• Non ci sono risultati.

L’EIAR folk

4.3 Il fondo «Canzoni popolari»

La maggior parte dei documenti conservati nel fondo «Canzoni popolari» dell’Auditorium Rai appartiene proprio all’età di mezzo dell’etnomusicologia: materiale nato tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, vale a dire nel periodo aureo della dittatura culturale fascista, quando il metodo di indagine era ancora tutto da formattare e l’interesse del potere dominante andava nella direzione della scre- matura. La prima caratteristica da rilevare è l’eterogeneità del mate- riale: nel mucchio si trovano composizioni molto diverse, che non sempre possono essere collegate alla produzione di stampo folklo- rico. Canti degli alpini, spirituals, trascrizioni di tipo sinfonico, inni di ascendenza risorgimentale. Molti di questi pezzi hanno un autore dichiarato, sono legati a una precisa area tipografica, sono il risultato di un ramificato albero genealogico, fatto di pubblicazioni stratifi- cate, interventi complessi, passaggi di mano che hanno corrotto il testo originale: quasi tutti sono entrati nel circuito editoriale che da

21. Arnaldo Bonaventura, La canzone popolare italiana, «Radiorario», 24 novem- bre 1929, p. 13.

sempre stritola l’autenticità filologica del repertorio colto. L’appli- cazione dell’aggettivo ‘popolare’ a questo fondo denota pertanto la confusione che in quegli anni ruotava attorno al termine: come se si trattasse di un contenitore in cui buttare tutto ciò che faceva fatica a trovare una collocazione nel consueto spettro dei generi colti, e che per la dirigenza del tempo poteva essere ascritto alla voce autoriale di una collettività genericamente extraurbana.

Alcuni documenti manifestano un legame genetico con la cultura dell’Opera Nazionale Dopolavoro: il manoscritto di Madonnina dei pescatori (Madonni’na di Pescoei) reca l’indicazione «Primo pre- mio al Concorso Ufficiale delle Canzoni Dopolavoro Provinciale di Genova» (1935); la canzone genovese A San Miché (sempre mano- scritta) nacque per l’Orchestra II del Dopolavoro di Genova; l’edi- zione dei Canti popolari di messidoro (1938) è esplicitamente rivolta agli usi delle Società Corali, con particolare riferimento a quelle dell’Opera Nazionale Dopolavoro; lo spartito canto-piano delle Canzonette piemontesi 1931 reca il timbro «O. N. D. della Provincia di Torino»; una raccolta di canzoni è tratta dal repertorio presen- tato al I Concorso Folclorico della canzone genovese indetto nel 1931 dal distretto provinciale di Genova (la pubblicazione si deve addi- rittura alle Edizioni del Dopolavoro Provinciale Genova); e Varca ‘e nisciuno di Cacciapuoti-Campanino sfoggia sulla copertina il riconoscimento (Primo Premio) conseguito al Concorso Nazionale Dopolavoro della Provincia di Napoli nell’anno XX (1942). Sono tutte lampanti manifestazioni di quell’interesse per il folklore che proprio in quegli anni stava nascendo negli organi culturali mani- polati dal regime.

L’EIAR, in quanto collettore di materiali sfornati da altri enti, riempiva la sua programmazione di quelle musiche, testimoniando una rete di relazioni piuttosto solida fin dalle origini. Già nel 1926 l’Opera Nazionale Dopolavoro si fece carico di esaminare la con- correnza tra i produttori di apparecchi radiofonici al fine di dotare le varie sedi dei migliori impianti in circolazione (valutazione com- parativa vinta dai prodotti commercializzati dalla ditta S.I.T.I.).22

A partire dal 1930 ogni uscita del «Radiocorriere» dedicava ampio

spazio, nell’ambito della rubrica intitolata «Cronache radiofoniche», alle iniziative dell’OND. E non era raro che i microfoni dell’EIAR andassero direttamente nelle piazze, trasformate in enormi vetrine del best of italico, per disseminare nel paese le iniziative aggreganti dell’ente; esemplare in questo senso la stagione lirica organizzata a Littoria, il comune «sorto come per incanto dalla palude e dalla ster- paglia per volontà del Duce», e trasmessa alla radio in diffusione nazionale. Naturale, dunque, che un impegno ingente come quello rivolto al repertorio popolare dall’OND, fosse un terreno di comu- nicazione privilegiato con la dirigenza della radiofonia; e gli unici materiali conservati nell’Archivio dell’Auditorium Rai, che possano rivendicare un contatto diretto con l’ente dopolavoro, sono quelli legati alla programmazione della musica folklorica.

Esistono poi diverse cartelle che testimoniano una rete di rela- zioni tra l’EIAR e i centri etnologici del tempo. Gaetano Salvadego, musicista torinese passato alla storia soprattutto per il suo impegno sul fronte della didattica e delle armonizzazioni del repertorio bel- lico (il suo contributo più significativo consiste nel volume intito- lato Canti di guerra), donò all’EIAR un’edizione di Villotte curata dalla Società Filologica Friulana «G. I. Ascoli». L’avvertenza iniziale, datata 31 agosto 1932, allude al lavoro svolto direttamente sul campo dai vari ricercatori coinvolti, specificando il fatto che venticinque delle trenta canzoni fossero all’epoca del tutto inedite. Salvadego proprio in quell’anno aveva ricevuto dall’EIAR l’incarico di istituire e dirigere la Scuola corale dell’ente radiofonico, come dimostra una foto pubblicata sul «Radiocorriere» dello stesso anno. La partitura delle Villotte è arrangiata per coro maschile; è pertanto probabile che molto di quel materiale, messo insieme da un istituto autorevole sotto il profilo della ricerca sul folklore, sia finito proprio nell’archi- vio della scuola vocale.

