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Richard Etlinger: l’arrangiatore dimenticato

L’EIAR occupata dai nazisti Un buco nero della storia

1.4 La musica trasmessa dal circuito Soldatensender Italien

1.4.3 Richard Etlinger: l’arrangiatore dimenticato

Tra gli arrangiamenti manoscritti del fondo «Repertorio Tedesco» compare frequentemente il nome di Richard Etlinger. Chi era costui? Difficile a dirsi: la storia musicale sembra aver perso le sue tracce. Al di fuori dell’archivio musicale dell’Orchestra Rai, è praticamente impossibile reperire materiale in proposito. Il compositore non è citato nemmeno nella monumentale opera enciclopedica realizzata da Bärenreiter Metzler, Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Gli editori (in particolare Universal) che lo hanno pubblicato nel corso del Novecento hanno perso i contatti con la famiglia Etlinger: a una nostra richiesta specifica hanno risposto di non essere in rapporto con alcun erede a cui girare gli eventuali introiti derivanti dai diritti d’autore. E nemmeno la Rai ha conservato alcun documento ammi- nistrativo valido al fine di ricostruire la vicenda del musicista negli anni dell’occupazione nazista. Eppure Richard Etlinger è stato un uomo importante di quella fase storica. Nel fondo dell’Auditorium «A. Toscanini» sono presenti ben trenta arrangiamenti, attribuibili alla sua firma, undici dei quali sono manoscritti. Ma è tutto mate- riale che resta lì a prendere polvere da decenni, senza suscitare l’in- teresse di nessuno; quando in realtà è indubitabilmente un corpus significativo, sotto il profilo storico ancor prima che estetico, per

rintracciare la linea artistica seguita dai dirigenti del regime nella programmazione dell’EIAR.

La carriera di questo musicista può solo essere ricostruita in maniera lacunosa. Le edizioni conservate nelle biblioteche tedesche documentano un’attività compresa tra gli anni Trenta e Sessanta del Novecento. Il nome di Richard Etlinger tuttavia non è mai asso- ciato a una responsabilità primaria nella realizzazione dell’opera. Non esistono tracce significative della sua attività nella veste di compositore,30 ma solo partiture che documentano un’abile mano

di orchestratore. Etlinger aveva scelto di dedicarsi esclusivamente all’arte dell’arrangiamento per orchestra da saloon, come si usava dire in quel particolare periodo storico (soprattutto in ambito tede- sco): vale a dire organici perfetti per le esigenze dettate dallo stru- mento radiofonico, del tutto analoghi all’Orchestra B (pianoforte conduttore, archi, fiati e ritmica ben in evidenza). Niente di cui stu- pirsi, visto che le nuove emittenti davano sempre più peso, in tutti i paesi d’Europa, all’arte di adattare il grande repertorio al sound delle nuove formazioni strumentali.

Etlinger mise le mani su una produzione piuttosto varia, stando alle edizioni ancora in circolazione. Gli autori sono tutti rappresen- tanti di quel mondo musicale tedesco che nel Novecento rifiutava decisamente una posizione avanguardista. Il nome più frequente è quello di Franz Grothe, figura molto gradita ai rappresentanti del partito nazionalsocialista (ne fu membro a partire dal maggio 1933), e collaboratore diretto del regime alla realizzazione della filmografia di propaganda. Ma compaiono anche spesso arrangiamenti su lavori di Edmund Kötscher, direttore di un’orchestra da ballo in voga pro- prio negli anni del secondo conflitto mondiale, di Herbert Küster, titolare di una formazione da saloon piuttosto nota proprio sotto il Terzo Reich, e di Gerhard Winkler, l’autore di Caprifischer, una canzone molto amata dai dirigenti di regime (perlomeno fino all’e- state del 1943, quando l’isola cadde nelle mani dell’esercito alleato). Tutti questi compositori erano in grado di interpretare alla perfe- zione le esigenze imposte da Goebbels in merito all’intrattenimento

30. Solo due composizioni sono reperibili nei cataloghi tedeschi: l’intermezzo lirico Liebeserwachen (Trossingen, Hohner, 1953), e il brano per orchestra leg- gera intitolato Sonnenaufgang (Trossingen, Hohner, 1954).

musicale: brani ballabili, dai contenuti cristallini, senza ombre scure e gonfi di ottimismo.

