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Bauman : spazio cognitivo, spazio morale e spazio estetico

3.7.2 I concetti di habitus e di pratica

3.8. Alcune interpretazioni recenti della distanza sociale

3.8.2. Bauman : spazio cognitivo, spazio morale e spazio estetico

Se, come è stato fatto osservare, il concetto di distanza richiama l’idea di un qualche tipo di spazio, in particolare lo spazio sociale, appare interessante approfondire alcune concettualizzazioni di questo concetto. In quanto segue si espone una sintesi del pensiero di Bauman (1993) il quale intende lo spazio sociale come l’interazione di tre processi distinti e tra loro connessi, ossia i processi di costruzione dello spazio cognitivo, estetico e morale. Questi tre ambiti di spazialità, caratterizzati dalle nozioni di prossimità e distanza e di apertura e chiusura, si differenziano tra loro per i meccanismi di produzione, i criteri che guidano questi meccanismi e gli esiti finali.

Lo spazio cognitivo si costruisce intellettualmente mediante l’acquisizione di conoscenza. L’autore evidenzia il forte nesso tra conoscenza e distanza. Egli afferma che vediamo meglio, quindi conosciamo meglio, le cose che riusciamo a guardare più da vicino, cioè quelle a noi più vicine. La formulazione contraria è equivalente: ciò che vediamo meglio, dunque ciò che conosciamo meglio, lo percepiamo come più vicino a noi (e contemporaneamente, ciò di cui abbiamo una conoscenza più superficiale lo percepiamo come lontano; in altre parole quanto più la conoscenza degli oggetti è superficiale tanto più li percepiamo come indistinti e lontani). La conoscenza, allora, per Bauman, influenza le percezioni di distanza/vicinanza. Ciò vale sia per gli oggetti che per gli esseri umani; pertanto egli dice che anche la distanza tra gli uomini è creata o cancellata dalla conoscenza.

Gli individui fanno una personale esperienza dell’altro tramite la relazione. A seconda della ricchezza, della durata e dell’intensità di tale esperienza, possiamo definire questa lungo un continuum che va dall’anonimato all’intimità. Pertanto possiamo parlare di opposti come intimità e anonimato, estraneità e familiarità, prossimità e distanza. L’estremo dell’intimità corrisponde ad una piena condivisione della propria biografia con l’Altro e ad una vasta e sfaccettata conoscenza che dell’Altro si è acquisita attraverso l’interazione. L’Altro è il frutto della conoscenza via via acquisita attraverso l’osservazione di questi nella quotidianità, nei suoi diversi stati d’animo e nelle diverse circostanze. All’altro estremo del continuum, si ha l’anonimato. Esso non corrisponde alla distanza sociale, perché essere “anonimo” vuol dire essere al di fuori dello spazio sociale. Colui che è anonimo non è oggetto di conoscenza, è al massimo parte della consapevolezza relativa alla potenziale esistenza di un essere umano che pertanto potrebbe essere oggetto di conoscenza. Tra gli estremi dell’intimità e dell’anonimato vi sono molteplici classi e categorie attraverso le quali gli altri possono essere identificati. L’Altro infatti non è l’essere umano in generale, ma si tratta di individui “specifici, classificati, dotati di attributi categoriali mediante i quali possono essere identificati” (Bauman, 1993: 154). L’identità di ogni individuo non è una caratteristica intrinseca e “personale”, cioè propria di ogni soggetto, ma dipende dalla “classe” a cui esso viene assegnato. L’assegnazione di ogni individuo ad una “classe” avviene mediante e durante il processo di acquisizione della conoscenza; si acquisiscono informazioni sulle categorie di cui gli individui sono esemplari. La conoscenza dell’altro avviene pertanto mediante un processo di tipizzazione; gli altri vengono conosciuti come “tipi”. Dunque, all’estremo dell’anonimato, gli individui sono fuori dallo spazio sociale, non compaiono per nulla alla vista. All’estremo dell’intimità sono molto conosciuti. Man mano che ci si allontana dalla conoscenza profonda (corrispondente all’estremo dell’intimità) gli altri diventano stranieri. Degli stranieri si conosce ben poco e l’interazione con essi è estremamente superficiale. Lo straniero è un estraneo di fronte al quale si ha un senso di smarrimento in quanto le aspettative sono incerte e non si sa che cosa fare. Di fronte a tale smarrimento, come via di salvezza, ne consegue una indisponibilità al contatto. In realtà, la percezione dell’altro come straniero, dipende dal fatto di conoscerlo poco e quindi dall’impossibilità di assegnarlo ad una nostra tipologia. Quanto più scarsa è la conoscenza tanto più vacilla l’assegnazione di un individuo ad una categoria.

