poco – l’attività artistica di Barzizza all’EIAR.

Fig. 8: Pippo Barzizza in motocicletta

Con la Germania Barzizza aveva avuto qualche contatto negli anni della Blue Star: la sua fama di arrangiatore aveva anche rag- giunto la Repubblica di Weimar, tanto da stimolare alcune pubbli- cazioni con editori tedeschi. Addirittura uno dei primi libri dedicati al jazz –stampato proprio a Monaco di Baviera – dedica molto spa- zio all’attività di Barzizza.41 All’epoca l’ascesa di Hitler era ancora

inimmaginabile: normale che il paese stesse prendendo strade total- mente diverse.

Il contatto si fece diretto invece proprio negli anni dell’occupa- zione nazista. Barzizza si trovava a Firenze in seguito a una serie di avventure rocambolesche: la sede torinese dell’EIAR era andata in fiamme alla fine del 1942, in seguito a un pesante bombarda- mento, e tutto il personale – orchestre comprese – era stato smo- bilitato. Barzizza era finito a Firenze con la sua orchestra Cetra; e di fatto si trovò nell’occhio del ciclone proprio nei primissimi mesi dell’insediamento tedesco. A Roma non si programmava quasi nes- suna esecuzione musicale, vista la fragilità strategica della sede, e

Firenze, in assenza di un assetto operativo a Torino, divenne un centro nevralgico del progetto Soldatensender Italien, da ottobre a dicembre del 1943. Dopodiché, la progressiva ascesa delle forze alle- ate spinse i nazisti a un ulteriore arroccamento verso nord: Barzizza e la sua orchestra furono destinati a Como, dove avrebbero faticato non poco a proseguire la loro attività. Ma fu lo stesso Mussolini, su segnalazione di Fulvio Palmieri, a intercedere presso le autorità tedesche affinché i musicisti potessero operare a Torino, nella loro sede abituale.42 E anche lì Barzizza continuò per qualche mese a

essere un compositore utile alle esigenze della nuova EIAR.

Questa fu l’avventura vissuta da Barzizza in quell’anno e mezzo. Ma quali furono i rapporti artistici che il direttore ebbe con le forze occupanti? Come poté svolgersi un dialogo tra il massimo rappre- sentante italiano della musica degenerata (il jazz in questo caso) e il delicato lavoro di propaganda svolto in quei mesi dai nazisti? Anche in questo caso la documentazione scarseggia. Certamente Barzizza non fu espulso dall’EIAR, e nei due mesi fiorentini tornò parti- colarmente utile ai nuovi dirigenti, che – in attesa probabilmente di Richard Etlinger – avevano bisogno con urgenza di un nuovo arrangiatore su cui puntare. Non a caso il materiale Soldatensender, giunto a Torino da Firenze, conta alcuni brani che testimoniano il diretto intervento di Barzizza: tutta musica manoscritta che si rife- risce al trimestre ottobre-dicembre 1943, proprio la fascia storica in cui si incrociarono il trasferimento a Firenze del personale tori- nese e l’aggancio dell’EIAR al circuito Soldatensender. Ma ci sono anche alcuni manoscritti stesi a Torino, che riportano date succes- sive: dall’ottobre del 1944 fino al gennaio del 1945. L’unica eccezione viene da un documento firmato a Firenze nel maggio del 1944, che evidentemente si riferisce a un rientro occasionale nella sede ormai dismessa.

Il fondo «Repertorio tedesco» comprende 16 partiture (quasi tutte manoscritte) arrangiate da Barzizza: Addio Venezia di Ludwig Schmidseder, Bei dir War es Immer so Schön al Reich Theo Macke- ben, Bitte, bitte – schreib mir mal di Vincent Scotto, Der Gedanke an Dich di Ilse Werner, Die ganze Welt di Friedrich Schröder, Heute

Nacht di Heinz Förster-Ludwig, Ich habe eine kleine Stille Liebe di Franz Grothe, Ich nehm’ mein Herz in meine beiden Hände di Fred Raymond, Keine Frau hat etwas gegen Liebe di Werner Bochmann, Man muß wissen di Willy Richartz, Schreib mir einen Brief di Franz Grothe, Unter der rote Laterne di Ralph Maria Siegel, Was du mir bist di Rudolph Ganz, Wenn du Gehst di Helmar Vorwerk, Wenn es Bestimmung ist di Marc Roland, Zum Tanzen Gebor’n di Willy Ber- king. Calcolando la relativa esiguità del fondo (412 documenti), la proporzione della collezione non è certo trascurabile. Barzizza col- laborò non poco con le nuove forze occupanti, rassegnandosi anche a trascrivere pagine scritte da fedelissimi del regime nazionalsociali- sta: molti titoli rimandano a responsabilità ben note alla propaganda di Goebbels.