Era normale che un musicista al servizio del Reich collaborasse gomito a gomito con questa generazione artistica. C’è però un caso che stupisce: l’adattamento per orchestra leggera di due canzoni (Alabama-Song e Lied der Jenny) tratte dalle musiche di scena per Ascesa e Caduta della città di Mahagonny di Bertolt Brecht. L’au- tore in questo caso è Kurt Weill, vale a dire uno dei bersagli primari del partito nazionalsocialista. Le sue origini ebree lo costrinsero nel 1933 a espatriare prima in Francia, poi a Londra, e infine negli Stati Uniti. Colpisce dunque la presenza di un rappresentante ufficiale dell’espressione artistica degenerata in una carrellata di collabo- razioni perfettamente autorizzate, se non incoraggiate, dal regime nazionalsocialista. L’arrangiamento, scritto per «Salonorchester mit Jazzstimmen» (orchestra da saloon e voci jazz) fu pubblicato nel 1930 dall’editore viennese Universal. Etlinger era all’inizio della car- riera, la Germania non aveva ancora coniato ufficialmente l’etichetta infamante di arte degenerata, la collaborazione con Brecht doveva ancora formalizzarsi in maniera continuativa, e tutto sommato in quel periodo Hitler aveva altri problemi per la testa (la scalata al Reichstag era appena cominciata). In sostanza c’erano tutte le con- dizioni per giustificare, anche a posteriori, una scelta incauta sotto il profilo politico. Etlinger, una volta intuite le inclinazioni artistiche del nuovo governo, si sarebbe rimesso in carreggiata, dedicandosi esclusivamente a collaborazioni con fedelissimi del regime.

L’incarico ottenuto all’EIAR nel periodo dell’occupazione va dunque considerato una sorta di riconoscimento ufficiale. Etlin- ger era l’unico compositore, di cui resti traccia nel fondo tedesco dell’Auditorium «A. Toscanini», ad avere un rapporto diretto con l’ente radiofonico italiano. Gli arrangiamenti manoscritti presenti a Torino sono in genere firmati da compositori italiani: Beppe Mojetta, Pippo Barzizza (soprattutto nei documenti che provengono dalla sede di Firenze), Francesco Ferrari. Erano loro gli eredi di una tradizione radiofonica, che aveva subito un brusca virata in seguito all’occupazione di via Asiago. Ma il nome che compare, senza dub- bio, con maggiore frequenza è proprio quello di Richard Etlinger: unico arrangiatore straniero coinvolto in maniera continuativa nella

rielaborazione delle musiche programmate dal nuovo palinsesto. Non si trattava di una collaborazione a distanza: materiale realiz- zato in Germania e poi distribuito nelle varie sedi EIAR tramite i canali privilegiati della posta militare. Etlinger risiedeva in Italia, e in particolare aveva un incarico stabile proprio a Torino nel nodo piemontese del circuito Soldatensender.

La dimostrazione, nonostante la totale assenza di biografie speci- fiche, è offerta da diversi fattori. Tanto per cominciare la carta viene tutta dalla libreria Augusta di Via Po 3. «La Stampa» del 20 marzo 1945 documenta la presenza dell’arrangiatore tedesco all’Accade- mia Germanica di via Andrea Doria 9 per partecipare a un concerto liederistico: difficile pensare a un invito mirato, con relative spese logistiche; è molto più probabile che la scelta sia caduta su uno spe- cialista residente a Torino. Del resto stiamo parlando proprio degli anni a cui risalgono gli arrangiamenti approntati per l’EIAR. Inoltre sulla cartellina dell’Ave Maria di Giuseppe Marengo, adattata per orchestra proprio da Etlinger, spicca la frase: «In omaggio al reper- torio della Radio di Torino». Tutte indicazioni di un’attività svolta in loco, a stretto contatto con il personale della sede piemontese.