La storia umana, per molto tempo, si è dispiegata sulla base di una stretta correlazione se non di una coincidenza tra prossimità fisica e sociale. La totalità degli esseri umani veniva distinta in due parti, quella del prossimo e quella degli estranei116. Una certa quantità di conoscenza dell’altro

116 Solo tre sono i casi in cui un estraneo poteva entrare nell’ambito della prossimità fisica: in qualità di nemico, un

estraneo poteva invadere la spazialità fisica prossima ed in tal caso andava combattuto ed espulso; temporaneamente, invece, un estraneo in quanto ospite poteva entrare nello spazio prossimo ma in tal caso andava isolato, confinandolo in

(entro una certa spazialità fisica) rendeva possibile all’io un senso di familiarità. Questo termine non è usato nel senso di “comunità” e, pertanto, non corrisponde ad amicizia, fiducia, disponibilità, sentimenti di unità, fedeltà o fratellanza, collaborazione disinteressata o aiuto reciproco. La realtà della prossimità non corrispondeva a quella della comunità essendo attraversata al tempo stesso da sentimenti di amore e ostilità, solidarietà e conflitto. Ciò che distingueva la prossimità dal resto dello spazio sociale era l’assenza di stranieri (dunque di altri poco conosciuti) e l’esistenza di una regolamentazione (cioè un insieme di norme) rispettata che conferiva un senso di sicurezza agli individui. “Ciò che effettivamente distingueva il prossimo dal resto – scrive Bauman (ibidem: 156) – non era dunque la simpatia provata nei suoi confronti, ma il fatto che fosse sempre stato potenzialmente in vista, sempre teso verso l’estremo dell’intimità, sempre un probabile partner di rapporti di consuetudine”. Il prossimo era distinto dal resto, dunque, in quanto adeguatamente conosciuto. Esisteva inoltre quella “reciprocità delle prospettive” di cui si è detto, cioè una simmetria delle percezioni, il che garantiva il rafforzamento e la riproduzione. Lo spazio sociale della prossimità terminava con un confine, al di là del quale si apriva “un vuoto semantico, una regione selvaggia, il mondo intellettualmente estraneo abitato da corpi senza volti (…) I corpi potevano attraversare la frontiera ma non le regole della coesistenza” (ibidem: 156). Per gli sconosciuti non vi erano sentimenti di pietà, compassione o simpatia, né si disponeva di regole relative al modo di comportarsi con gli estranei (cioè regole di interazione). Ad un certo punto della storia umana, continua Bauman (ibidem: 157), “la coordinazione tra prossimità fisica e sociale- cognitiva si interrompe. A quel punto gli estranei compaiono fisicamente entro i confini del mondo della vita. L’estraneità degli stranieri cessa di essere una violazione temporanea della norma e un fastidio rimediabile”. A tal proposito l’autore riprende la figura dello straniero tratteggiata da Simmel. L’estraneo diventa lo straniero che viene e rimane, ma al tempo stesso rimane tale in quanto sfugge all’insieme delle regole locali. Gli stranieri non sono visitatori, non sono nemici da affrontare con le spade, ma non entrano a far parte del prossimo. Di essi si ha una conoscenza particolare e con essi si instaurano determinate relazioni. Si prende atto della loro presenza, lo sguardo si posa su di loro, l’udito ne percepisce la voce, l’olfatto l’odore, talvolta si scambia con loro qualche parola. Nonostante ciò, di essi si sa troppo poco perché gli incontri sono brevi e non li si può classificare con precisione. Nella società moderna, in cui vige l’economia monetaria (dove il denaro è livellamento di ogni differenza qualitativa), quella dello straniero rappresenta la figura particolarmente adatta ad essere coinvolta negli scambi. L’attività finanziaria, emblematica delle relazioni metropolitane, per il suo carattere di indifferenza rispetto alle relazioni umane, non deve essere intrapresa né con amici né con persone ostili. “Il partner più indicato per l’attività finanziaria, un ghetto, al fine di renderlo innocuo; infine un estraneo poteva entrare a far parte del prossimo, assumendo tutti i comportamenti e le regole propri di tale prossimo.

