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L’EIAR occupata dai nazisti Un buco nero della storia

1.4 La musica trasmessa dal circuito Soldatensender Italien

1.4.5 Il valzer viennese made in Italy

Il fondo «Repertorio tedesco» è molto ricco di valzer viennesi. Natu- rale che la cultura tedesca scegliesse una delle sue carte di identità più rappresentative per invadere la programmazione radiofonica italiana. Tanti gli arrangiamenti sulle opere della famiglia Strauss, di Franz Lehár o di Carl Michael Ziehrer; ma sono anche numerosi i valzer in stile viennese composti dai fedelissimi del regime: ad esem- pio Illusion (1942) di Franz Grothe o Erinnerungen an das alte Wien (1938) di Lothar Riedinger. Gli arrangiamenti sono spesso firmati proprio da Richard Etlinger per garantire la massima aderenza alle linee estetiche definite da Goebbels e compagni.

C’è però anche una interessante collezione di valzer viennesi made in Italy: vale a dire non semplici valzer, intesi come brani ballabili in tempo ternario, nati e cresciuti nel cuore della cultura italiana; ma lavori dichiaratamente ispirati alla grande tradizione della danza asburgica. Una notte a Vienna di Vincenzo Manno è un brano del 1943, scritto direttamente per organico ritmosinfonico (con pianoforte conduttore). Già il titolo esprime la volontà di ren- dere omaggio alla patria del valzer; e la scrittura si allinea piutto- sto rigorosamente a questo ideale poetico, giocando sugli elementi tipici della produzione citata: appoggiature ascendenti dalla fisiono- mia maliziosa, ritmi puntati (con predilezione per il doppio punto in molti casi) che fanno saltellare la line melodica, continui rubati nell’andamento agogico, cromatismi nei legni che decorano la par- titura rendendo tutto lo sfarzo artistico della capitale austriaca. Solo nella parte centrale emerge una esplicita concessione al linguaggio di casa: un piccolo dramma che sembra per un attimo aprire il sipa- rio su uno scenario operistico. Trombe e tromboni si impossessano

del tema, mentre il resto dell’orchestra si mette a vibrare su una pro- gressione di settime diminuite: il lessico è quello delle grandi scene liriche, quella rappresentazione sonora dei movimenti emotivi che il teatro italiano aveva insegnato a mezza Europa. Dopodiché un lungo svolazzo dei violini chiude ciclicamente la composizione, ricreando il mondo brillante e ornamentale del valzer viennese.

Anche Giardino viennese di Setti38 cerca un contatto diretto con la

stessa tradizione. Il brano in realtà è un valzer cantato, che ripensa al passato in tono languido: «Quando freme nel valzer divin un violin con languor, quell’incanto ritorna così come un dì nel mio cuor». La cornice è il film muto diretto da Gennaro Righelli nel 1920, La vergine folle. Ma il mondo espressivo è soprattutto quello della pagina leggera all’italiana, con una melodia cantabile e lineare, sostenuta da movimenti accordali ternari poco sorprendenti sotto il profilo armonico. In questo caso l’allusione a Vienna è molto vaga in musica, ma sufficientemente connotata a livello extramusicale da risultare gradita alla cultura austro-tedesca.

Carezza viennese (1939), di Domenico Savino, è invece un brano in «Tempo di valzer lento alla viennese»: fin dall’indicazione ago- gica in testa alla partitura, dunque, dichiara un allineamento con la cultura musicale asburgica. Il ritmo ternario c’è, la ricercatezza tim- brica anche, il gioco di allargamenti agogici è frequente; manca però quell’euforia che da sempre contraddistingue i valzer della famiglia Strauss. Savino non vuole ottenere l’effetto del tappo di champa- gne esploso nell’aria; preferisce un andamento lento, che dia tutto il tempo all’ascoltatore di assaporare il tono decadente di una danza sopravvissuta a se stessa. La scrittura malinconica e inerte ricorda molto più da vicino il linguaggio di Jacques Offenbach: i valzer con- tenuti nella Belle Hélène, con i loro colori volutamente sbiaditi (gli stessi della Barcarole incastonata nei Contes d’Hoffmann), nel ten- tativo di alludere a un bene prezioso da stringere in mano per l’ul- tima volta. Le pagine analoghe volute dal Reich vedevano con molta meno nostalgia il répechage del passato.

38. Le nostre ricerche non sono arrivate a una certezza in merito al nome di bat- tesimo di questo compositore (indicato in partitura con la sola iniziale “G.”). Potrebbe essere Giulio Setti, anche se l’attività di questo musicista risulta esclusivamente dedita alla direzione d’orchestra.

Anche Nello Segurini ha lasciato un segno in questo terreno. Il suo valzer-fantasia intitolato Si danza a Vienna non è facile da datare; ma, vista la collocazione, è probabile che rimandi al periodo dell’oc- cupazione nazista (Segurini entrò in EIAR nel 1940). La partitura punta su sonorità brillanti, senza tuttavia dedicare troppa cura alla raffinatezza dell’orchestrazione. L’organico è ampio ma lo schema strumentale è piuttosto ripetitivo, con una predilezione per i rad- doppi, invece che per i ricami polifonici in miniatura, vera specialità di casa Strauss. Del resto la composizione è scritta per una forma- zione ritmosinfonica (l’Orchestra B anche in questo caso), con tanto di batteria schierata a rinforzo del ritmo ternario. La ricercatezza dei dialoghi non poteva certo essere in cima agli interessi di un compo- sitore come Segurini, che si stava facendo notare proprio per la sua capacità di arrangiatore leggero. Il risultato però è molto luminoso e piacevole, del tutto privo di ombre scure; e quindi perfettamente allineato alle richieste dei nuovi padroni.

E così via, si potrebbe continuare con Vienna Vienna di Rudolf Sieczynski nell’arrangiamento di Tito Petralia (a Torino proprio in quegli anni), Il bacio di Luigi Arditi, con il suo ritmo di valzer adattato ai versi di Gottardo Aldighieri, o il Gran Walzer di Bruno Wassil dedicato nel 1942 al compositore filonazista Heinz Mietz- ner. Tutte pagine che denotano una specie di crossover culturale tra Italia e Germania, cucito attorno al motivo conduttore del valzer viennese. Il corpus esprime una mescolanza sistematica di entrambe le culture; e in fondo l’incrocio stava bene a un’autorità che aveva fatto della propaganda segreta un suo cavallo di battaglia: trasmet- tere il culto della tradizione tedesca, passando attraverso gli atti di deferenza manifestati dai compositori (e arrangiatori) italiani. Così la radio infondeva nella gente il culto del valzer viennese, senza imporre esclusivamente un prodotto venuto dal nord. Anche que- sto, in fondo, era un black game.

1.4.6 Pippo Barzizza: l’infiltrato del circuito Soldatensender