Nelle parti d’orchestra poi compaiono spesso alcune caricature dedicate a Etlinger. La consuetudine era piuttosto solida in quel periodo: qualche strumentista annoiato si dilettava di tanto in tanto a schizzare amenità sulla carta del suo leggio. Di solito i soggetti sono di argomento musicale (strumenti dalla fisionomia antropo- morfa) o osceno: proprio come se un disegno buttato giù nel mezzo di una prova potesse fungere da surrogato alla chiacchierata da bar. Ma in diversi casi lo stesso Etlinger è la vittima di questo atteggia- mento scherzoso. Evidentemente era una figura così presente nella sede torinese dell’EIAR da stimolare quelle riflessioni goliardiche che i sottoposti dedicano solo ai capi un po’ ingombranti. La preci- sione dedicata ai tratti fisionomici fa addirittura pensare a una pre- senza frequente proprio alla concertazione dell’organico: solo quella posizione poteva rendere Etlinger un modello inconsapevole per le riflessioni pseudo-artistiche di un orchestrale in attesa della sua entrata. Ma l’associazione biunivoca del nome alla maggior parte degli arrangiamenti eseguiti in quel periodo è confermata da una battuta scritta da un oboista in coda alla sua parte, proprio accanto

Figg. 5, 6: Richard Etlinger in due caricature disegnate da un orchestrale dell’EIAR

alla caricatura: «Riveduta e rovinata da».31 Etlinger era senza dubbio

un protagonista della vita radiofonica torinese. Le date presenti nei suoi arrangiamenti manoscritti documentano un’attività compresa tra l’aprile del 1944 e l’aprile del 1945. Forse non era molto amato dai membri dell’orchestra, ma era comunque un punto di riferimento per tutta l’esecuzione del repertorio tedesco.

La produzione a cui si riferiscono gli arrangiamenti non stupi- sce più di tanto. Gli autori sono anche in questo caso fedelissimi del regime nazionalsocialista. Accanto al ritorno frequente di Franz Grothe, si segnalano rielaborazioni da Werner Bochmann, Fred Raymond, Heinz Hentschke: tutti musicisti oggi dimenticati, che all’epoca avevano trovato la loro strada al servizio della propaganda nazista. Non mancano anche alcuni potpourri o adattamenti sinfo- nici dalle colonne sonore dell’Ufa Film, la casa di produzione cine- matografica tedesca che passò sotto il diretto controllo di Goebbels a partire dal 1933: un brano tratto da Meine Tante, deine Tante di Carl Boese (musica di Werner Bochmann), una fantasia su tre Lieder da Das Herz der Königin di Carl Froelich (musica di Theo Mackeben), una romanza da Der Weg ins Freie di Arthur Schnitzler (musica di Ludwig Schmidseder) e un Lied da U-Boote westwärts di Günther Rittau (musica di Harald Böhmelt).

La mano di Etlinger era votata al remake del repertorio filonazi- sta: musica contemporanea scritta in rigida osservanza delle diret- tive ministeriali. Ma c’è anche un omaggio alla grande tradizione romantica, con l’arrangiamento del Lied di Franz Liszt «O lieb’, so lang du lieben kannst» (1847) su testo di Ferdinand Freiligrath (la melodia è la stessa utilizzata dall’autore nella celebre pagina per pianoforte solo: Liebestraum n. 3). Niente di sorprendente, anche in questo caso, visto che il compositore ungro-tedesco era molto amato dai dirigenti del regime: il suo poema sinfonico Les Prélu- des, tanto per fare un esempio, divenne una specie di inno della

31. La frase compare nella parte dell’oboe I nell’arrangiamento manoscritto del

Pezzo lirico di Edvard Grieg, An den Frühling. L’adattamento in realtà è quello

firmato da Gottfried Huppertz per le edizioni Peters, ma la versione finale prevede alcune varianti (in particolare un coro a bocca chiusa) che, stando a questo documento, devono probabilmente essere ascritte all’intervento di Etlinger.

Wehrmacht. La fanfara della marcia finale venne usata, a partire dal 1939, data dell’invasione della Polonia, come sigla dei bollettini delle forze armate e dei cinegiornali propagandistici; ed è proprio per questo motivo che la partitura, nonostante il suo indubbio valore artistico, resta ancora oggi avvolta da un alone di diffidenza.32 L’ar-

rangiamento di Etlinger dunque elabora un autore particolarmente caro alle esigenze retoriche del regime tedesco. Il Lied in questione è una rappresentazione di quei sogni a occhi aperti che solo i roman- tici sapevano davvero trasformare in musica. E la mano del revisore, nonostante l’ampiezza dell’organico, privilegia sonorità carezzevoli come una parola materna: il grosso dell’accompagnamento è rile- vato dal timbro etereo dell’arpa, i violini primi si caricano di melo- dia, mentre tutto il resto si limita a fornire un tessuto connettivo tra i due agenti principali della composizione. Etlinger in questo arran- giamento si allinea con deferenza alla scrittura lisztiana: evita ogni eccesso e cerca di tradurre con la massima fedeltà possibile la natura trasognata del Lied.

