• Non ci sono risultati.

Trucco e parrucco del repertorio colto

3.3 Le compilations operistiche

La consuetudine di inserire nei palinsesti brandelli di opere non stu- pisce. La radio nacque come strumento destinato a spiluccare un po’ qua e un po’ là in giro per il repertorio. Venivano fuori compilations di brani misti, messi insieme senza necessariamente rispettare un criterio di omogeneità, interessanti per analizzare la recezione del repertorio: vale a dire quali fossero i brani che andavano più di moda in quegli anni, orientando e contribuendo a formare il gusto del grande pubblico. Basti osservare l’articolazione di un programma lirico, estrapolata dal «Radiocorriere» del 4 aprile 1954:

Beethoven: Fidelio, Coro dei prigionieri; Mozart: Il ratto dal serra- glio, «Che pur aspro il cuore»; Bellini: I puritani, «Ah, Per sempre Io ti perdei». Verdi: Falstaff, «Sul fil d’un soffio etesio»; Rossini: Il Bar- biere di Siviglia, «Largo al factotum», Mascagni: Lodoletta, «Flam- men perdonami»; Gounod: Faust, «Santa medaglia»; Donizetti. Don Pasquale, «Pronta io son», Duetto atto primo; Wagner: «Tannhäu- ser», Entrata dei Bardi.11

Beethoven, Mozart, Bellini, Verdi, Rossini, Gounod, Donizetti e Wagner: la carrellata attraversa linguaggi, stili e repertori molto distanti tra di loro. Ma la consuetudine di mettere insieme, in moda- lità pressoché casuale, brani sciolti tratti dalla grande produzione operistica era piuttosto diffusa in quel periodo. Basta anche scorrere la cronologia dei concerti sinfonici per notare quanto fosse consoli- data l’usanza di inserire in stagione programmi interamente basati su arie o estratti d’opera: dagli anni Trenta all’inizio degli anni Settanta concerti di questo genere – sponsorizzati da aziende quali Martini & Rossi, Ballor o Esso – erano organizzati con cadenza mensile, se non bisettimanale. Solo raramente c’era una linea artistica precisa nell’impaginazione dei brani: magari una passeggiata attraverso il repertorio francese, o una locandina da dedicare all’opera buffa di produzione nostrana. La tendenza generale era proprio quella della sequenza imprevedibile, fatta di pagine sciolte, pescate a spasso per la storia della musica.

Spesso il repertorio operistico trovava però anche una colloca- zione nei programmi dell’Orchestra B: non rimaneva confinato tra le mura dorate delle stagioni sinfoniche. E questa destinazione, come sempre, esigeva il consueto passaggio in sala trucco: arrangiamenti per organico ritmosinfonico, che trovassero un modo di trasmet- tere in forma puramente strumentale brani nati attorno al timbro inimitabile della voce. Proprio per questo motivo l’operazione risul- tava particolarmente ambiziosa. Finché la trascrizione assumeva i contorni della riduzione per piccola orchestra, o della rivisitazione per orecchie poco avvezze alle sonorità della sala da concerto, il lavoro sartoriale era piuttosto semplice, o perlomeno organizzabile secondo linee-guida abbastanza sperimentate. Ma con il repertorio operistico era tutto un altro paio di maniche: quella musica, senza la voce, fatica sempre a stare in piedi.