verso il quale (…) cessa ogni rapporto di intimità, è la persona che ci è del tutto indifferente, che non è impegnata né a nostro favore né contro di noi” (Simmel, in ibidem: 157). La condizione migliore per intraprendere un’attività finanziare è la neutralità emotiva, dunque, la mancata interferenza dei sentimenti. Lo scambio monetario pertanto non poteva essere proprio delle società antiche in cui gli uomini appartenevano o al prossimo o agli estranei. Con la società moderna e lo sviluppo dell’economia monetaria, al centro della dicotomia prossimo-estraneo si inserisce un insieme di relazioni né di prossimità né di estraneità, prive di carica emotiva. Le transazioni monetarie richiedono “partner senza volto – così come lo sono i segni del denaro – il cui comportamento previsto ed effettivo sia guidato soltanto dalla valutazione condivisa della quantità e non da valori qualitativi inevitabilmente unici, vincolati al soggetto” (ibidem: 158).

Lo straniero dunque non è né prossimo né estraneo, piuttosto è insieme l’uno e l’altro. Così Bauman definisce la condizione di straniero: “estranei in prossimità. Prossimo estraneo (…) Cioè, socialmente distanti ma fisicamente vicini”(ibidem: 158). L’impossibilità a mantenersi lontani nello spazio occupato induce a stabilire un particolare tipo di rapporto, un non-incontro, che contribuisce a mantenere l’altro nella veste di straniero. L’altro, pur non scomparendo, rimane sullo “sfondo”; nessuno vi rivolge particolare attenzione. Il “non- incontro” comporta l’assenza di coinvolgimento, di emozioni, siano esse di simpatia o di avversione. L’altro è manifestamente ignorato e si desidera che lo sia. Tra le tecniche del non- incontro la più importante consiste nell’evitare il contatto visivo, magari mediante occhiate furtive atte ad evitare l’incontro. Gli individui vedono ma non guardano, sono attenti ma mostrano disattenzione. Il guardarsi è privo di conseguenza e non implica doveri o diritti reciproci. “Ma l’effetto complessivo dell’esercizio universale dell’indifferenza civile è, …la perdita del volto: meglio l’incapacità di trovarne uno117” (ibidem: 159-160). Il non- incontro ha come conseguenza il “desocializzare lo spazio potenzialmente sociale tutto introno, oppure di impedire allo spazio fisico in cui ci si muove di trasformarsi in uno spazio sociale, cioè, in cui il coinvolgimento e l’interazione sono regolamentati” (ibidem: 160). Dunque il non-incontro, inteso come disattenzione verso l’altro, assenza di coinvolgimento sociale dà luogo ad una desocializzazione dello spazio sociale. La presenza dell’Altro viene tollerata, ma rimane una presenza sullo sfondo, una presenza di cui non si acquisisce alcuna conoscenza (e si nega loro la conoscenza di se stessi); a tale presenza non è pertanto consentito entrare nello spazio sociale. “Gli altri, così cacciati, rimangono sospesi sullo sfondo del mondo percepito, e vengono esortati a rimanervi: gusci vuoti, senza qualità, senza volto, dell’umanità che rappresentano” (ibidem: 160).Con le parole di Simmel, essi si mostrano “in una tinta uniformemente grigia e smorta, e nessuno merita di essere anteposto agli altri”. Il mantenimento della distanza, secondo Simmel,

117 L’esempio riportato è quello della folla umana, intesa come aggregato eterogeneo composto da unità senza volto.

sarebbe una difesa naturale contro i pericoli legati alla convivenza con stranieri. Questi vengono continuamente rifiutati manifestando una controllata ostilità. Si determina così l’unica forma di socializzazione possibile, ossia, la dissociazione: “vivere l’uno accanto all’altro (benché non insieme)”.

Il non-incontro ha la natura di episodio, non essendo preceduti da alcuna storia (da ciò che è avvenuto prima) e non avendo conseguenze sul futuro. Tale natura episodica è connessa la processo cognitivo; infatti, l’episodio costituisce anche un’interruzione dei meccanismi di categorizzazione e costruzione della mappa cognitiva. “L’episodio, si potrebbe dire, è un intervallo, un’interruzione nel gioco della tipizzazione, della categorizzazione e della mappatura” (ibidem: 161). Il luogo per eccellenza del non- incontro è la città, spazio fisico in cui gli incontri non voluti possono essere evitati. Nello spazio urbano tantissimi sono gli spazi aperti, “aree di transito e non di sosta” (Sennet). Superstrade e autostrade, treni sotterranei, automobili permettono di spostarsi tra i vari punti della città interrompendo la continuità tra i luoghi. Inoltre, nella città, è osservabile la tendenza ad isolare alcuni gruppi sociali, come quelli etnici o le classi sociali, il che concorre a determinare ed a legittimare le strategie di non-incontro.