Quello che stupisce, però, è il modo con cui Barzizza riuscì a districarsi in una situazione imbarazzante: lui, il re sello swing all’i- taliana, doveva confrontarsi quotidianamente con gente che rite- neva fuori-legge, e quindi perseguibile, ogni esperienza jazzistica. Ma studiare queste partiture conservate nel repertorio tedesco lascia davvero a bocca aperta. Zum Tanze Gebor’n, ad esempio, è un brano del 1942 che allude senza troppe reticenze ai modi più caratteristici della musica sincopata: intanto l’indicazione in testa all’arrangia- mento è «Swingy» (strano vederla sotto a un titolo in lingua tede- sca), proprio a indicare fin dalle prime battute la carta di identità del repertorio afroamericano, e poi l’armonia privilegia sistemati- camente none, settime e tredicesime (interlocutrici privilegiate di tutti i jazzisti), il ritmo zoppicante fa venir voglia di seguire il tempo schioccando le dita, in organico spicca il timbro black del saxofono tenore, e in corrispondenza della sezione «E» Barzizza si concede addirittura l’indicazione «Dixieland», alludendo a uno dei tipici stili del jazz prima maniera (così veniva chiamato a New Orleans il jazz suonato dai bianchi). Il caso è poi particolarmente interessante se si tiene in considerazione il fatto che l’autore, Willy Berking fosse tollerato – più che apprezzato – dal regime, proprio per una certa inclinazione verso il repertorio afroamericano. Evidentemente Bar- zizza era riuscito a infilarlo nel mucchio, puntando sull’ambiguità: un musicista integrato nel sistema radiofonico tedesco (faceva parte

di diverse orchestre da ballo sfruttate dalla propaganda di regime), che tuttavia coltivava qualche moderata apertura al jazz.

Man muß wissen invece è un brano in tempo di valzer, nella scrittura originale firmata da Willy Richartz; ma del tempo terna- rio tipico delle sale da ballo viennesi resta ben poco nell’arrangia- mento di Barzizza. Il 3/4 sembra solo una facciata, dietro alla quale si nascondono continui ribaltamenti delle gerarchie tra tempi deboli e tempi forti: quella successione di un battito forte e due deboli che da sempre costituisce la spina dorsale del valzer. Spesso le battute cominciano con una pausa, creando quel movimento irregolare che contraddistingue il jazz fin dalle origini, e anche la melodia princi- pale viene sempre iniziata su un tempo debole della battuta.

Tutti accorgimenti che fanno impressione a contatto con un brano di Willy Richartz, un compositore che scriveva semplifi- cando lo stile tardoromantico, come prescritto da tutti i dirigenti del Reich: lui stesso aveva avuto incarichi di responsabilità alla testa della Reichssenders Berlin, la principale società radiofonica tedesca; e verosimilmente, perlomeno in Germania, non avrebbe appog- giato un arrangiamento così “degenerato”. Stesso discorso vale per Man müsste Klavier di Friedrich Schröder, colonna sonora del film (Immer nur Du) realizzato proprio negli anni della propaganda, con la parte pianistica arricchita di sincopi e spostamenti degli accenti in stile ragtime; Keine Frau hat etwas gegen Liebe di Werner Bochmann si trova una pelle Swingy, con tanto di modulazioni a tonalità lontanissime (re bemolle – do maggiore) poco allineate alle direttive dell’epurazione musicale. E così via. Barzizza, in sostanza, fu in grado di fare piccole mosse sovversive, in un periodo di grande confusione anche per la macchina perfetta della propaganda tede- sca. Le sue trascrizioni sembrano contenitori filonazisti pieni di contenuto antinazista: una specie di black propaganda per orecchie raffinate. Il gioco forse faceva leva sulla scarsa sensibilità musicale degli inviati del Reich: ufficiali o delegati che stavano a guardare solo i titoli delle opere trasmesse, senza preoccuparsi troppo di verifi- carne gli arrangiamenti. È possibile che sia successo così, soprat- tutto nei primi mesi (quelli a cui si riferiscono la maggior parte di questi documenti) dell’installazione: giorni faticosi per chi doveva invadere ma nello stesso tempo difendere un paese traditore. Non

Fig. 9: Arrangiamento swing del repertorio tedesco firmato da Pippo Barzizza

stupisce dunque il fatto che il diretto successore di Barzizza sia stato proprio Etlinger, con i suoi arrangiamenti fatti in piena osservanza dei criteri imposti dal regime.

Alla fine della guerra Barzizza, mentre stava provando con i suoi musicisti fu bloccato da alcuni partigiani, pronti ad arrestarlo con l’accusa di collaborazionismo con le forze naziste. Stando alle testimonianze raccolte da Mazzoletti,43 fu il nuovo direttore della

sede torinese, Alfonso Marullo, a salvarlo, affermando la totale estraneità del musicista alle direttive degli occupanti. Non ci sono documenti precisi in merito a quella circostanza, ma sicuramente la musica scritta in quegli anni è una prova schiacciante del sottile lavoro di dissidenza svolto da un artista coraggioso, proprio per la sua fiera adesione a un linguaggio condannato dai tedeschi. Barzizza fu salvato dai suoi arrangiamenti, prima di qualsiasi testimonianza autorevole.