• Non ci sono risultati.

L’EIAR occupata dai nazisti Un buco nero della storia

1.4 La musica trasmessa dal circuito Soldatensender Italien

1.4.1 Il romanticismo d’acciaio

Molta della musica contenuta nel fondo «Repertorio tedesco» mani- festa un forte debito nei confronti dei temi romantici. Goebbels su questo punto era stato chiaro fin dal 1933, quando aveva parlato di un «romanticismo d’acciaio»,29 a proposito delle radici artistiche della

razza ariana. In fondo non c’è da stupirsi: normale che una politica come quella nazionalsocialista ammirasse un periodo tanto fecondo della creatività tedesca. Ma Goebbels non pensava al lato più affa- scinante della sensibilità romantica: la sua spinta a evadere dal pre- sente, per rifugiarsi nel mondo del fantastico. Prediligeva piuttosto quella minoranza che era stata in grado di guardare in faccia, magari ricorrendo a toni eroici, i problemi dell’età contemporanea: non i sogni a occhi aperti di tanta produzione musicale (e letteraria), ma l’orgogliosa celebrazione del patrimonio nazionale tedesco.

Sotto questo profilo la collezione di partiture conservate presso l’Auditorium «A. Toscanini» asseconda piuttosto bene il pensiero del braccio destro di Hitler. Karl Pauspertl ad esempio aveva capito

29. Peter Wick, Richard Deveson, Sentimentality and High Pathos: Popular Music

in Fascist Germany in Popular Music. Vol 5: Continuity and Change, Cam-

perfettamente come revisionare il pensiero romantico. Sul suo cur- riculum non c’erano macchie: discendeva da una famiglia di ufficiali dell’esercito, era ben voluto dal potere dominante, scriveva spesso opere di ispirazione militare (Die schönsten Soldatenlieder, Solda- tentanz, Tesstaler-Marsch), dirigeva nelle sale da concerto più pre- stigiose (Vienna e Berlino soprattutto), e dal 1934 al 1938 era stato anche impegnato alla testa di varie formazioni radiofoniche. La sua carta di identità artistica era perfetta per sostenere le esigenze della nuova politica culturale. Non a caso Pauspertl fu scritturato per rea- lizzare diverse colonne sonore nel periodo di massimo splendore della propaganda cinematografica. Ma non mancano nel suo cata- logo lavori che danno l’impressione di guardare senza paura alla tra- dizione romantica del fantastico.

La suite intitolata Im deutschen Märchenwald (1938) ad esempio si apre con una parata di nani (Zwergenparade) e si conclude con due scene ambientate nel mondo misterioso della foresta (Waldfrieden e Lustiges Treiben auf der Waldweise). Viene in mente Robert Schu- mann, con il suo debole per una natura fatta di creature sfuggenti, capaci di stimolare l’immaginazione onirica dell’ascoltatore: brevi incursioni in una realtà romanzesca sradicata dalla dimensione ter- rena. Ma, a dispetto dei titoli, la scrittura di Pauspertl non dà mai l’impressione di pescare dal mondo dei sogni; anzi è sempre molto diretta nel fotografare i suoi contenuti.

Stesso discorso vale per la Romantische Suite Über Berg und Tal (1939). Pauspertl riprende alcuni temi portanti della cultura musi- cale romantica: non solo l’ambientazione della foresta, da sempre miniera di immagini evanescenti per Schumann e compagni, ma anche il chiaro di luna (Mondnacht). Solo che la sua scrittura non rinuncia in alcun momento alla chiarezza cristallina. Quel mondo notturno, che nell’Ottocento aveva stimolato tante riflessioni al confine tra esperienza consapevole e scivolamento nell’inconscio, nelle mani di Pauspertl diventa un contenitore di clichés stereoti- pati: il timbro luminoso dell’arpa per rappresentare i raggi lunari, il suono arioso del corno per alludere allo spazio aperto, i ricami dei legni per imitare il suono degli uccelli notturni. Tutto così chiaro da trasformarsi in un album da vedere ancor prima che da ascoltare. La mano del compositore non ha incertezze, evita accuratamente

ogni riflessione sui lati oscuri dell’esistenza; e così anche il desolante vagabondaggio di Schubert si trasforma in un evento lieto (Frohes Wandern). Nella visione di Pauspertl non c’è niente da cui scappare: il suo viandante ha la superficialità adeguata per girovagare, accom- pagnato da cinguettii di flauti e ottavini, attraverso le bellezze del creato.