Bauman descrive la condizione di incertezza, da lui definita “aporetica” legata alla presenza dello straniero. La presenza degli stranieri nelle società si è trasformata da condizione temporanea in condizione permanente, il che ha posto il problema della convivenza. L’incertezza cognitiva alimentata dal convivere con gli stranieri ha dato luogo allo “sforzo continuo di controllare la costruzione dello spazio sociale, cioè di confinare e irreggimentare la libertà degli straniere e in definitiva di «tenerli dove sono»” (ibidem: 163). Il ruolo dello straniero nello spazio sociale della vita moderna è segnato, secondo Bauman, da una profonda ambivalenza. Nella vita moderna, caratterizzata, in termini simmeliani, dalla compenetrazione tra economia monetaria, intelletto e presenza straniera, la presenza degli stranieri appare indispensabile. Ma al tempo stesso, il contatto con lo straniero è privo di coinvolgimento emotivo; si caratterizza per l’indifferenza mostrata verso ogni differenza qualitativa, per il susseguirsi di incontri episodici che non affondano le radici in alcun passato e non hanno conseguenze sul futuro.

Bauman, a tal proposito, riprende una ricerca di Elias svolta in un sobborgo di Leicester dove si erano insediati nuovi abitanti di diversa provenienza accanto ai residenti orginari. Elias ha elaborato i concetti di established (integrati) e outsiders per indicare i due gruppi tra di loro in ostilità per la definizione dei confini. Secondo Elias, sono stati gli “established” ad innescare il processo di reciproca separazione e la trasformazione in stereotipo. I vecchi residenti, infatti, nutrivano per i nuovi arrivati sentimenti di avversione il che diede avvio al processo di isolamento di questi ed al rifiuto di accoglierli. Il gruppo insediato in quel luogo da molto tempo aveva un potere superiore

rispetto ai nuovi venuti. Vi era dunque una condizione di asimmetria relativamente al potere detenuto da parte dei due gruppi. Chi è in posizione di dominio ha il diritto di costruire le regole dello spazio sociale ed è responsabile dell’organizzazione di quest’ultimo. L’asimmetria del potere nel processo di costruzione dello spazio sociale dava origine alla separazione tra intergrati e

outsiders. Coloro che risiedevano in quel luogo da tempo avevano il potere e l’incarico di costruire

(suddividere) lo spazio sociale sulla base di una propria mappa cognitiva. In questa gestione del processo di costruzione sociale i detentori del potere avevano manifestato l’esigenza di mantenere una distanza verso i nuovi arrivati e la soluzione era stata intravista nell’esclusione di questi ultimi, i quali non potevano essere allontanati, ma potevano essere confinati. Conoscendo la localizzazione del pericolo, diminuiva il senso di disorientamento e di impotenza. I nuovi arrivati, temuti, fonte di ansia e di pericolo, diventavano oggetto di stereotipo; essi rappresentavano, cioè, un insieme di qualità negative. Si trattava di “una rappresentazione estremamente semplificata delle realtà sociali. Esso – lo stereotipo – aveva creato un disegno in bianco e nero che non lasciava spazio alle differenze individuabili tra gli abitanti del nuovo complesso. Corrispondeva alla ‘minoranza dei peggiori’” (Scotson ed Elias in Bauman, 166). In condizioni di dominio si verifica un processo di stigmatizzazione, il cui contenuto tende a rimanere invariato anche quando le situazioni mostrano caratteristiche differenti.

Nelle diverse società vengano applicate parallelamente due strategie quando ci si trova di fronte agli “stranieri” ritenuti pericolosi: l’una è quella fagica, l’altra quella emetica. La prima tende ad includere certi individui, ad assimilarli al “prossimo”; la seconda tende all’esclusione, all’estraneità, all’allontanamento dai propri spazi, espellendo o segregando in aree sorvegliate gli stranieri. Attraverso la messa in atto contemporanea di questi meccanismi si costruisce e si controlla lo spazio sociale al fine di esercitare su di esso il dominio. Agli stranieri viene posta l’alternativa tra il conformarsi pienamente alle regole o l’allontanarsi. L’ammissione è consentita solo a condizione del rispetto delle regole, pena l’espulsione. Queste due strategie non costituiscono affatto una soluzione al problema; esse sono soltanto due modi per tenerlo sotto controllo. La presenza dello straniero genera confusione ed ambivalenze nei sentimenti, difficoltà a definire gli altri che non sono identificabili né come prossimo né come estranei. Questa condizione viene indicata da Bauman con il termine di proteofobia riferendosi alla multiformità dei fenomeni che non si lasciano conoscere spiegare e classificare in base ai criteri consueti. “La proteofobia consiste dunque nell’avversione per le situazioni in cui ci si sente smarriti, confusi, impotenti” (ibidem: 169).