La soluzione scelta dall’EIAR in quegli anni era spesso quella di ricorrere a suite sinfoniche messe insieme da mani autorevoli. È il caso delle due rielaborazioni sull’Esclarmonde di Jules Massenet e la Louise di Gustave Charpentier. Nel primo caso la firma è quella di Henri Mouton, il direttore e compositore belga noto per aver realiz- zato diversi arrangiamenti da Milhaud e Debussy nonché per aver collaborato a partire dal 1904 a una pubblicazione intitolata l’Opéra

concertant, una sorta di bibbia della rivisitazione sinfonica del repertorio lirico. Mentre il secondo nome è quello di Francis Casa- desus, direttore tra i più stimati della prima metà del Novecento per la sua attività all’Opéra e all’Opéra Comique di Parigi, nonché per un impegno assiduo presso la sede nazionale dell’ente radiofonico francese. Entrambi i nomi manifestano stretti legami con l’am- biente colto, senza tuttavia disdegnare contatti con il mondo degli arrangiatori e dei mezzi di comunicazione di massa. Le loro sono dunque trascrizioni d’autore, certificate anche nel settore paludato della grande tradizione sinfonica. Prima di mettere mano al delicato meccanismo della produzione operistica, e per di più di fattura fran- cese, era meglio affidarsi a edizioni ben rodate (in entrambi i casi le pubblicazioni risalgono ai primissimi anni del Novecento), nonché accreditate.

I due arrangiamenti sono difatti molto raffinati, alleggeriscono di poco il peso dell’orchestrazione originale, affidando le linee vocali ad alcuni strumenti solisti, senza tuttavia scavare un fossato troppo profondo tra canto e accompagnamento: soprattutto nella suite arrangiata da Casedesus, le varie parti della Louise emergono in tutta la loro densità orchestrale, dando l’impressione di essere nate per l’organico strumentale. Le linee vocali prendono una pelle timbrica continuamente cangiante e si intrecciano all’orchestra come se fos- sero fili dello stesso gomitolo. Il risultato è molto suggestivo: riesce a ottenere l’obiettivo di ricreare nella mente dell’ascoltatore tutta la trama della partitura originale, senza tuttavia ricorrere all’intervento dei cantanti. Una soluzione ottimale per lo strumento radiofonico, vista l’esigenza – per quanto riguarda l’attività delle orchestre rit- mosinfoniche – di ricordare, piuttosto che riproporre fedelmente, il repertorio da teatro.

Diverso è invece il caso dell’Arietta dal Roméo et Juliette di Charles Gounod. La celebre pagina del repertorio lirico francese è arrangiata da un compositore italiano, sicuramente meno autore- vole rispetto a quelli citati sopra, e che lavorava al servizio dell’E- IAR: Giulio Lorandi. Sua la firma difatti su molte altre trascrizioni destinate all’attività dell’Orchestra B: l’Ariette dalla Mireille sempre di Gounod, Nacht und Träume di Franz Schubert, e diverse can- zoni in voga tra gli anni Quaranta e Cinquanta (Intimità, Il mio

Broadway, Canzone del reduce, Non sei mai stata così bella). Stiamo certamente parlando di un musicista molto meno legato al mondo della produzione colta, e dal nome senza dubbio meno accreditato. Ma l’EIAR evidentemente nutriva una certa fiducia nella sua com- petenza di arrangiatore, tanto da affidargli pagine piuttosto raffinate tratte dai cataloghi di Gounod e Schubert. L’Ariette del Roméo et Juliette è trattata in maniera simile alle pagine sinfoniche descritte nel paragrafo precedente: pianoforte conduttore, arpa ostinata, bat- teria e un generale alleggerimento dell’orchestrazione soprattutto nelle parti dei fiati. C’è però una differenza notevole rispetto alle trascrizioni commentate sopra: la voce non è inglobata dall’orche- stra, ma rimane intatta nella parte del soprano. Si tratta dunque di un semplice restyling dell’accompagnamento strumentale ovvero di un’operazione meno rischiosa rispetto alle precedenti, e dunque affidabile anche a un compositore meno esperto nella manipola- zione del linguaggio sinfonico.