Nel mucchio delle partiture realizzate sotto dettatura della pro- paganda nazista, spiccano anche alcune rielaborazioni di pagine italiane. L’Ave Maria di Giuseppe Marengo, come si diceva, è pro- babile che appartenga a un repertorio scritto in esplicito omaggio alla programmazione dell’EIAR. Etlinger utilizza un criterio simile a quello descritto in Liszt: l’arpa fa da spina dorsale armonica, la melodia scorre in maniera lineare nella parte dei violini, e il resto funge da riempimento sonoro. La sua lettura dei brani in contatto con il trascendente evidentemente aveva assunto modalità standard: la conformazione timbrica è analoga nell’adattamento di una pagina dai contenuti simili come Ein Traum di Grieg. Anche Firenze sogna di Cesare Cesarini era una canzone poco pericolosa, agli occhi della Wehrmacht: una ballata lunare, che parla solo di amore e di bellezza. Etlinger riprende nuovamente il suo schema prediletto (arpa in sostegno dei violini), ma lo germanizza un po’; vale a dire segue una linea compositiva piuttosto simile a quella commentata nel para- grafo precedente. L’orchestra non si limita difatti ad accompagnare

32. La musica nella Germania di Hitler, a cura di Roberto Favaro e Luigi Pesta- lozza, Lucca, LIM, 1996, p. 54.

la voce (la partitura prevede un intreccio tra Orchestra B e canto), ma si fa un po’ più densa nella trama dei fiati, ricorrendo di tanto in tanto a qualche dialogo contrappuntistico di ascendenza sinfonica.

Diverso invece è l’atteggiamento che emerge dall’ultimo brano ita- liano presente nel corpus firmato da Etlinger: il valzer Parla! di Luigi Arditi. Anche in questo caso il grosso della melodia viene risucchiato dalla parte dei violini primi, e l’arpa continua ad avere un ruolo por- tante. La natura brillante del brano tuttavia favorisce una maggiore ricchezza orchestrale: Etlinger impegna fiati e archi nell’imbastitura del ritmo orchestrale, e si permette alcuni inserti cromatici che con- tribuiscono ad addensare la fisionomia saltellante del valzer. Diversi ricami (arabeschi dei legni, tirades dei violini, scomposizioni tra parti differenti di uno stesso disegno ornamentale) testimoniano un gusto piuttosto raffinato nella scrittura della musica da ballo. Questa ricercatezza deve certamente qualcosa alla tradizione asburgica del valzer viennese: l’orchestra di Etlinger ricorda quella degli Strauss, soprattutto per i colori molto brillanti, dovuti a un uso attento dei timbri luminosi (arpa, percussioni metalliche), e a una particolare cura nell’organizzazione dei dialoghi tra parti interne. Anche questo esprime una traduzione tedesca di un testo musicale nato al di sotto delle Alpi. Parla! perde completamente la fisionomia della canzone ballabile, tutta melodia e acuti da prima donna, per trasformarsi in un calco della grande tradizione viennese.

Dopo la guerra Etlinger avrebbe continuato la sua attività di arrangiatore, fino alla fine degli anni Sessanta. Tutto il materiale reperibile, nell’Archivio dell’Auditorium «A. Toscanini», come delle biblioteche tedesche, offre un ritratto esemplare dell’arrangiatore al servizio di un’autorità inflessibile. Il regime nazionalsocialista aveva bisogno di figure poco intraprendenti, abili nel loro mestiere, ma sufficientemente integrate da evitare colpi di testa. Etlinger aveva i requisiti necessari per portare in Italia un po’ di Germania: i com- positori che stavano scrivendo la colonna sonora del Terzo Reich, ma anche un pensiero musicale plasmato sulla tradizione tedesca. I suoi arrangiamenti sono senza dubbio poco creativi: in alcuni casi si limitano ad applicare a un brano una precisa gabbia strumentale, senza eccessive deroghe alla creatività; in altri casi cercano un con- tatto con le ricercatezze della tradizione viennese. Il risultato non

lascia un segno profondo sotto il profilo estetico, ma in fondo testi- monia la piena padronanza di un’arte, per sua stessa natura, subor- dinata: subordinata alla figura del compositore, da non stravolgere nei suoi lineamenti creativi, e subordinata – in quegli anni – alle esigenze del potere dominante.