Il secondo tipo di spazio a cui si è accennato all’inizio è lo spazio affettivo-morale. Le regole che determinano la costruzione dello spazio morale sono diverse da quelle che definiscono lo spazio sociale-congnitivo. I sentimenti propri dello spazio morale non hanno alcun ruolo nella costruzione

dello spazio sociale come processo cognitivo, mentre la conoscenza (specifica di quest’ultimo) non è un elemento che entra in gioco nella costruzione dello spazio morale. Capacità intellettive umane, come l’analisi, il confronto, il calcolo o la valutazione non sono chiamate in gioco. La razionalità pertanto non interviene. “Le risorse intellettive della costruzione dello spazio sociale cognitivo sono terribilmente inefficaci davanti alla responsabilità morale, la sola risorsa che fondi lo spazio morale (…) Lo spazio morale sembra refrattario ad ogni ragionamento, quale che sia il contenuto; come se non vi fosse comunicazione tra la costruzione dello spazio cognitivo e quella dello spazio morale, tra ragione e sentimento, tra calcolo e impulso (ibidem: 171). A contrapporsi sono la costruzione dello spazio razionale, sociale e la costruzione dello spazio affettivo, morale. La costruzione dello spazio morale non si basa sull’esistenza di ragioni specifiche, su un corpo di conoscenze comunicabili e pertanto è priva di elementi utili alla sua difesa o al convincimento di quanti non credono nelle sue “affermazioni”. Le parole di Bauman (ibidem: 170) sono alquanto espressive: “gli oggetti della costruzione dello spazio cognitivo sono gli altri con i quali viviamo. Gli oggetti della costruzione dello spazio morale sono gli altri per i quali viviamo. Questi ultimi resistono ad ogni tipizzazione. In quanto abitatori dello spazio morale essi rimangono sempre unici e insostituibili; non sono esemplari di categorie, e certamente non entrano nello spazio morale in quanto membri di una categoria che dà loro il diritto di essere oggetto di preoccupazione morale. Essi diventano oggetti di una posizione morale soltanto perché – in quanto altri concreti, esterni allo spazio morale – sono stati direttamente individuati come destinatari di un interesse di tipo morale. Si condivide la responsabilità morale rimanendo nel contempo sordi e ciechi alla voce e ai segnali della ragione che presiede allo spazio sociale”. I processi di costruzione dello spazio sociale-cognitivo e dello spazio morale sono diversi perché diversi e indipendenti sono i fattori che li guidano. Ciò non esclude, a livello di possibilità, che prossimità morale e cognitiva si sovrappongano. Può infatti accadere che “la preoccupazione morale raggiunga la sua massima intensità nel punto in cui la conoscenza dell’altro è più ricca e profonda, e che si attenuti con l’impoverirsi della conoscenza; e che l’intimità si trasformi a poco a poco in estraniazione” (ibidem: 170).

Infine, soffermiamo l’attenzione sullo spazio estetico. Nella costruzione dello spazio sociale- cognitivo, si è detto, gli individui adoperano, come strumenti, tecniche di non- incontro e di disattenzione civile. Queste tecniche danno luogo all’Altro in quanto straniero, collocato in uno spazio fisico privo di significato e che si intende mantenere nella condizione di straniero non potendolo espellere. Bauman fa osservare, però, che “lo spazio fisico della città è anche il luogo del processo di costruzione dello spazio estetico: la distribuzione ineguale di interesse, curiosità, capacità di suscitare allegria e piacere” (ibidem: 172). Spazio cognitivo e spazio estetico non coincidono. Lo straniero che nello spazio cognitivo viene evitato, nello spazio estetico genera

curiosità in quanto fonte di un’esperienza divertente. Così non coincidono neanche le tecniche di costruzione di questi spazi: nella costruzione dello spazio cognitivo si distoglie lo sguardo dagli stranieri; nella costruzione dello spazio estetico si ha un’apertura verso quei luoghi veicolo di nuove