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L’EIAR folk

4.6 Il popolare in bagna cauda

La collocazione geografica dell’archivio spiega la copiosa presenza di materiale folklorico (o comunque dialettale) raccolto in Piemonte. Naturalmente Leone Sinigaglia la fa da padrone, con l’edizione completa delle Vecchie canzoni popolari del Piemonte op. 40 (in sei volumi), ma anche con diversi manoscritti (appartenenti perlopiù alla produzione colta) conservati nel fondo «Manoscritti e rari».30

Tra gli arrangiamenti della sezione dedicata al folklore, si annove- rano L’aria del mulino e Le tre comari nell’orchestrazione di Cesare Gallino: quest’ultimo fu uno dei musicisti di punta dell’EIAR anni Trenta e Quaranta. Negli anni in cui il jazz si infiltrava con pre- potenza nei palinsesti dell’ente, grazie in particolare al contributo di Pippo Barzizza, Gallino rimase il più amato dai tradizionalisti. Approdò alla radio nel 1929, come pianista. Ma presto si fece notare come direttore, lasciando un segno soprattutto nella concertazione dell’operetta: genere al quale sarebbe rimasto legato fino al dopo-

30. Il fondo, recentemente catalogato e digitalizzato, comprende due manoscritti di Bagatelle per violino e pianoforte, del Concerto per violino e orchestra op. 20, delle Variazioni sopra un tema di Johannes Brahms e della Romanza per

guerra avanzato (Gallino è morto nel 1999, a novantacinque anni). Non a caso la prima operetta trasmessa in assoluto dalla radio ita- liana fu affidata alla sua bacchetta (si trattava del Paese dei campa- nelli di Virgilio Ranzato diffuso nel 1929). E il concerto dedicato dall’Orchestra della Rai ai suoi novant’anni (il 23 aprile del 1994) era tutto intessuto di melodie tratte da quel repertorio. Sergio Sablich nel programma di sala pubblicato per l’occasione scriveva:

Cesare Gallino è stato per anni l’operetta in Italia. Quando l’Italia, paese del melodramma, non era ancora diventato un paese da ope- retta. La sua generazione è quella dei nostri padri, dei nostri nonni. Un po’ di rispetto, per favore. […] Gallino è stato il primo diret- tore d’operetta alla Radio italiana. Da Torino, per l’EIAR. Era allora anche lui, come il venditore di uccelli di Carl Zeller «sui vent’anni pieno d’amor». Un giovane, così lo ricordano tutti, fascinosissimo, il vero tipo d’artista bohémien, ma con una preparazione musicale profonda e versatile. Si faceva un’operetta alla settimana allora, e tutto rigorosamente in diretta. Occorrevano doti speciali, per gal- leggiare tra quelle onde tumultuose. Gallino regalava ogni volta agli ascoltatori emozioni e slanci, fantasie e capricci sul tre quarti. […] Invidiamo i novant’anni di Gallino. Chi non vorrebbe una vita come la sua, vissuta con pienezza e coll’appassionato distacco di chi sa che tutto, come l’operetta insegna, è infine meravigliosa illusione?31

Solo che Gallino non fu, soprattutto negli anni Trenta e Qua- ranta, esclusivamente l’uomo dell’operetta. Il suo contributo fu molto significativo in particolare nel genere della canzone piemon- tese: sono ben 34 gli arrangiamenti passati sotto le sue cure. L’or- ganico è sempre piuttosto ampio, ma la scrittura tutto sommato è vicina al linguaggio dell’operetta. Le parti sono trattate con una grande semplicità, il contrappunto è elementare, il ritmo non si schioda da continue sottolineature ballabili, e la melodia è lasciata sempre solo alla parte vocale. Davvero queste strumentazioni ren- dono l’orchestra un delicato accompagnamento alla linea isolata dal canto: nessuna ambizione sinfonica, nessuno stravolgimento del testo originale, nessuna elaborazione complessa. Il genere non

31. Sergio Sablich, Cento di questi giri di valzer!, programma di sala pubblicato dalla Rai in occasione del concerto per i novant’anni di Cesare Gallino (Audi- torium Rai, 23 aprile 1994).

è ufficialmente quello: ma lo stile orchestrale è senza dubbio quello delle operette, con la loro tessitura ordinata che non va mai a met- tere in dubbio il primato della melodia. Ancora una trasformazione, dunque, del corpus melodico pescato dalla voce del popolo.