Le riprese del repertorio italiano, generalmente, prediligono pagine sinfoniche: danze, intermezzi, preludi. Tutti brani normal- mente eseguiti in sala da concerto, al di fuori del loro contesto, che tuttavia in radio dovevano apparire rivisitati secondo i criteri stru- mentali dell’Orchestra B. Ci sono però anche casi in cui la riduzione prevede il taglio delle parti vocali. Succede nell’introduzione dell’I- ris, l’opera di Mascagni che per tutta la prima metà del secolo rimase stabilmente nei cartelloni di tutti i teatri italiani. La pagina divenne una hit del repertorio, nonostante il suo impegnativo organico (coro e orchestra mastodontica), trovando spazio molto spesso anche nei programmi antologici. Alla radio le esecuzioni dell’Inno al sole, come si usava dire all’epoca, furono molto frequenti fino all’inizio degli anni Sessanta: ben 43 le apparizioni indicizzate nei palinsesti del «Radiocorriere» tra il 1929 e il 1963, prima di un totale vuoto nell’ultima parte del secolo.

Il riferimento extramusicale allude all’avvento del giorno, e la partitura avanza intrecciando tutte le varie fasi: la notte, i primi albori, l’aurora, i raggi del sole e il giorno. L’apparizione della luce, in tutta la sua forza abbagliante, prevede l’intervento del coro, che canta «Son io! Son io la vita! Son la beltà infinita. La Luce ed il calor». La massa vocale è imponente, ma nella riduzione firmata A. Stefani

(compositore di cui si sono perse le tracce), viene adeguatamente sostituita da un impasto di violini, ottoni e armonium, che riesce a conferire la giusta solarità all’episodio. Nei momenti più intimi la linea del canto viene rilevata da un curioso tandem formato da violino e clarinetto solisti. Anche la batteria dà il suo contributo, intervenendo a dare il giusto corpo ai momenti più appariscenti. E il risultato è certamente quello di un sound ben inserito nel solco del repertorio che stiamo descrivendo: perfetto per riportare alla memoria tutta la forza visiva della pagina di Mascagni, senza tut- tavia ricreare fedelmente la violenza della scrittura originale, con il suo finale in quintupla ‘f’ pensato per investire i sensi dell’ascolta- tore. In una emittente che prediligeva compilations di musiche ope- ristiche, un certo appiattimento delle dinamiche e della complessità orchestrale tornava utile proprio per andare incontro alla modalità fruitiva di un ascoltatore radiofonico. La fisionomia generale doveva essere piuttosto omogenea, grazie ad alcune scelte timbriche ricor- renti, che allineassero brani molto diversi alla sonorità attesa dall’in- trattenimento musicale (perlopiù pomeridiano, come succedeva di solito per le produzioni dell’Orchestra B).

Di particolare interesse, al di là della tecnica adottata per l’arran- giamento strumentale, è poi la valutazione del repertorio. A domi- nare sono i francesi, con Gustave Charpentier, Charles Gounod, Fromental Halévy e Jules Massenet. La cosa stupisce un po’, visto che stiamo parlando di una produzione che oggi fatica a trovare spazio nei cartelloni degli enti lirici; ma bisogna considerare il cam- biamento di gusto, che senza dubbio nella seconda metà del secolo si è indirizzato con maggiore decisione verso Debussy e Ravel, non- ché il fatto che questi autori, con la loro raffinatezza orchestrale, prestassero il fianco a riduzioni e arrangiamenti dimagranti. Meno sorprendente è invece la presenza massiccia di compositori appar- tenenti alla cosiddetta Giovane Scuola. Mascagni in particolare fu strettamente legato all’EIAR per tutta la vita: basti pensare al numero di apparizioni sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Torino (ben 14 tra il 1933 e il 1942), o al ventaglio di esecuzioni sempre a Torino (in forma completa o come brani sciolti) che comprende quasi tutto il catalogo operistico del compositore livornese (Amico Fritz, Cavalleria rusticana, Guglielmo Ratcliff, Iris, Isabeau, Lodoletta, Le