Diverse partiture alludono anche al tema della Heimat, la patria spirituale che l’individuo romantico cercava con ostinazione, senza mai raggiungere la meta. Derivava proprio da questo sistematico anelito dell’inafferrabile il devastante sentimento della Sehnsucht: benzina insostituibile di tutte le migliori opere romantiche. È il caso di Heimatklänge (1930), ciclo composto da un altro fedelis- simo del Reich come Emil Juel-Frederiksen. La suite ha un cuore pulsante, costituito da un brano che si intitola proprio Sehnsucht; ma la pagina, a dispetto del titolo, non ha più nulla della sofferenza romantica: quel mal di vivere a cui nessun artista poteva sfuggire nella prima metà dell’Ottocento. Anche la Sehnsucht per i nazisti doveva trasformarsi in un sentimento d’acciaio: non il sintomo di una debolezza capace di far luce nei meandri dell’interiorità, ma una leggera tristezza da spazzare via con un soffio di ottimismo. È quello che accade nella composizione di Emil Juel-Frederiksen, quando la mesta barcarola in fa minore dell’introduzione viene tritata nel giro di pochi istanti da un movimento vivace di segno opposto (fa mag- giore): flauti e violini in ritmo puntato che sembrano saltellare sulla tomba di un’intera generazione.

Liebestraum (1936) di Werner Bochmann ci riporta immedia- tamente al clima sognante delle omonime pagine firmate da Franz Liszt. La partitura in questo caso prevede anche l’intervento di una voce, e il testo di Ernst Huebner è un canto d’amore per una donna così bella da sembrare irreale. Anche in questo caso il compositore riesce a evitare ogni incertezza semantica: del resto stiamo parlando di un fidatissimo collaboratore di Goebbels alla realizzazione delle musiche per i film della propaganda nazista. Non ci sono ombre nella scrittura di Bochmann, ma solo una melodia luminosa in la maggiore, che sale verso il registro acuto come una spirale trascen- dente. Il sogno d’amore ottocentesco non è poi così lontano; ma

resta evidente nella mano del compositore la volontà di evitare ogni sconfinamento nella dimensione dell’inquietudine.

Fritz Rockmann è ancora più esplicito nel dichiarare la sua adesione all’ideale nazionalsocialista. La sua composizione in tre pannelli, dal titolo Aus romantischer Zeit (1940), già a livello pro- grammatico allude a un romanticismo passato in candeggina, svuo- tato di tutta la sua intensità emotiva. Il primo quadro ricorre a un Allegretto grazioso per raccontare una riunione galante (Galante Begegnung), tra personaggi che zampettano in punta d’archetto senza manifestare alcun turbamento esistenziale. Segue un tenero dialogo a due (Zärtliche Zwiesprache), con flauto e clarinetto in bella evidenza, che sembra uscito da una suite settecentesca. Quindi l’ultima pagina, Glückhafte Entführung, cerca di inscenare un rapi- mento in miniatura che si conclude con un prevedibile lieto fine. A dispetto del titolo, niente di meno romantico: le problematiche riflessioni di Schubert e Schumann non hanno nulla da spartire con questo repertorio.

Goebbels voleva trovare un lato sorridente nella stagione roman- tica; ma in realtà stava stravolgendo una sensibilità che aveva lasciato un segno proprio grazie alla sua fragilità. Quel neo-romanticismo voleva trasformare in acciaio il vetro, svuotando alcuni temi fon- damentali dei loro contenuti storici. L’operazione era destinata al fallimento, perlomeno sotto il profilo artistico; ma evidentemente aveva un seguito presso gli ascoltatori del circuito Soldatensender. Goebbels ancora una volta era riuscito a fare un giochetto di presti- gio: sulla carta aveva valorizzato le radici della cultura tedesca, ma di fatto aveva stravolto i principi fondanti del pensiero romantico.