Le raccolte di canti alpini conservate nel fondo sono frutto di un impegno profuso dal Club Alpino Italiano proprio intorno alla fine degli anni Venti: Canti della Montagna fu pubblicato da Ricordi nel 1929 «sotto gli auspici della sede centrale del C. A. I.»; i Quat- tro canti di montagna raccolti e armonizzati da Bruno Piccinelli nel 1922 erano nati in omaggio alla comunità degli alpini, nonché dietro esplicita autorizzazione del Club. I Canti di Sardegna e i Canti della

terra e del mare di Sicilia, curati rispettivamente da Giulio Fara e Alberto Favara, erano un punto di riferimento per la nascente disci- plina etnomusicologica, così come sarebbe stata intesa dagli studiosi nella seconda metà del secolo. E non furono pochi i contatti diretti tra musicisti alle dipendenze dell’EAIR e studiosi che in quegli anni lavoravano personalmente alla ricognizione sulle melodie di tradi- zione orale: esemplare in questo senso il volume dei Canti popolari di Messidoro regalato dallo stesso curatore, Luigi Neretti, a Tito Petralia.

Fig. 21: Frontespizio dei Canti popolari di Messidoro con dedica manoscritta

Il significato di questo fondo è tutto condensato nelle parole di Elisabetta Oddone, promotrice della trasmissione intitolata «Il cantuccio dei bambini». Si deve al suo impegno la realizzazione del Canzoniere dell’Italia settentrionale, anch’esso presente in una delle cartelle conservate presso l’Auditorium Rai di Torino. Questo documento è introdotto da una prefazione, che testimonia un netto

allineamento alle indicazioni date dal regime in merito alla funzione del canto popolare:

Chi ci immagina rozzi e laceri, ignoranti e accidiosi, incivili e barbari finirebbe col comprendere che chi canta con tanto senso di bellezza non può vivere come un bruto e arriverebbe forse a mormorare suo malgrado un timido VIVA L’ITALIA, eco lontano del grido com- mosso che noi ripetiamo ferventi ogni qual volta ci è dato di veder riconosciuto l’incanto della nostra terra e la bontà della nostra gente.23

Lo sfruttamento a fini patriottici era evidente. Ma nelle parole di Elisabetta Oddone si avverte la stessa preoccupazione rilevata nell’articolo di Bonaventura in merito all’uso della registrazione sonora: il riferimento al grammofono24 in realtà allude alla volontà di

ampliare il bacino di fruitori, raggiungendo anche gli italiani privi di nozioni musicali; non c’è alcun nesso con la necessità di raggiungere la massima autenticità del dato orale. Resta però una testimonianza della progressiva crescita di attenzione per gli strumenti tecnici, in relazione alla ricerca sul popolare.

Il rilievo dato dagli organi culturali, tanto quanto politici, del tempo al repertorio di origine folklorica è rispecchiato nell’Archivio Rai dai numerosi documenti, autorizzati ufficialmente dal governo, che registrano la collaborazione di nomi illustri del panorama intel- lettuale fascista. Non manca la firma di Balilla Pratella: nell’edizione dei Canti popolari italiani di regioni diverse (Ricordi, 1930), una raccolta che passa al setaccio del linguaggio corale colto il dettato originale delle melodie selezionate. I Nove canti popolari d’Abruzzo recano una dedica manoscritta a Gabriele d’Annunzio «Mastre can- tatore di sta Terra nostra» (marzo 1927). I Canti di Sicilia raccolti e trascritti da Paolo Frontini sono scritti in «reverente omaggio a Sua Maestà Elena di Montenegro, Regina d’Italia». E L’anima musicale

23. Canzoni dell’Italia settentrionale, a cura di E. Oddone, Milano, Ricordi, 1929, p. I.

24. Ibid.: «Né trascurabile mi sembrerebbe la collaborazione del grammofono che nel sostituire il segno grafico musicale coll’immediata riproduzione dei canti stessi, toglierebbe agli ignari della teoria sonora ogni difficoltà di lettura con- cedendo anche ad essi la facoltà di ripetere le melodie tradizionali».

della patria di Achille Schinelli (dedicato a Benito Mussolini) si apre su una lettera in copia anastatica del Ministro della Pubblica Istru- zione (1 luglio 1928), che parla del canto popolare come simbolo della coscienza nazionale:

Dal 1726 alla Marcia su Roma il canto accompagna il cammino fati- coso della gente italiana che, volgo disperso, acquista finalmente col fascismo una salda coscienza nazionale, e nell’inno “Giovinezza” (che chiude la raccolta) afferma ed esalta l’inizio della nuova storia d’Italia. 25