Fig. 24: Disegno del Po scarabocchiato su una partitura del fondo «Canzoni popolari»

Accano a queste rivisitazioni colte, che – ormai si capisce – costi- tuivano la regola del trattamento riservato al materiale folk, c’erano però anche alcune operazioni meno deformanti. Succede proprio con la canzone piemontese, che evidentemente finiva nell’archivio EIAR in una quantità superiore alle reali possibilità di trascrizione

sostenute dall’organico radiofonico. Diverse cartelle del fondo «Canzoni popolari» conservano materiale manoscritto forse di prima mano, o comunque non sottoposto a cambiamenti di pelle snaturanti. Sono tutti spartiti per canto e pianoforte che raccolgono brani di vario tipo, dedicati al lato sorridente (anche in questo caso il popolare resta legato alla dimensione della spensieratezza) della cultura piemontese. La Chitara parla di uno spiritoso parrucchiere, che va in bottega con la chitarra per vivere in allegria le sue giornate di lavoro. Serenada…geilà è una canzonetta rivolta alla bella Nineta fatta da un innamorato stufo e infreddolito, che al calore dei baci sembra preferire di gran lunga quello della peperonata: «Cercôma n’ostariëtta, cita, comoda, dësgenà, e mangiôma ancôr ‘na volta una bela povrônà». Lassme nen è un’implorazione rivolta a un’amata in procinto di lasciare Torino, che dovrebbe cambiare decisione solo all’idea di immaginare una vita «sut brassetta, d’amur e ’d basin». La regina del Mercà celebra il clima spensierato e vitale del mercato di Porta Palazzo. E la Cansôn d’l Bagna Cauda affida al noto piatto piemontese una specie di ruolo terapeutico, in grado di «guarir tuti i magôn»:

Cansôn d’l Bagna Cauda El rimedi più sicur per guarì tuti i magôn l’è col d’ l’ôli anciue e bur bagna cauda card e puvrun. […]

Quand che d’las da paghè l’fit quand cat riva l’esatur

quand che ad neuit a piuvru i cit quand la fumma a la i dôlôr. […]

Con la bagna cauda e l’ai fate forza se no guai recumante a San Simôn e poi mangia tre pôvron.

Ancora una volta, dunque, una selezione votata a ritrarre un popolo felice delle sue tradizioni, poco incline alle riflessioni

dolorose, e incapace di provare astio per lo schiacciamento della piramide sociale. Il materiale è spesso firmato da nomi illustri della canzone dialettale: in particolare Giuseppe Chiri, che con l’EIAR fu in stretto contatto, soprattutto negli anni dominati dal Trio Lescano. Quindi, anche in questo caso, l’inserimento nel fondo «Canzoni popolari» continua a testimoniare una certa leggerezza nella catalo- gazione musicale del repertorio: gli stessi faldoni contengono brani appartenenti a una consolidata tradizione scritta e raccolte prelevate direttamente dalla fonte orale della cultura popolare (come succede nei volumi curati da Sinigaglia). Senza nessuna distinzione, come se fosse tutto lavoro attribuibile allo stesso pensiero collettivo.

Naturalmente, anche il caso della canzone piemontese docu- menta un contatto con le attività del Dopolavoro Provinciale. La raccolta pubblicata nel 1931 dalla casa editrice Silmar lo dimostra, grazie a un’introduzione firmata da Luigi Collino che spiega il senso dell’operazione:

Il Dopolavoro Provinciale di Torino, a mezzo della sua Direzione tecnica per il Folklore, ormai da due anni persegue tenacemente un nobile scopo: quello di far rivivere nella simpatia del pubblico la fresca tradizionale canzonetta piemontese. […] Oggi la tradizione canora popolare rivive e il Dopolavoro, con due concorsi ben riusciti e con l’Accademia di canzoni organizzata in occasione della Festa dell’Uva in piazza Vittorio. […] L’album di poesia e di musiche che oggi vede la luce è quello delle canzoni dell’uva, eco viva delle vendemmiate settembrine, dei cori intonati al tramonto presso le bigonce ripiene, dello schiocco di baci spigolati tra due prombi filari su qualche bocca rossa e fresca come gli acini maturi!32

Il mondo della vendemmia era senza dubbio il terreno privilegiato per andare a caccia di melodie rappresentative di un ceto lavoratore; ma la fatica non si avverte in nessun brano della collezione, perché l’immagine disegnata dall’ente continua a essere quella di una col- lettività allegra, che affronta il sudore del lavoro all’aria aperta con il pensiero fisso alla festa della sera, «quando ‘l sol tramonta e la giornata l’è guadagnà».33

32. Canzonette piemontesi 1931, a cura di L. Collino, Torino, Silmar, 1931, p. 1. 33. La vendemmia, in Canzonette piemontesi 1931 cit., p. 13.

I classici al servizio dalle orchestre