Maschere, Parisina, Pinotta, I Ratzau, Silvano, Zanetto). Fu inoltre scelto dall’EIAR di Roma nel 1942 per dirigere un concerto bandi- stico che prevedeva l’organico record di ben 3500 esecutori. Sempre la sede romana dell’EIAR decise di tributare l’omaggio più grande ai cinquant’anni di Cavalleria rusticana, programmando nel 1940 la rappresentazione radiofonica dell’opera proprio nello stesso giorno (17 maggio) della prima esecuzione, con l’autore sul podio. E non era raro che Mascagni impugnasse il microfono per parlare alla radio, soprattutto in tempo di guerra, per spiegare la sua arte, ma anche per ricordare con toni commossi l’eroismo del figlio, morto in guerra per la conquista dell’Impero.

Stesso discorso vale per Leoncavallo, presente nell’Archivio Rai, oltre che con numerose romanze da camera, con un arrangiamento per Orchestra B dell’Invocazione all’Italia tratta dall’opera Mameli. Anche lui era un compositore particolarmente caro all’EIAR: molte le sue opere in programma nelle stagioni sinfoniche (La Bohème, I Pagliacci, Edipo Re, La reginetta delle rose, Zazà, Gli zingari). Solo per motivi anagrafici (la morte nel 1919) non ebbe la possibilità di strin- gere rapporti diretti con l’ente radiofonico italiano. Anche Alfredo Catalani e Giacomo Puccini poterono entrare in EIAR solo con la loro musica, visto che non fecero in tempo a conoscere l’era d’oro del primo grande mass media. Ma anche loro lasciarono un segno profondo nella storia delle trasmissioni via etere. Loreley e Wally di Catalani furono presenze ricorrenti dei palinsesti fino all’inizio degli anni Cinquanta; sono presenti diversi arrangiamenti proprio di pagine tratte da questa opera nel fondo «Orchestra B». Mentre Puccini, come del resto in qualsiasi ambito, ha continuato a trovare spazio nella programmazione per tutta la seconda metà del secolo; ed è proprio per questo motivo che sorprende la presenza di un solo arrangiamento per banda (da Le Villi) in tutto l’Archivio musicale Rai.

L’operista più frequentato dagli arrangiatori EIAR dell’Orchestra B era però Amilcare Ponchielli: diverse le riduzioni dalla Gioconda, dai Lituani, dai Promessi sposi e da Marion dorme. Ma anche questo dato non stupisce più di tanto, perché stiamo parlando del padre spirituale della Giovane Scuola: colui che seppe imboccare una via, poi percorsa dalla generazione successiva.

Ciò che deve far riflettere è un altro dato: il sommerso. Nel fondo dell’Orchestra B non compaiono i grandi nomi del teatro musicale, quelli che ci rappresentano ancora oggi in giro per il mondo: nessun arrangiamento da Verdi, Rossini, Donizetti e Bellini. Il progetto di remake non tocca i padri dell’opera italiana, ma si indirizza total- mente verso il serbatoio della Giovane Scuola, con qualche deroga per autori molto legati alle attività dell’EIAR come Riccardo Zan- donai (proprio nell’archivio Rai di Torino è presente il manoscritto della sua Conchita, datato 1910). Potrebbe essere uno spontaneo gesto di deferenza nei confronti di un patrimonio musicale consi- derato intoccabile. Ma potrebbe essere anche, più semplicemente, un segno di banale ottemperanza al gusto musicale del tempo: sap- piamo difatti che le opere di Ponchielli e compagni attraversarono un periodo di grande fortuna proprio nella prima metà del Nove- cento; era pertanto naturale che la radio, in quanto strumento di comunicazione di massa, tenesse in considerazione questa tendenza generale. Inoltre non va trascurato il fatto che la scrittura della Gio- vane Scuola fosse molto più appetibile agli occhi degli arrangiatori EIAR: la ricchezza orchestrale di quel repertorio operistico, denso di intrecci tra voce e accompagnamento, nonché di ridondanze e di amplificazioni emotive, era difatti un terreno ideale per le riduzioni di organico.